IL PROBLEMONE
di Cristiano Gatti
Ma davvero noi dobbiamo stare qui a romperci la testa per il destino delle Olimpiadi? Davvero dobbiamo perdere tempo ed energie per incastrare acrobaticamente i campionati e le coppe di calcio, le corse ciclistiche, le gare di canottaggio? Davvero abbiamo ancora la forza e il coraggio per perderci in questo genere di problemoni?
Senza girarci troppo attorno, vorrei dire chiaro e tondo che mi fa veramente pena assistere a questi dibattiti tra federazioni di vario livello, ma anche tra addetti ai lavori di tutte le risme. Sarà che da due mesi ormai vivo dentro ai lutti e alla malattia con mani e piedi, dentro fino al collo, fino a non poterne più, sarà che le mie forze e le mie energie sono limitate, ma sul serio arrivo quasi a invidiare chi ancora riesce ad astrarsi, a considerare lo sport un compartimento separato, una zona franca della vita reale. Un po’ è invidia, ma un po’ è proprio rabbia: lo confesso. Guardo la gazzarra e mi chiedo: ma come fanno, ma com’è possibile?
Eppure, imperturbabili, ce la fanno. Diranno: è il nostro compito, è il nostro ruolo, è il nostro mestiere. E mi sta bene. Però avreste almeno il dovere di affrontare le questioni con la dovuta misura, con la giusta sensibilità. La faccenda non è poi così complicata: prima, salvare la pelle. Di tutti quanti. Atleti compresi. Il resto, dopo. In secondo piano. Appena possibile.
Non è accettabile, è un vero sconcio, assistere invece a questa fase della politica sportiva. Con i primi morti ancora caldi, il pollaio tutto preso a tenere in piedi, costi quel che costi, il grande show. Partite giocate quando ormai era chiaro che gli assembramenti andassero evitati (come la peste, sì, senza metafore), poi il patetico escamotage degli incontri a porte chiuse, buoni solo per diffondere il contagio tra le squadre, e poi le corse, le nostre corse, con i meravigliosi francesi, puntuali con se stessi e con la propria supponenza, a mandare avanti comunque, contro ogni logica e ogni prudenza, la Parigi-Nizza. Eccetera, eccetera.
Infine, a bocce ferme, quando ci ha pensato il COVID-19 a sistemare le cose, il via al pensatoio. Oddio, i calendari. Adesso come sistemiamo i calendari? Brava gente. Santa brava gente. Con la popolazione che muore, il problema sono i calendari. Ma io dico: in guerra, al fronte, tu pensi a quando cambiare la macchina? È questo il tuo grado di consapevolezza, la tua gerarchia personale, la tua scala di valori, di fronte alle chiamate della vita? Se è così, lasciatelo dire: sei ben poca cosa. Dai retta: pensa a salvare la pelle, solo a questo. Per il resto, a tutto c’è una soluzione. Parlandone da vivi.
La fai facile tu, mi tacceranno dall’alto delle loro roboanti cariche istituzionali. La fai facile, ma qui ci sono interessi enormi da tutelare. C’è un comparto economico da salvare. E come no. È davvero una situazione pesantissima. E chi lo nega. Siamo ai limiti estremi. Ma c’è un piccolissimo, decisivo fattore: lo stesso che separa la vita e la morte. E allora prima bisogna pensare a evitare questo confine. Poi ai problemoni umani.
E perchè non si dica che sto troppo sul generico, vado allo specifico. I Giochi olimpici. Il problema con la P maiuscola, il padre e il nonno di tutti i problemi. Adesso finalmente hanno deciso, anche se non per improvvisa saggezza, ma di fronte alla raffica di rinunce dei singoli stati (diciamoci la vera verità): si va al 2021.
Alla buon’ora: io, nel mio piccolo, pensavo al rinvio fin dal primo giorno di questa catastrofe. Impensabile? Troppo complesso? Sai che impresa. Per soldi facciamo qualunque cosa, sono certo che riusciremo a fare pure questa. Nel 2021 avremo sperabilmente l’animo più sgombro e più leggero, così da gustare come Dio comanda il grande spettacolo. Tenerlo in piedi in qualche modo, solo per logiche economiche, nel 2020, quello sì si sarebbe rivelato un mostro deforme. Sarebbe stato snaturarlo e deturparlo, costringendoci a guardarlo con mestizia e mal di pancia. Senza senso.
E comunque, a quelli che dicevano non si può fare, è un evento troppo importante, semplicemente rispondo così: gli Europei di calcio li hanno spostati con un battito di ciglia, subito, senza ingrossarsi il fegato. E io, che penso sempre male, ho pensato: sta a vedere che gli Europei si possono spostare come soprammobili della suocera, senza crisi di coscienza, solo perché valgono meno. Comunque meno dei campionati e delle Coppe, che mettono i denari veri nelle tasche delle Società per azioni.