Nibali: «Torno a casa e voglio divertirmi»

di Giulia De Maio

Vincenzo Nibali è diventato maggiorenne. Quest’anno compie 18 anni da ciclista professionista. La carta d’identità dello Squalo riporta il numero 37 alla voce anni compiuti ma l’entusiamo e l’impegno che dimostra sono gli stessi di quel ra­gazzino siciliano che ha dovuto ben presto lasciare la sua isola per inseguire un sogno e che, stagione dopo stagione, dalla Toscana che l’ha adottato ha conquistato il mondo, di­ventando uno degli sportivi più vincenti di tutti i tempi. Nel diritto la maggiore età corrisponde al momento in cui la persona acquisisce in linea di principio la capacità di agire, cioè la capacità di porre in essere in autonomia contratti e altri ne­gozi giuridicamente validi. Per Vin­cen­zo la maggiore età sportiva rappresenta l’ultima parte di un percorso fatto di responsabilità, che gli pesano sempre di più, ma anche di voglia di mettersi ulteriormente alla prova, di divertirsi in bici e far divertire il pubblico che ancora non ha trovato un suo degno erede.
Mentre la divina Federica Pellegrini la­scia il nuoto e si spegne il rombo dei mo­tori di due leggende co­me Valentino Rossi e Tony Cairoli, uno dei campioni italiani più titolati e amati tira dritto, convinto di potersi e poterci esaltare ancora parecchio. Nel 2022 ci proverà correndo con la Astana Qazaqstan sia il Giro d’Italia, suo nel 2013 e nel 2016, che il Tour de France che lo ha visto in trionfo nel 2014, ma anche classiche monumento come Milano-Sanremo, memorabile la sua azione nell’edizione 2018, e Il Lom­bardia, nel quale primeggiò nel 2015 e 2017.
Vincenzo, ripeti come un mantra che vuoi correre “libero” da pressioni ma si sa che quando Nibali è al via del Giro tutti gli occhi sono puntati su di lui.
«Già. Il mio nome è legato alle grandi corse a tappe, ma essere sempre sul pezzo non è mai semplice. Negli ultimi due anni ho per­so continuità e questo, lo am­met­to, mi ha destabilizzato. Tutto sommato non ho commesso gran­di errori. Il ca­lendario 2020 è sta­to sconvolto della pandemia, l’anno scorso poteva andare senz’altro meglio. La ruota non ha girato: risolto un problema, ne nascevano altri tre. Prima ho dovuto af­frontare un fastidio ad un ginocchio, poi mi sono fratturato il polso, uno scompenso dietro l’altro non hanno fatto bene al mio corpo. A 30 anni re­cuperi in un modo, a 37 in un altro, ma vale per tutti. Il tempo non si ferma, con l’età bisogna fare i conti».
L’età avanza ma finchè non emergerà un corridore italiano che possa lottare per la generale in un grande giro, continuerai ad essere al centro dell’attenzione. Questo ti pesa o, al contrario, ti spaventa il giorno in cui non sarà più così?
«Mi pesa tantissimo (sospira, ndr). Por­to sulle spalle una responsabilità troppo grande, alla quale ormai do­vrei essere abituato, ma che alla lunga di­venta stancante. Io sarei entusiasta se venisse alla ribalta un corridore in gra­do di lottare per la maglia rosa, gialla e rossa, ma non basterebbe. A me chiedono di vincere anche le grandi classiche di un giorno. La gente si aspetta tanto da me. Io non voglio fare promesse perché la concorrenza dei giovani è incredibile, ma quel che posso garantire è che mordente e vo­glia di stringere i denti non mi mancheranno mai. Fin­chè correrò è perché ne ho voglia».
Se ci aspettiamo tan­to da te è colpa tua. Ci hai abituato bene.
