Qua la mano, Di Rocco
di Cristiano Gatti
Tra le tante allegre fantasie che possiamo concederci per il 2021, la prima quella di una banale normalità, almeno una certezza reale l’abbiamo già: tra poco ci ritroveremo un nuovo presidente. Magari del consiglio, sicuramente della federazione ciclistica italiana. Cioè un nuovo capofamiglia per la grande famiglia della bicicletta.
Per accogliere e salutare la persona che si caricherà in spalla un bel po’ di grane, certamente più delle innegabili vanaglorie, abbiamo tutto il tempo. Qui, adesso, a me preme rivolgere un saluto a chi lascia la scrivania, o il trono, o il tappeto chiodato, dopo tanti anni di gestione: Renato Di Rocco.
Non voglio farla tanto lunga, nemmeno usare le formule standard di circostanza, sublimi quelle delle società di calcio che silurano gli allenatori, mai e poi senza aver “ringraziato il tecnico per l’impegno e la serietà del suo lavoro”, cose che ti lasciano sempre spalancata la domanda infantile ma dio buono, se era tanto bravo, perché lo state cacciando a calci nel didietro?
No, per Di Rocco non servono queste ipocrisie. Io non ne sento la necessità. Sinceramente, apertamente, lealmente, voglio rivolgergli comunque un saluto grato. Adesso che se ne va, non lo faccio santo ed eroe, men che meno martire. Ne voglio parlare per quello che davvero è, per come realmente lo considero e lo ricorderò. Cioè un buon presidente e un buon capofamiglia.
Certo non sarò mai io a dire che ho condiviso per filo e per segno tutta la sua opera, tutte le sue scelte, tutte le sue idee. Un sacco di volte mi sono trovato in disaccordo, spesso non ho sopportato il suo modo molto politico e calcolatore di affrontare certe questioni vitali, ma alla fine devo ammettere che in quel ruolo, a quei livelli, i metodi troppo estremi e radicali non portano quasi mai a grossi risultati (ragion per cui, lo dico senza problemi, gente della mia pasta farebbe solo danni). Dove bisogna tessere e mediare servono tessitori e mediatori, questa la verità. E da questo punto di vista Di Rocco si è rivelato uno dei più abili e dei più instancabili. Certo, anch’egli ha subito (ha dovuto subire) in tanti passaggi la tracotanza del superpotere franco-Tour, che ormai ha allungato i suoi tentacoli in tutti gli angoli del pianeta ciclismo. Ma in ogni caso, dentro e fuori l’Italia, Di Rocco ha sempre cercato di salvare il salvabile nell’interesse italiano, il poco concesso. Questo nessuno glielo può negare. E poi c’è il resto.
C’è che comunque Di Rocco resterà nella storia come un presidente dignitoso e presentabile. Lo dico perché nella mia sporca vita ho conosciuto tanti dirigenti della politica sportiva, dentro e fuori il ciclismo, partendo dalle società di base per finire ai massimi vertici del Coni. Ecco, proprio alla luce di questi paragoni, devo riconoscere che Di Rocco non sfigura con nessuno. Un presidente sottile, arguto, sveglio. Non un presidente tagliato con l’accetta, nemmeno un presidente vacuo e damerino: semplicemente, un presidente con una sua misura, un suo livello, un suo decoro. Senza un briciolo di boria e di manierismo baronale, il che proprio non guasta: ancora prima che arrivasse l’era della politica pop, lui era già un dirigente pop, senza però svaccare mai nel populismo volgare e sguaiato. In altre parole: un presidente con tutti i suoi limiti e le sue pecche, ma mai e poi mai un presidente di cui il ciclismo abbia dovuto vergognarsi. In nessun momento, nemmeno nei più bui di tanti passaggi critici. Tra le altre cose, alcune perle che non dimentico: la sua commozione davvero sincera e partecipata, niente a che vedere con i doveri d’ufficio, nei giorni dei nostri lutti profondi, per i Ballerini, per i Martini, per i Gimondi, per i Mura, per i ragazzini falciati in allenamento. In quei momenti, oltre il presidente, abbiamo visto un uomo. Non una cosa trascurabile.
Darei una brutale inchiodata prima di sfondare il recinto della sincerità e ritrovarmi nella prateria dell’adulazione e della piaggeria, che lascio volentieri ad altri. Auguro al successore di governare anche meglio, se possibile, ma prima ancora di mantenere lo stesso livello della gestione Di Rocco. Il ciclismo italiano va ad affrontare un tempo per niente carino, pieno zeppo di problemi, e per piacere non cadiamo nella faciloneria imputando proprio a Di Rocco l’origine di tutti i mali. Di Rocco, se mai, ha tenuto botta in un’epoca segnata da botte continue. Chi arriva adesso, povero lui, deve tentare una riscossa che manderebbe in crisi d’identità anche Batman e l’Uomo Ragno. Da Di Rocco, però, il nuovo presidente può raccogliere e tenersi stretto il testimone più importante, che ha contraddistinto l’intera sua reggenza: anche quando là fuori succede di tutto, mai perdere la testa, men che meno la faccia.