Viaggiando tra memoria e malinconia nella stagione 2004, quello che più mi allarga il cuore non è tanto l’immagine legata a una singola impresa o a una singola giornata, quanto piuttosto il suo senso generale. Quando si tirano le conclusioni di un periodo storico, oltre ad elencare e a scandire i singoli fotogrammi della cronaca, bisogna sforzarsi di leggere la trama e il significato dell’intero film. Ebbene, il film che stiamo riavvolgendo si porta dietro una morale chiara e definitiva: finalmente, si volta pagina.
Mai dimenticare da dove si viene. Soltanto otto o nove mesi fa, noi ci chiedevamo chi mai avrebbe rimpiazzato Marco Pantani - così penosamente uscito di scena - nel cuore e nelle fantasie del grande pubblico. Orfani di un mito, smarriti nell'affannosa ricerca di un posssibile rimpiazzo, in definitiva ci si aggrappava alle rimanenze di Cipollini, peraltro già consapevoli che pure nel suo caso si stesse andando inesorabilmente all’esaurimento scorte. Altro? Petacchi, certo: anche se molti assicuravano che ripetersi sarebbe risultato più difficile che stupire. E poi il solito Bettini, che però paga da sempre un deficit di popolarità per questa sua incapacità a recitare un ruolo nei grandi Giri. Tutto qui. Non avevamo altro.
P ochi mesi e rieccoci qui a contemplare un panorama completamente stravolto. Vincendo le Olimpiadi, Bettini ha finalmente sfondato oltre i ristretti confini del pubblico di nicchia: di questo sono sinceramente contento, perché se lo merita (la speranza, l’invito, è che completi l’opera con una bella settimana in rosa o in giallo). Quanto a Petacchi, non ne parliamo neppure: quello ormai ha lo stampo, ovunque si presenti sforna vittorie e record in quantità industriale (resta solo il neo del Tour, rovinato per cause di forza maggiore). Fuori dal ciclismo, ormai, Petacchi è un marchio di fabbrica: anche le zie, le pettinatrici e i fanatici del basket si inchinano al suo prestigio.
Poi, loro due. Soprattutto, loro due. Cunego e Basso, la ventata di freschezza che vale una primavera di Praga. Non starò certo qui a elencare le loro imprese e i loro meriti: tuttoBICI ha gli spazi e gli uomini giusti per farlo con precisione infallibile. Per quanto mi riguarda, voglio ribadire a caratteri lampeggianti e psichedelici il senso della loro esplosione. Certo, a livello tecnico è un epocale ritorno al ciclismo full-time, da marzo a ottobre, e full-optional, con grandi gesti sia nelle corse a tappe che in quelle di un giorno. E già qui saremmo in piena rivoluzione. Ma c’è qualcosa di ancora più meritorio e determinante, nell’esplosione dei nostri due ragazzi: c’è il senso pieno di un salutare ritorno alle cose normali. A facce, parole, atteggiamenti di un tempo sereno, che finalmente si riapre dopo l’interminabile stagione degli astii, dei rancori, dell’eterna insoddisfazione. Inutile usare leggeri eufemismi: la spietata legge della vita e del tempo ha finalmente deciso di chiudere le porte in faccia alla generazione degli anni Settanta, che a livello umano ha lasciato nell’ambiente scorie tossiche e radioattive. A partire dalle pantanate per arrivare sino alle ultime rebellinate: non sto a fare i singoli esempi di una casistica enorme, che coinvolge tante figure di primo piano, ma tutti quanti sappiamo bene di che cosa si tratta. Un modo strano di essere campioni (in qualche caso senza esserlo neppure), un modo avvelenato di gustare persino le vittorie, sempre girandole in recriminazioni, in messaggi trasversali, in conti da regolare.
Grazie al cielo, quest’era di tenebre è finita. Ne comincia un’altra, luminosa e leggera, di campioni amabili, leali, in pace con se stessi. Bettini e Petacchi già arrivati a maturazione, Basso e Cunego nel pieno dell’età migliore: tutti assieme contribuiscono a delineare un ciclismo nuovo e diverso. Nella reputazione, nell’immagine, nella personalità. Di tutto questo, personalmente li ringrazio. Ad uno ad uno. Augurando a loro e a tutti quanti noi che la primavera di Praga duri molto a lungo, facendoci dimenticare in fretta il malcostume e il disagio degli anni di piombo. In fondo, basterà reggere il peso del successo e delle rivalità come hanno fatto sinora. Con un’accortezza, vitale e decisiva: buttare dalla porta a calci nel didietro i tanti consiglieri che inevitabilmente, con l’aumento della fama e del settequaranta, si accodano in scia. Il più delle volte, sono solo piccoli uomini che sfruttano l’amico famoso per liberare le proprie meschine frustrazioni. Riconoscerli e tenerli a bada, purtroppo, è più dura che vincere la Liegi-Bastogne-Liegi.
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