Quaranta: «Ripartiti da zero, ora si guarda a Parigi»

di Carlo Malvestio

Fino a un anno fa, la Velocità  italiana su pista era praticamente morta, abbandonata a se stessa e a quei pochi coraggiosi corridori che si arrangiavano a fare praticamente tutto. Dal cemento, però, sta nascendo un fiore e l’ultimo mondiale élite al velodromo di Saint-Quentin-en-Yvelines lo ha confermato: la Velocità italiana sta mettendo le basi per provare a tornare ai vertici internazionali. A giostrare il tutto c’è Ivan Quaranta - chiamato dal CT Marco Vil­la e dal Presidente della FCI Cordiano Da­gnoni per svolgere il ruolo di re­spon­sabile tecnico del settore - che in pochi mesi non solo ha restituito una dignità internazionale agli az­zurri, ma ha guidato una serie di giovani di belle speranze alla conquista di medaglie europee e mondiali juniores e Under 23.
«Quando ero pistard ho lavorato con alcuni dei migliori tecnici in assoluto, co­me Mario Valentini e Massimo Ma­rini - spiega Quaranta -. Nella Velocità sono stato campione del mondo nel 1992, ma era da tanto tempo che non entravo in contatto col settore. Ho do­vuto studiare, documentarmi, aggiornarmi, confrontarmi con le altre nazioni e ora sto cercando di trasmettere la mia esperienza ai ragazzi».
Ivan, per poco non portavi a casa una clamorosa medaglia al tuo primo mondiale…
«Sì, ci abbiamo davvero creduto e non poteva essere altrimenti, visto che Mat­teo Bianchi aveva chiuso la qualifica del Km al secondo posto. Purtroppo, non è riuscito a recuperare al meglio tra una prova e l’altra, in finale ha fatto i primi due giri da medaglia d’argento, il terzo da bronzo e nell’ultimo pur­troppo è sceso al quinto posto. Ma ci sta, bisogna ricordare che arrivava da una stagione intensa, in cui ha corso veramente tanto per la prima volta in carriera, non riuscendo ad allenarsi mol­­to. E poi è un ragazzo giovane, ha compiuto 21 anni qualche giorno fa, è normale che non abbia l’esperienza di un veterano in termini di gestione e re­cupero. In queste settimane ci stiamo confrontando sui motivi di questo calo, ma ciò non toglie che siamo sulla strada giusta: nel giro di tre mesi ha abbassato il record italiano di un secondo e mezzo».
E anche il Team Sprint sembra crescere bene.
«Sì e la cosa più bella è che è un gruppo giovane: Matteo Bianchi, Daniele Napolitano e Matteo Tugnolo sono tut­­ti Under 23, con margini di crescita im­portanti. Non so dirti se tra 5-6 anni saremo in grado di vincere una medaglia alle Olimpiadi ma, come dico ai ragazzi, i nostri avversari non hanno gambe d’acciaio e cuore con benzina su­per, sono atleti come loro, quindi battibili».
Crescono le possibilità di vedervi a Parigi 2024?
«Il nostro obiettivo è quello, abbiamo tanti appuntamenti che ci aspettano, utili per la qualificazione e per il livello che abbiamo dovremo probabilmente affrontarli tutti. All’Olanda, ad esempio, ba­sterebbe vincere una prova di Coppa del Mondo e l’Europeo per strappare il pass olimpico, mentre noi dovremo raccogliere un po’ di punti piazzandoci ad ogni prova (in Coppa del Mondo verranno tenuti come buoni i due migliori piazzamenti, ndr), sperando che almeno ad una delle gare la concorrenza sia un po’ più bassa, così da fare molti punti. Proprio per questo stiamo cercando di far crescere qualche altro ragazzo, in modo da dare un po’ di respiro a tutti, come fa il quartetto che cambia pedine a se­conda dell’appuntamento. Arriverà Mat­tia Predomo, che ha già tempi buoni per la categoria U23, ma anche Stefano Minuta, bronzo europeo nel Keirin junior, passerà U23, mentre Tommaso Frizzarin, che arriva dalla BMX e ha ottimi tempi come primo frazionista, sarà un secondo anno ju­nior. Siamo un po’ tirati coi tempi, ma vogliamo portare il nostro Team Sprint a Parigi».
Dal punto di vista femminile, invece, come procede?
«Ci stiamo lavorando, ma anche lì c’è lo stesso problema che c’è tra gli uo­mini, ovvero l’attrazione per la strada, a maggior ra­gio­ne ora che le formazioni WorldTour stanno investendo sulla squadra femminile e gli organizzatori delle corse stanno dando sempre più spazio alle ragazze, con Tour de France e Pa­rigi-Roubaix per esempio. Dietro a Miriam Vece, comunque, qualche ragazza interessante c’è, come la junior Ca­rola Ratti, che mi aspetto possa lottare per medaglie europee e mondiali l’anno prossimo, ma anche le altre junior Alessia Pac­calini o Beatrice Bertolini. Lavoriamo i ragazzi che abbiamo, con la speranza ma­gari di ritrovarci fra le mani qualche grande talento. I dialoghi con comitati provinciali e con le squadre ci sono, con pa­zienza arriveremo a cogliere risultati anche lì».
Capitolo reclutamento: come capire se un ragazzo può diventare un velocista?
«Con i vari metodi di analisi che ci so­no oggi, numeri, test e quant’altro, capiamo rapidamente se un ragazzo, e parliamo di categoria allievi o primo anno junior, può essere adatto alla ve­locità o meno. L’importante, come in qualsiasi ambito lavorativo, è comprendere in cosa si è portati e noi cerchiamo di farlo capire ai ragazzi. Non possiamo sapere esattamente quanti margini di crescita abbiano, ma possiamo intuire se uno è adatto a fare lo stradista o è meglio che si concentri sulla ve­locità su pista. A me sarebbe piaciuto fare l’astronauta, ma ero più portato per fare altro. Sul discorso del reclutamento, il problema, a mio avviso, nasce prima».
