BOUHANNI. «Lo sprint è arte, come la boxe»

PROFESSIONISTI | 01/12/2014 | 08:10
La maglia rossa gli è piaciuta tal­mente tanto che ne ha vo­lu­ta una per i prossimi tre an­ni. È stato proprio durante il Giro d’Italia - nel quale ha vinto tre tap­pe e conquistato la maglia rossa della classifica a punti - che Nacer Bou­han­­ni ha scelto di colorare di rosso tut­to suo futuro accettando la proposta della Cofidis.

«Il progetto di Yvon San­glier - spiega lo sprinter - mi ha convinto sin dall’inizio per­ché in Cofidis c’è la volontà di co­strui­re qualcosa di nuovo. Mi vo­levano anche Omega Quick Step, la nuova Can­nondale e la AG2r, ma ho scelto la Cofidis per il progetto. No, non per i soldi, avevo delle offerte molto simili, ho scelto l’idea. Ma non credete a chi vi dice che i sol­di non con­tano, perché vi sta mentendo».

E di soldi Bou­han­ni ne guadagnerà tan­ti (una cifra compresa fra 1 e 1,5 milioni di eu­ro a stagione) al punto da diventare il corridore francese me­glio pagato del mo­mento.
Confermandosi campione decisamente sui generis, Bouhanni ha fatto tutto da solo dopo aver concluso il rapporto con il suo procuratore Paul de Geyter.
«Accanto a me ci sono papà Karim e il mio allenatore Jacques Decrion che mi seguirà alla Cofidis: sono persone fidate e mi bastano. Il resto, non serve».
A far da solo, Nacer ha imparato sul ring, quando tirava di boxe: «Il ring è una scuola di vita, anche se molti non lo sanno. Prendete quanto accaduto alla Vuelta: dopo la scazzottata in corsa tra Brambilla e Rovny, Oleg Tinkov ha twittato dicendo a Brambilla di sfidare me la prossima volta anziché il suo corridore. Non me la sono presa, ci mancherebbe, ma ricordo anche a Tinkov che il pugile è uno sportivo vero e che il rispetto per l’avversario è la prima cosa che ti viene insegnata. Lo imparerebbero tutti, se entrassero almeno una volta in una palestra dove si fa pugilato. La boxe mi ha insegnato anche a gestirmi al meglio e questo è importante negli spirnt. Nella boxe si studia l’avversario fino a scoprirne il punto debole e poi è lì che si va a colpire cercando di co­glie­re l’attimo giusto, lo stesso ac­cade negli sprint dove devi cogliere il momento giusto per far esplodere la tua potenza».
Con la stessa determinazione, Bouhanni ha affrontato anche Marc Madiot, il team manager della FDJ.fr: «Gli ho detto in faccia tutto quello che pensavo, come era normale che facessi. È stato un confronto franco, duro. Quando ho dichiarato a L’Equi­pe Magazine che combattevo armato di pistola contro chi aveva un bazooka, intendevo criticare la mancanza di chiarezza di Marc. Quest’anno mi ha mandato a provare la San­re­mo e poi non mi ha convocato, lo scorso anno ha detto a Gregory Soupe che non avrebbe fatto il Tour tre giorni prima della partenza eppure sapeva che io avevo bisogno di un uomo come lui... Basta dirle per tempo, le cose: se non vuoi farmi disputare la Sanremo, dimmelo ed io mi concentrerò su qualcos’altro, che male c’è?».

Quindi la mancata convocazione per il Tour de France di quest’anno non c’entra nella sua decisione di cambiare team?

«Durante il Giro, nella mia testa sapevo che non avrei fatto il Tour ed è per quello che mi sono concentrato sulla conquista della maglia rossa. Ma anche in questo caso Marc ha sbagliato: se mi avesse detto all’inizio della stagione che non avrei corso il Tour, mi sarei gestito in maniera diversa».

Un passo indietro: quando ha iniziato la sua avventura in bicicletta?
«Avevo sette anni e nella prima gara che ho fatto mi sono trovato di fronte un certo Thibaut Pinot: primo io, secondo lui. Da allora ho sempre corso per vincere, è qualcosa di cui sento forte il bisogno. Quando mi attacco il numero sulla maglia, lo faccio per vincere e in corsa conta solo quello. So bene quello che ho fatto per arrivare dove sono e quello che devo fare per continuare a vincere, per migliorare ancora. Con la Cofidis, per esempio, ho iniziato subito a lavorare nella galleria del vento: ho già una buona posizione aerodinamica, ma qualcosa di meglio si può fare. Ed è giusto farlo».

E lo stress?

«Non lo sento. Sento la corsa molto più quando gareggia mio fratello Yraya­ne (campione francese degli ju­nio­res, ndr) di quando invece tocca a me. E poi ho il mio antistress personale, si chiama Geoffroy Soupe. Ci siamo co­nosciuti ad un campionato giovanile francese, ero arrivato quarto e i dirigenti della squadra dei Vosgi, per la qua­le correvo, mi avevano sgridato per il mio comportamento troppo indivi­dua­lista. Geoffroy è stato l’unico a ve­nire a consolarmi e da allora siamo amici, compagni di camera e di allenamento, ma soprattutto complici. Senza regole, perché possiamo stare anche tre settimane senza sentirci, ma complici veri. Lui e Jacques (Decrion, l’allenatore, ndr) sono stati gli unici elementi indiscutibili al momento di siglare il contratto con la Cofidis».

A proposito di Cofidis, Bouhanni ha le idee ben chiare su quel che sarà il suo treno nella prossima stagione.

«Nella mia testa ho pensato a Do­mi­ni­que Rollin come primo uomo, poi Jo­nas Ahlstrand che arriva dalla Giant Shimano, quindi Adrien Petit e infine Geoffroy Soupe. Ma questa è la mia idea, ne parleremo insieme in occasione del primo ritiro. Ci sarà bisogno di correre insieme e di oliare gli ingranaggi, ma soprattutto è importante che ognu­no si senta a suo agio nel ruolo che ricopre. E come sul ring: ognuno di noi deve essere pronto a misurarsi con l’avversario e a piazzare il colpo giusto al momento giusto. Semplice, no?».

Paolo Broggi. da tuttoBICI di novembre
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