Fabio Genovesi vince il Giro attorno alle umane passioni

LIBRI | 03/11/2013 | 15:29
Rarissimo esempio di scrittore italiano gonzo, nato per caso ma anche per fortuna a Forte dei Marmi, Fabio Genovesi è stato, per sua stessa ammissione, un «tentativo di persona», per giunta abituato a vivere di espedienti.
Almeno fino a quando l'editore Transeuropa gli ha pubblicato Versilia Rock City (2008). Come descrivere questo esordio? All'incirca così: atipico romanzo on the road che si svolge quasi esclusivamente per le strade del Forte, sgangherata storia di formazione con commovente visione finale sul mare e sul nulla, satira scatenata del ricco e del povero, ode furiosa all'heavy metal, panegirico non dichiarato di Hunter S. Thompson. Insomma, un libro divertente come pochi altri. Versilia Rock City frutta subito un contratto con Mondadori, nel 2011 esce Esche vive, un discreto botto di vendite. Per caso ma anche per fortuna, Fabio Genovesi, forse abbandonati gli espedienti, è tuttora un tentativo di persona. Il che, come scrittore, è senz'altro il suo punto di forza. Infatti questa incompiutezza gli consente, nell'ordine: a) di non essere un trombone; b) di mantenere un considerevole senso dell'umorismo; c) di essere mosso da sincera curiosità verso gli altri esseri umani, soprattutto quelli improponibili; d) di citare come fonte primaria il gonzissimo Paura e disgusto a Las Vegas (di Hunter S. Thompson, appunto) senza suscitare le scettiche risate del lettore.

Dunque tuffarsi in Tutti primi sul traguardo del mio cuore (Mondadori, pagg. 168, euro 10) è un piacere. Di base, trattasi del resoconto di una primavera (la scorsa) passata a seguire il giro d'Italia come inviato per il Corriere della Sera. Ma da subito il viaggio diventa l'occasione per scoprire personaggi strabilianti sepolti in provincia, rievocare avventure sportive obliate, ammirare l'incredibile ricchezza di questo stivale rattoppato che si chiama Italia. Le imprese quotidiane dei ciclisti sono importanti ma non predominanti: del gesto atletico conta quello che ci dice della vita in generale. Cosa che, tra parentesi, fa apprezzare ancora di più le fughe in solitaria, le volate da kamikaze, il sudore delle salite. Non c'è dunque troppa cronaca in senso stretto ed è una fortuna. Questo reportage non ha problemi di scadenza, vale oggi ma anche domani e dopodomani. Nelle pagine però c'è la precisione indispensabile per non deludere gli appassionati. Genovesi infatti conosce la tecnica, essendo stato, prima di un tentativo di persona, un tentativo di ciclista. Troppo scarso per passare tra i professionisti, si è consolato con la pesca (pare ci sappia fare) e con la scrittura.

Scene di Tutti primi sul traguardo del mio cuore che mi sono rimaste impresse. La delirante undicesima tappa del Giro 1976, in cui lo spagnolo Antonio Menéndez, per vendicare la morte del compagno di squadra Santisteban, caduto il primo giorno ad Acireale, va in fuga per 222 chilometri, scattando addirittura alla partenza. Giunto primo al traguardo si fa il segno della croce e dice: «Ha vinto Santisteban». La signora che a Spineta Nuova spazza l'asfalto all'inizio del paese perché ci tiene a fare bella figura al passaggio della carovana. Le notti trascorse a Napoli nell'hotel di lusso che ospitò uno stralunato John Fante. Il vento magico che annuncia l'arrivo del gruppo, un'onda travolgente che svanisce in un secondo. Edwin Ávila, colombiano, velocista in una squadra di fanatici scalatori, solito gareggiare in pista. Dopo giorni sfiancanti, sotto temporali e solleoni, arriva ultimo in cima all'altopiano del Montasio. Lo portano via in spalla. Lui chiede: «Ma voi siete sicuri che il ciclismo è il mio sport?». Il poeta calabrese (inedito) che offre una cena pantagruelica convinto di ottenere in cambio un articolo in prima pagina. La fuga all'alba per evitare guai con gli amici del poeta calabrese (inedito) che non ha ottenuto in cambio l'articolo in prima pagina.

Questa è una scelta del tutto aleatoria, e anche provvisoria perché domani potrei preferire il riscatto di Giovanni Visconti, la visita al terrificante monumento in onore di Pantani o il sedicente campione portoghese che si perde durante la cronometro a squadre di Ischia. Il libro, pur breve, offre un campionario infinito di fatti esilaranti, commoventi, tragici. Ci sono le cadute, le risurrezioni, l'orgoglio, la rabbia, la fatica, il destino. Tutto quanto. Come nella vita, che inventa storie meravigliose. Poi ci vuole qualcuno come Fabio Genovesi che le sappia riconoscere, amare e raccontare.

da «Il Giornale» del 3 novembre 2013 a firma Alessandro Gnocchi
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