Cosa cambieresti?
«I talenti bisognerebbe scovarli nelle scuole, come fanno in tutto il resto d’Euro­pa. Le varie Federazioni, lavo­ran­do ad un programma univoco, do­vreb­bero riuscire a indirizzare un ra­gazzino verso una disciplina o un’altra, in modo da tirare fuori più talenti possibili in vari sport. Noi Ganna e Vi­via­ni, o Predomo nel mio caso, ce li siamo trovati perché sono capitati, se avessero scelto di giocare a calcio ora avremmo molte medaglie in meno. Insomma, bisognerebbe andare a cercarseli pri­ma, come fanno le grandi squadre di calcio che hanno settori giovanili di centinaia di ragazzi, dei quali poi pochi fanno strada, ma parliamo praticamente di una rivoluzione culturale, che do­vrebbe partire da molto più in alto de­gli organi ciclistici».
Ai pistard non è mai facile garantire una certa stabilità economica.
«E anche su questo ci stiamo lavorando. Matteo Bianchi e Miriam Vece fan­no parte del Centro Sportivo dell’Eser­ci­to, ma proprio in questi giorni abbiamo parlato anche con la Polizia di Sta­to che ha cominciato a manifestare un interesse per i velocisti. Garantire un futuro a più atleti possibile che hanno scelto la Velocità è un passaggio fondamentale, perché permette a loro di lavorare con le spalle coperte e a noi di programmare al meglio possibile. La FCI crede fortemente a questo progetto, il presidente Dagnoni lo aveva promesso in campagna elettorale e sta mantenendo la parola, dobbiamo continuare a lavorare».
Con i recenti risultati, hai notato un maggiore interesse per la Velocità da parte di qualche giovanissimo?
«Sì, l’interessamento c’è stato. Ma è normale che sia così, perché grazie so­prattutto ai social si sono accorti che esiste anche la Velocità, che l’Esercito stipendia i corridori, che si gira il mon­do in bicicletta, che si veste la maglia azzurra e si vince anche. In particolare, tre ragazzi all’ultimo anno allievi mi hanno chiamato per chiedermi di provare a testarsi nella Velocità: sono Davide Maifredi, Fabio Del Medico e Daniel Vitale. Con Maifredi e Vitale, per esempio, abbiamo capito subito che possono essere adatti alla disciplina, e infatti questo inverno cominceremo a lavorare coi pesi, che non hanno mai toccato, e faremo i vari studi di biomeccanica per metterli bene in bicicletta. Del Medico, invece, ha manifestato anche delle buone doti di endurance e oltre a me lo testerà anche Di­no Sal­voldi; questo per dire che non ho intenzione di togliere ragazzi alla strada o snaturarli fisicamente solo perché ab­biamo bisogno di atleti. Vogliamo indirizzare ognuno verso quello a cui è più adatto».
Il velodromo di Montichiari è chiuso fino a fine novembre…
«Ma sappiamo già come ovviare al problema, anche perché questo è un periodo abbastanza di scarico. A metà no­vembre andremo 7/10 giorni a Noto, in Sicilia, dove c’è un velodromo in ce­mento a nostra disposizione, e poi a dicembre saremo ospiti nel velodromo di Valencia, dove c’è una pista di 250 metri in legno, come quello di Mon­tichiari. Inoltre, il clima più mite ci permetterà di fare anche tante uscite su strada».
Avete già ripreso con la preparazione?
«Eh sì, per forza, a inizio 2023 bisogna già essere quasi al top. Prima dell’ultimo mondiale di Parigi ho fatto fare dei test specifici ai ragazzi e a febbraio do­vranno avere gli stessi numeri. Pur­troppo, o per fortuna, ormai i nu­meri sono tutto».
Sei già pronto con la calcolatrice per capire quanti punti vi servono per andare alle Olimpiadi?
«I regolamenti dell’UCI sono veri e propri contratti da decifrare e perdipiù sono solo in inglese. Con Marco Villa, infatti, chiameremo un professore di inglese specializzato in contratti per ca­pi­re bene tutti i passaggi del regolamento, assegnamento dei posti e punteggi, più le clausole varie. Sicuramente ogni evento è decisivo per la partecipazione ad un altro, i punti che faremo all’Europeo di Grenchen saranno utili per partecipare alla Coppa del Mondo e così via. Ad ogni gara, insomma, do­vremo fare punti non solo per la qualificazione olimpica, ma per partecipare anche all’evento seguente. Perfino la Champions League in partenza tra po­co assegna punti...».
A proposito, ci sarà qualche velocista italiano al via della Champions League?
«Ancora non si sa, sarebbe bello che qualcuno ci partecipasse, anche perché è sempre esperienza che si accumula. Ma si partecipa solo su invito, vengono scelti 10 o 15 corridori. E anche questa cosa l’UCI dovrebbe spiegarla: assegni punti valevoli per il ranking, e quindi di rimbalzo per la qualificazione olimpica, e fai partecipare solo alcuni corridori invitati? Incomprensibile. Noi co­munque proseguiamo sulla nostra strada, con Parigi sempre in testa».

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