Pogacar: «Corro e sono felice»

di Francesca Monzone

La storia di Tadej Pogacar è spe­ciale, così come lo era la sua pri­ma bici, costruita in Italia. Una bici verde in alluminio che, superato il confine, è finita tra le mani di uno dei più grandi corridori di tutti i tempi e lo ha accompagnato nelle sue primissime vittorie. Tadej il ciclismo l’ha conosciuto a scuola, perché in Slovenia là dove si impara a leggere e scrivere, si impara anche a fare sport. Tadej nato sotto le montagne ha imparato presto ad andare veloce e con il fratello si divertiva a fare delle piccole gare sulle strade di Komenda il paese dove è nato e cresciuto.
«Non potrò mai dimenticare quel periodo della mia vita così bello - ha raccontato Pogacar durante il Tour -. Ero un ragazzino felice che con la sua bici si divertiva a correre e che ancora nulla sapeva del proprio futuro».
Tadej ricorda di aver avuto una bici italiana di colore verde ed è proprio con quella che ha fatto le prime gare dimostrando subito il proprio talento. Ko­menda, piccolo villaggio ai piedi delle montagne, grazie al suo cittadino illustre è diventata meta di tanti turisti, che vogliono vedere le strade dove è nato questo bambino prodigio. Oggi quando si entra a Komenda c’è uno striscione enorme con la foto di Po­gacar in maglia gialla, quella del suo primo Tour de France. Tanta strada ha fatto Pogacar, che per la stampa mondiale è diventato Pogastar: la sua semplicità e la sua capacità di concentrazione sono racchiuse in tutte quelle frasi rilasciate alla stampa, durante i suoi 21 giorni di marcia, per conquistare Parigi.
«Lo scorso anno, se qualcuno mi avesse detto che avrei vinto il Tour, non gli avrei creduto - aveva detto Ta­dej alla vigilia della corsa gialla -. Quest’anno so che verrò tenuto più in considerazione ma non mi sento il leader della squadra». Sorridente, Pogacar partiva per la sua impresa da Brest il 26 giugno e specificava a chiare lettere: «Non sono un corridore esperto e non mi sento di impartire ordini ai miei compagni di squadra. So di essere il corridore su cui la squadra ha puntato, ma voglio che il clima in seno al team resti sereno e che se qualcuno si sente di dire qualcosa possa farlo».
Pogacar non lo ammetteva apertamente ma il leader era lui e a suo modo sapeva dare le indicazioni ai suoi compagni di squadra. Questo secondo Tour per lui è stato diverso, non ha do­vuto rincorrere e vincere solo l’ultimo giorno, stavolta, ha deciso di dettare legge fin dall’inizio, di­mostrando di essere forte veramente e non bravo so­lo a cronometro. Il primo segnale, già nella seconda giornata, con il secondo posto alle spalle di Mathieu van der Poel sul Mûr dee Bretagne. La prima vera stoccata però, ha voluto darla il 30 giugno con la cronometro di Laval Espace Mayenne, quando ha dominato la corsa segnando il miglior tempo, pur senza prendere la maglia gialla, che an­cora per poco sarebbe rimasta sulle spalle di Van der Poel.
«Sono riuscito a fare una buona prova e a guadagnare tempo sui miei avversari - ha spiegato lo sloveno al termine della quinta frazione -. Mi sarebbe piaciuto prendere la maglia gialla, non è successo, ma va bene lo stesso. La maglia gialla è speciale e mi piacerebbe poter correre durante il Tour con questo simbolo così importante».
Quel desiderio così forte non tarda troppo a diventare realtà, anzi si materializza sabato 3 luglio, quandi Tadej può finalmente mettere sulle proprie spalle il simbolo della corsa più importante al mondo. È la frazione numero 8 e a vincere sul traguardo a Le Grand-Bor­nard è stato Dy­lan Teuns: Pogacar quel giorno arriva quarto e il leader Van der Poel finisce lontano e il giorno dopo decide di non ripartire da Tignes.
