Il Giro ad agosto per salvarsi
di Gian Paolo Ormezzano
Ne abbiamo già accennato ma siamo adesso come travolti dal troppo facile successo della nostra idea per il rilancio del Giro. Essendo un’idea giornalistica ed essendo noi giornalisti del genere di quelli che sembrano sempre tagliati fuori dal tempo e dal successo, ci viene il timore che questa stessa idea sia bene accolta perché ritenuta insieme matta ed irrealizzabile: quel genere di idee che abbelliscono e non impegnano, idee da cazzeggio, da discussione teorica.
Beh, l’idea è questa: il Giro d’Italia in agosto, la seconda parte, se possibile con tre settimane di distanza dal Tour, sennò con due. In agosto altrimenti muore.
Premessa: ormai il Giro ha perso la battaglia del calendario contro il Tour ed anche contro la Vuelta. Se viene troppo anticipato, rischia la neve sulle montagne. Altrimenti sbatte contro al Tour, viene disertato da troppi di quelli che contano, e al massimo può sperare che un grande lo usi come prova di allenamento alla grande boucle. La Vuelta gli ha tolto il settembre premondiale (ma sarebbe stato anch’esso a rischio di neve, almeno sulla falsariga del classico fluire delle stagioni).
Il Giro a maggio-giugno ha strade con poca gente, perché sono mesi di lavoro pieno: il grande successo di pubblico al Tour è dovuto anche al fatto di essere una manifestazione che si propone ai vacanzieri. Il Giro a maggio-giugno ha problemi di conflitto, teleconflitto, specialmente, con il calcio, che esaurisce in quei mesi campionati e soprattutto coppe, quando non si raggruma in un Europeo o un Mondiale. Il Giro a maggio-giugno è destinato al dimagrimento costante. E dunque allo scarico da parte dei grandi sponsor, della grande audience. Sino alla morte.
Vediamo adesso il Giro ad agosto, precisiamolo subito geograficamente: lo vedremmo come un Giro delle spiagge. Tappe intitolate alle grandi spiagge. Circuiti nei posti delle vacanze di massa. Già adesso il Giro è un andare da una località turistica all’altra: non si farebbe che accentuare ed ufficializzare questa cosa. Non ci sarebbe la tappa da X a Y, ma la tappa della località Y, della località X. Poi qualche tappa di montagna, si capisce, nel senso classico di trasferimento.
Ad agosto il Giro avrebbe non solo grandi pubblici, ma grandi attenzioni da parte di gente psicologicamente in dovere di seguire, dalla sedia a sdraio lungomare, le gesta dei forzati, dei fachiri. Gente con un vago senso di rimorso. Gente molto comprensiva. Gente italiana e internazionale.
Toccherebbe ai corridori dargli validità tecnica ed agonistica: ma non ci dicano che le marcette di trasferimento di adesso sono, sarebbero meglio dei giri con gare sul tracciato lungomare. Naturalmente il taglio dovrebbe essere studiato bene: Giro della bella Italia, Giro delle bellezze d’Italia, e magari Giro delle spiagge d’Italia, senza tante storie. Siamo o no il paese più mediterraneo che ci sia?
Un Giro così, in agosto, potrebbe persino venire offerto come una sorta di rivincita del Tour. E come un avvicinamento al Mondiale. In fondo per la gente un impegno agostano sulle tre settimane di gare un giorno dopo l’altro deporrebbe a favore della serietà e del senso di sacrificio dei ciclisti e dunque della validità della prova tutta ben più che una serie di corse in linea da poco, anche se in alcuni casi per la classifica di Coppa del Mondo (alla quale comunque la gente, e più che mai la gente vacanziera, è indifferente, anzi non presta la minima attenzione).
Ci rendiamo conto che si tratta di proposta iconoclastica, per alcuni persino blasfema. Però bisogna scegliere fra un Giro che muore ed un Giro che stravive. Va da sé che l’ideale sarebbe un altro, ma dicono che non è più il tempo degli ideali. E poi un Giro fasullo, corso dagli stranieri soltanto per allenarsi al Tour, dai nostri soltanto per preparare il Tour oppure per avere, con un Giro buonino, l’alibi onde non impegnarsi allo spasimo al Tour, la scusa per fallire il Tour, ci sembra più gaglioffo del nostro Giro delle spiagge.
E si avrebbe persino un bel contorno di pubblico. Anche nel senso bikinistico o addirittura toplessistico che vi è subito venuto in mente.
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Visto l’andazzo delle prime pagine dei giornali sportivi, nonché delle pagine che aprono la sezione sportiva dei giornali politici, ci possiamo chiedere cosa deve fare, dare, ammollare il ciclismo per ottenere il titolo principale, e contro quali avversari ha speranza di battersi con dignità.
Chiaro ad esempio che non esiste speranza in chiave di mercato calcistico. Niente da fare: Il passaggio di Piripacchio dal Roccacannuccia al Forlimpopoli è imbattibile, nel senso che nessuna performance sportiva gli può togliere il primato di spazio, di vistosità, di attenzione devota. Già soltanto la voce del possibile trasferimento può bastare, ma se poi il trasferimento è ufficiale, con tanto di presentazione dello stesso Piripacchio con la nuova maglia, non c’è match.
Qualcosa il ciclismo può sognare opponendo un titolo mondiale a una slogatura di una caviglia, un titolo mondiale ad un titolo qualsiasi conquistato da qualcuno nel calcio (possibilità di spartire l’unione tipografica delle due situazioni: calcio e ciclismo campioniiiii). Nessuna speranza di fronte alla presentazione di una nuova squadra. Al massimo una manchette.
Stiamo esagerando? Potete controllare direttamente, anzi abbandonarvi al divenire dei titoli, giorno dopo giorno. O se volete fare un esercizietto di memoria fresca, pensare a come sono stati sbattuti fuori dalle vetrine giornalistiche gli eventi dei campionati mondiali di atletica (fine agosto, Parigi) dalle amichevoli calcistiche. E l’atletica viene ogni tanto riverita come il massimo sport del mondo, e quelli erano i suoi campionati più alti. E le amichevoli calcistiche erano fasulle, assurde, inventate per la televisione e i suoi gonzi in qualche modo paganti.
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