«Deve essere così (ride, ndr). Un giorno durante il ritiro di dicembre ad Al­tea Lutsenko (che con lui e Lopez di­sputerà il Tour, ndr) mi ha chiesto: “Tu hai vinto 4 grandi giri, ma quante volte sei salito sul podio?”. “Lutsy non lo so. Forse 11 o 12” è stata la mia risposta. E lui: “Come non lo sai?”. Era incredulo che dovessi fare il conto, ma io non penso a queste cose. Il giorno dopo mi fa: “Ho guardato io: sei finito 11 volte sul podio tra Giro, Tour e Vuelta (quest’ultima vinta nel 2010, ndr)».
Come hai trascorso le vacanze?
«Sono rientrato dalla Spagna il 20 di­cembre, quindi sono andato a Messina dalla mia famiglia per Natale e successivamente a Frosinone dai genitori di mia moglie Rachele prima di tornare a Lugano in tempo per la ripresa della scuola e delle varie attività di Emma. Sotto Natale non mi sono fatto mancare una bella fetta di panettone Fia­sco­naro con il pistacchio di Bronte e do­po il cenone della Vigilia, il 25 di­cembre la classica pedalatina giusto per andare al bar a prendere il caf­fè e “sgolfare” un po’ il motore dopo le ore passate a tavola».
Cosa ti auguri per l’anno nuovo?
«Di passare un anno felice, divertente, in cui tutto vada per il meglio e finalmente riusciremo a metterci alle spalle l’incubo del covid e tutti i guai che ne conseguono. La gente è stanca e nervosa, avremmo bisogno di un po’ di leggerezza. Ai tifosi del ciclismo, non solo ai miei, auguro che si di­vertano seguendoci e chiedo di rispettarci».
A fine 2022 sarai contento se...?
«Questa è una domanda a cui  è difficile rispondere. Diciamo che sarò soddisfatto se chiuderò la stagione con delle nuove premesse».
Cioè? Sii meno ermetico.
«Comunque andrà deciderò cosa fare da grande (sorride, ndr). Per scelta, visto che non sono più uno sbarbatello, ho deciso di firmare per un anno solo. Rinnoverò per un altro anno solo se me la sentirò e sarà stata una stagione per me soddisfacente».
Che Nibali vedremo nel 2022?
«Mi auguro più spensierato. Ad ogni nuo­va stagione io riparto da zero. Que­sta volta in particolare voglio mettere un mattoncino alla volta, costruire la condizione avendo nel mirino gli ap­puntamenti prefissati ma senza av­ver­tire il peso e l’oppressione del risultato a tutti i costi. Voglio poter fare ciò che mi sento di fare, di­sputare una corsa o meno solo in base a come mi sento (tra i suoi desideri, a quanto ci risulta, ci sono il Giro delle Fiandre e il debutto alla Roubaix, ndr)».
Partirai dalla Vuelta Valenciana (2-6 febbraio) quindi il tuo calendario di massima prevede Andalucía, Het Nieuwsblad, Tir­re­no, San­re­mo, Tour of the Alps, la doppietta Giro-Tour, Tour of Almaty, Ca­nada, Tre Valli Varesine, Il Lom­bardia e la Coppa Agostoni.
«Le ultime due stagioni non sono state il massimo quindi è difficile dire quale sarà il mio rendimento, soprattutto nel­le corse a tappe di tre settimane. Sono stato molto sfortunato, ma gli altri contendenti hanno grande classe e gambe. Quello che mi stupisce di più è Tadej Pogacar perché è l’unico in gra­do di vincere una classica monumento, anzi due (Liegi e Lombardia), oltre al Tour de France. Io ho ancora dei desideri da realizzare, ma al tempo stesso sono realista. Martino (il team manager Giu­sep­pe Martinelli, ndr) mi ha paragonato a Zlatan Ibrahimovic per la dedizione con cui mi alleno ma è il minimo se voglio confrontarmi con ragazzi ben più giovani ed essere d’esempio per le nuove leve del nostro ciclismo».
Hai cambiato qualcosa nella preparazione?
