IL CALCIO SENZA SPONSOR GODE: È LA POLITICA BELLEZZA
APPROFONDIMENTI | 27/08/2014 | 12:58 Facciamo una digressione pallonara, così tanto per tirarci un po' su il morale, per quel vecchio e mai sorpassato adagio che recita mal comune mezzo gaudio. Però c’è un però, il sospetto che il tanto amato calcio stia in piedi più per ragioni politiche che di reale passione e leggi di mercato è più che fondato.
Per il mondo dorato del calcio non vale la legge della domanda e dell'offerta. Le tivù a pagamento delle squadre di serie A sono un fallimento, faticano maledettamente e molte sono già state chiuse. Gli stadi, tolte poche eccezioni, sono vuoti, anche in serie A (non parliamo delle serie inferiori). Ben sette squadre, come scrive oggi in un interessatissimo pezzo Massimo De Santis su La Stampa, non hanno lo sponsor. Si, Cesena, Fiorentina, Genoa, Lazio, Palermo, Roma e Sampdoria non hanno il main-sponsor. Vivono solo e soltanto perché ci sono le televisioni che versano nelle loro casse cifre da capogiro. La Roma made in Usa, ad esempio, ha fissato l’asticella per l’incasso dal «main sponsor» a 14-15 milioni e non intende abbassarla più di tanto. Il risultato? Maglia priva di sponsor. «Non possiamo abbassare il valore del nostro brand», fanno sapere. Ma se è vero come è vero che il prezzo lo fissa il mercato e dal mercato non trovano niente che si pongano delle domande.
La cartina di tornasole arriva anche da chi, per sua fortuna, gli sponsor ce li ha: quasi tutti marchi nostrani, pochissimi provenienti da fuori. Non come avviene, persino nelle serie minori, in Inghilterra, Spagna, Francia e Germania. Il dislivello, d’altronde, è evidente sotto tutti gli aspetti. Anche sul prezzo d’etichetta: 15,750 milioni di euro all’anno della Tim per griffare la serie A contro 50 milioni di sterline a stagione della Barclays, a breve neanche più sufficienti per targare la Premier League. Ogni differenza non è affatto casuale.
Scrive Giuseppe Battero sempre su La Stampa. « Sette anni consecutivi di bilanci in perdita, un indebitamento netto che ha sfondato il miliardo e mezzo. E le prospettive, spiegano dalla società di revisione Deloitte, sono cupe. A strangolare il sistema calcio, concordano gli analisti, è un mix di dilettantismo, investimenti sbagliati e conti perennemente in rosso».
E ancora: «Se le società fossero normali imprese private molte di loro avrebbero già portato i libri in tribunale», spiega l’economista Tito Boeri. Ci sono eccezioni, ovviamente. Nella «Football Money League», la classifica che fotografa i ricavi dei club europei, la Juventus - l’unica a poter contare su uno stadio di proprietà - è al nono posto, e il Milan si piazza subito dietro. Gli altri arrancano. Tra le leghe europee la nostra si piazza al quarto posto, ma la Francia ha messo la freccia. Non è un caso che gli sceicchi abbiano investito sul Paris Saint Germain: nel giro di tre anni ha quadruplicato i ricavi».
Come dicevamo, al momento l’ossigeno arriva soprattutto dai diritti tv. Ma si tratta di un’arma a doppio taglio, che preoccupa anche i vertici della federazione. Il mercato è «nelle mani di un numero ristrettissimo di media - si legge in un report della Figc -. Se dovessero valutare il loro investimento come non più profittevole o decidere strategicamente di non investire più nel nostro Paese, il sistema sarebbe improvvisamente ridimensionato». L’appeal delle nostre gare, tra l’altro, è in picchiata. Nella Premier League i diritti esteri valgono 908 milioni di euro, qui 117 (2013/14).
Questo per dire che cosa? Il ciclismo arranca, fatica a trovare gli sponsor per creare squadre, organizzare corse e fare attività di ogni genere. Il calcio non se la passa meglio, ma con alle spalle una politica pronta a tamponare o a “suggerire” soluzioni e a favorire incontri, al momento vive ancora una realtà che è molto distante dalle vere logiche del libero mercato. Nel ciclismo si deve fare impresa, nel calcio no: c'è la politica bellezza.
Pier Augusto Stagi - direttore di tuttoBICI, tuttobiciweb e tuttobicitech
Mi perdoni direttore, le partite in tv, da cui derivano gli abbonamenti alle paytv e quindi la valutazione dei diritti, le guardano i politici?
giornalisti
27 agosto 2014 18:17siluro1946
La gran cassa suonata dai giornalisti allineati ai "talebani" del doping, hanno permesso di sottrarre milioni di euro al ciclismo. Sponsor di livello nazionale ed internazionale hanno spostato i loro investimenti pubblicitari verso altri sport, soprattutto verso il calcio. Potrebbe seguire un lungo elenco, uno per tutti, Mapei.
Del doping non sono certo colpevoli i giornalisti, ma dell'enfasi e della ricerca spasmodica della notizia, assieme ai talebani professionisti dell'antidoping, sicuramente si.
Direttore, cosa dice?
27 agosto 2014 22:39Monti1970
Il calcio sarà anche in crisi, ma non come il ciclismo! In Italia quando si parla di sport si parla solo ed esclusivamente di calcio, gli italiani e anche gli stranieri che vivono in Italia parlano solo di calcio,alcuni di F1 ,altri di motociclismo ,pochi altri di tennis di basket e pallavolo. Solo pochi anziani si sono interessati al ciclismo e solo durante il tour
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