«Penso che oggi sia io che la mia squadra abbiamo dimostrato di essere veramente forti. Non avevamo un piano preciso e io ho deciso che era arrivato il momento di assumermi le mie re­sponsabilità e ai miei compagni ho det­to che era ora di fare la corsa»: sulle Alpi francesi Tadej cambia la storia del Tour 108, guardando sempre avanti e mai indietro, per vedere cosa accadeva ai suoi rivali. Quel giorno il talento sloveno rivela di avere anche dei punti de­boli e di non considerarsi quel corridore invincibile che tutti pensano.
«Fino ad oggi è andato tutto bene, le mie gambe sono buone e spero che continuino così. Vediamo co­sa accadrà nei prossimi giorni: anche io potrei avere dei momenti di debolezza».
Intanto però l’incredibile sloveno prosegue la sua corsa: anche quando arrivano la pioggia e il vento, che mettono in difficoltà tanti corridori, lui prosegue dritto sulla strada che porta a Pa­ri­gi. La crisi temuta però è dietro l’angolo e sul Mont Ventoux il 7 luglio anche l’invincibile Pogacar mostra di essere umano e di patire la fatica e il caldo.
«Sono esploso - confessa Ta­dej al traguardo di Malaucene -. Non ho potuto seguire Vingegaard, avevo fatto di tutto ma non riuscivo a restare alla sua ruo­ta. Mi sono staccato ma sapevo che la vetta non era lontana e che dovevo solo resistere».
Tadej resiste e limita i danni forte an­che di quel vantaggio di oltre 5 minuti che ha in classifica sui suoi avversari: per la prima volta in difficoltà, mostra di saper correre con intelligenza. Il ta­lentuoso sloveno fa presto a riprendersi e nelle tappe successive decide di correre in difesa e aspettare che siano gli altri a prendere l’iniziativa. Pericoli non ce ne sono e la corsa chiude la se­conda settimana con Pogacar nei panni di padrone indiscusso di due classifiche diverse, perché oltre alla classifica generale è primo anche tra i giovani.
Il ragazzo di Ko­men­da però non si è montato la testa e l’unico motivo per cui non dorme sempre bene la notte sono delle scottature sulla pelle causate dal sole. In tanti iniziano ad accostare il nome di Po­gacar a quello di Merckx o di altri gran­di campioni, ma a Tadej questo non pia­ce.
«Merckx è un corridore unico e nessuno può essere accostato a lui. Non mi piace quando vengono fatti questi pa­ragoni, perché ogni corridore è di­verso da un altro, diverse le epoche, diversi i momenti».
Rifiuta paragoni ma Tadej Pogacar ha un talento straordinario che lo rende diverso dagli altri corridori. Ad appena 22 anni ha vinto grandi giri e Classiche Monumento, facendo segnare tanti nuo­vi record.
Nella terza settimana la superiorità dello sloveno che corre con la UAE Emi­rates è innegabile al punto che, quando uno dei suoi avversari lo attacca, lui risponde senza problemi, annullando ogni azione. Ma Tadej non si accontenta di correre in difesa e vuole dimostrare di essere veramente il re del Tour e il teatro per le sue imprese stavolta sono i Pirenei. Il primo acuto arriva al Col du Portet, traguardo della frazione numero diciassette quando si lascia alle spalle il danese Vingegaard e l’ecuadoriano Carapaz.
Il giorno seguente si ripete a Luz Ar­diden davanti agli stessi avversari che poi saliranno con lui nell’ordine anche sul podio finale di Parigi. E già che c’è conquista anche la sua terza maglia, quella a pois di leader dei Gran Premi della Montagna proprio come nell’edizione 2020 e come prima di lui il solo Eddy Merckx aveva fatto.
Pogacar sa correre e sa vincere e nel gruppo viene rispettato, perché le sue doti di leader sono innegabili. Parla sempre be­ne dei suoi avversari e quando nel plotone arriva il momento di rallentare per attendere corridori coinvolti in ca­dute nelle fasi iniziali di una delle ultime tappe, non si tira indietro ma da condottiero in maglia gialla, va in testa al gruppo a parlare con chi sta pensando di organizzare il proprio attacco.
«Non ho fatto nulla di speciale in real­tà. Sono andato a parlare con chi era davanti, ho chiesto di aspettare gli altri che erano dietro, ho spiegato che non serviva a nessuno perdere altri corridori. In questo Tour tante squadre hanno dovuto rinunciare a dei corridori, noi della UAE Emirates siamo stati fortunati, ma sappiamo che ci sono stati team addirittura dimezzati e altre cadute non sarebbero servite a nessuno:  arrivati quasi alla fine della corsa, avrebbero avuto il solo effetto di rovinare il lavoro di tre settimane di gara».