«Ogni anno ho sempre inserito qualche aggiunta o modifica al mio piano di allenamenti, succedeva con Paolo Slon­go e accade tuttora con Maurizio Maz­zo­leni e il resto dei preparatori del team Astana. Negli ultimi tempi ho in­serito più lavoro a secco, il mese di novembre l’ho trascorso interamente in palestra tra pesi, ginnastica a corpo libero e stretching».
Cambiando i materiali, hai modificato la posizione in bici o altro?
«No, l’unica grande novità tecnica ri­guarda le scarpe che calzerò. Si tratta di un paio confezionate totalmente su misura dall’azienda marchigiana di Luigino Verducci, un artigiano di talento, del quale ho seguito il lavoro passo passo, dalla scelta dei materiali al disegno sul mio piede».  
Freni tradizionali o a disco?
«L’evoluzione ormai impone che si va­da verso il disco, è normale che tutte le case spingano per i nuovi modelli. Il freno tradizionale andrà via via a scomparire».
D’inverno preferisci un’uscita in più con il maltempo e una giornata in meno sui rulli o non ti pesa allenarti al chiuso?
«Dipende. Con la bufera non amo pe­da­lare ma se cade solo una leggera pioggerellina esco, anche perché rispetto a una volta abbiamo più alternative. Oltre alla bici da strada abbiamo le versioni gravel e mtb che permettono di svolgere una buona attività alternativa e l’abbigliamento tecnico ormai è talmente performante che puoi stare al caldo anche se il termometro segna 5 gradi. Di sicuro preferisco un’ora in più sulla gravel che sui rulli. Mi piace andare in bici».
Al tuo fianco anche quest’anno avrai il tuo storico massofisioterapista Michele Pal­lini, il dottor Emilio Magni e tuo fratello minore Antonio. Quanto è importante avere il “tuo” gruppo in Astana?
«Avendo vissuto tanti anni insieme fa la differenza, ma a parte Michele che è una mia scelta personale, inizialmente sia Antonio che Emilio dovevano restare in Trek Segafredo, poi per varie vi­cissitudini ci siamo ritrovati a cambiare squadra insieme. Il dottor Magni ha grandissime competenze ed è stato vo­luto da Vinokourov in persona, per An­tonio si è aperto uno spiraglio e al­lora ha colto la palla al balzo. Detto questo, gran parte del personale Asta­na lo conoscevo, da Gabriele Tosello che mette le mani sulla mia bici a Fe­derico Borselli che guida il bus e a cui “dovevo” un ritorno. In più sono felice di lavorare anche con diesse con cui non avevo ancora avuto l’occasione di confrontarmi come Bruno Cenghialta».
Che impressione hai avuto dei compagni?
«Tra tutti c’è un buon feeling, siamo tanti latini e ci troviamo bene. L’ho no­tato fin dal primo ritiro dove regolarmente ci ritrovavamo al bar dopo cena per chiacchierare. Una situazione che si vede sempre più raramente... I giovani mi guardano e pongono domande, a me fa piacere trasmettere loro la mia esperienza. Mi aspetto buone cose da Moscon che già avevo avuto modo di conoscere in Nazionale, dopo esserci “ammazzati” più volte in gara. Gianni è un ragazzo senza peli sulla lingua e per me è un pregio. Dice le cose in faccia e non si nasconde. È onesto, genuino, festoso».
A proposito di feste, ultimamente si sono ritirati dalle competizioni grandi campioni italiani come Valentino Rossi, Tony Cairoli e Federica Pellegrini. Tu pensi mai a come vuoi lasciare lo sport?
«No, penso a ciò che io ho lasciato finora. Ogni 365 giorni alla carta d’identità bisogna aggiungere un numero, è normale che lo stop sia sempre più vicino, ma sono sereno. Quello che ho raggiunto è tanto e rimane, non sparisce. Prima o poi arriva per tutti il mo­mento di fermarsi, io però non sento ancora che è arrivata la mia ora».

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