Il Tour de France non è tutto rose e fiori, non sono mancate domande scomode né illazioni che portavano sulla strada dell’illecito, ma Pogacar ha sempre allontanato qualunque accusa di­fendendo se stesso e la sua squadra.
«Sia io che il mio team non abbiamo nulla da nascondere. Siamo con­trol­lati continuamente e anche le no­stre bici vengono regolarmente sottoposte a controlli dai responsabili UCI. Sarebbe im­pensabile con tutti questi controlli fare qualche illecito e di certo non è una cosa che ci appartiene».
Alcuni giornalisti hanno anche chiesto a Tadej se fosse disposto a fornire i da­ti dei suoi allenamenti e anche in questo caso il campione in maglia gialla è stato molto chiaro.
«Un giorno potrei anche fornire i miei dati, ma non penso che possa servire a svelare qualcosa di particolare. Servi­reb­be solo a dare un vantaggio ai miei avversari, che in questo modo potrebbero vedere il tipo di potenza sviluppato».
Anche in questo Tadej ha di­mostrato la sua serenità e senza crearsi inutili patemi ha continuato la sua corsa verso Pa­rigi. Partito per ultimo nella cronometro di Saint-Emilion, ha concluso al se­sto posto con 57” di ritardo da Van Aert. A 24 ore dalla fine del Tour Pogacar non deve più dimostrare niente a nessuno, perché a Parigi sarà stato ancora una volta lui il protagonista più applaudito.
Pogacar sugli Champs Elysées ha portato a termine la sua seconda grande battaglia, dimostrando che a 22 anni, è possibile salire due volte di seguito sul tetto del mondo. Ha ringraziato e ab­bracciato i suoi avversari, definendoli dei grandi corridori e ribadito che po­trebbero essere loro, il prossimo anno, a portare la maglia gialla a Parigi.
«Vinco perché in bici mi diverto - spiega Tadej a Parigi - Se non trovassi divertente quello che faccio, allora non potrei vincere. Amo andare in bici e correre e questa è la sola cosa importante per me. Nessuno lo scorso anno si sarebbe aspettato la mia vittoria e io sarei stato felice anche del secondo po­sto. Quest’anno è stato diverso e sono riuscito ad apprezzare di più ogni cosa, anche se c’era più stress. In questa cor­sa ho dato tutto quello che avevo e non penso che avrei potuto fa­re meglio di così».
Tadej ha voluto anche spiegare un volta di più che il successo non lo ha cambiato e che è rimasto il ragazzo di sempre, quello che ama la vita e stare in famiglia.
«Le vittorie e i successi non mi hanno cambiato nel tempo. Sono soltanto au­mentati gli impegni con i media, che spesso mi ripetono le stesse domande. Io sono lo stesso che ama correre in bi­ci e che, appena possibile, va a casa per trascorrere del tempo con la famiglia e con gli amici. Sono così, un ragazzo semplice».
Finito il Tour de France Tadej Pogacar non ha avuto il tempo di festeggiare e da Parigi è subito partito per Tokyo, dove ha corso la sua prima Olimpiade, un’esperienza straordinaria, che lo ha portato a conquistare la medaglia di bronzo, con Van Aert secondo e Ca­rapaz questa volta, sul gradino più alto del podio.
«Ho dato il massimo e sono felicissimo di essere salito sul podio olimpico. Ho attaccato sulla salita più impegnativa perché pensavo fosse la cosa migliore da fare in quel momento: non ho fatto la differenza, ma non ho nessun rimpianto».
Pogacar è giovane, ma sa affrontare la vita con spirito di sacrificio e la voglia di guardare al futuro, con la consapevolezza che nelle gare è possibile vincere ma anche perdere.
«Non so quanti altri Tour de France correrò, ma so per certo che mi piacerebbe disputare anche il Giro d’Italia e tornare alla Vuelta. Ogni grande giro è bello e sono certo che riuscirò a far bene anche in Italia e Spagna, ma vorrei anche correre ancora delle Clas­si­che, perché ogni corsa è speciale e quando corro io sono felice».

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