SCARPONI. «I miei sogni da Oscar»

| 23/12/2011 | 08:53
L’uomo dell’anno ha la battuta pronta e il senso dell’ironia. Ama andare veloce in bicicletta, ma si diletta an­che con l’eloquio sempre fluido e divertente. Michele Scarponi ha tutto per essere un personaggio. Per il momento è un ottimo corridore, in attesa di consacrarsi campione e diventare qualcosa di più e di meglio. «Ma se aspetto ancora un po’ sono pronto per andare solo a “La sai l’ultima?”», dice lui con quel suo innato senso dell’ironia. Ama sdrammatizzare, sempre e comunque, soprattutto nei momenti negativi. «Il segreto sta proprio lì: guai prendersi troppo sul serio e soprattutto guai a star lì a piangere sul latte versato. Bisogna guardare avanti. Ho perso il Giro? Bene, posso ancora vincerlo. Non ci sarà Contador e quindi per me la strada è già in discesa? Chi dice questo capisce poco di ciclismo». Chiaro, semplice e diretto.
L’abbiamo incontrato poco prima della “Notte dei Campioni”, la nostra fe­sta, nella quale ha ricevuto per la prima volta in carriera l’Oscar di miglior atleta della stagione. Abbiamo parlato di tutto, a ruo­ta libera, senza freni e sen­za condizionamenti, come piace al corridore marchigiano. Abbiamo parlato per ol­tre due ore di tutto. Toc­cando ogni tipo di argomento: andando dalla A alla Z.
A come Anna Tommasi, mia mo­glie. L’ho sposata il 5 novembre 2006. L’ho conosciuta in Veneto, quando correvo da dilettante alla Site Frezza Mat­tiuzzo. Il fratello di Anna, Fede­rico, correva con me. Era il  2001, ultimo anno da dilettante (dopo tre anni alla Zalf), e in quella stagione la conobbi. Fu amore a prima vista, soprattutto per me. Io ho fatto di tutto per farmi notare e fare breccia nel suo cuore. Non hai idea di quanti viaggi ho dovuto affrontare da Filottrano a Giavera del Mon­tello, dove Anna viveva, nonostante fos­se nata a Coneglia­no. Ora vi­viamo a Filottrano, in una nostra villetta a schiera. Io vado in bici e lei fa la farmacista in una farmacia del paese. Un giorno avremo un bimbo, per il momento abbiamo la nostra cagnolina Lamù, un incrocio bellissimo e tostissimo.

B come Bomber, il soprannome di Andrea Bolsonaro, il mio massaggiatore. L’ho conosciuto nel 2008 quando sono tornato alle competizioni con la maglia della Diquigiovanni, dopo la squalifica. Con lui ho fatto tre anni all’An­droni e poi me lo sono portato alla Lampre ISD. Perché Bomber? Boh. La leggenda narra che l’abbia ribattezzato così Gianni Savio. Si dice che fosse un buon calciatore, una buona punta: io mi fido e non indago. So solo che è un maledetto milanista, mentre io sono un inguaribile interista. Ma B è anche come Basso: è un rivale, ma è anche un buon amico. Ci conosciamo da tanti anni, fin dai tempi della Zalf. Lui era già Basso, mentre io ero al primo anno. Sarà il mio rivale anche l’anno prossimo, nonché il favorito numero uno nella corsa alla maglia rosa, quindi devo cominciare a pensare che non sia così tanto amico. Se si è troppo buoni, alla fine si perde. In bicicletta, ma questo vale sia nello sport che nella vita, occorre allenare la mente ai grandi appuntamenti. Io ho già cominciato da tempo: a odiarlo. In senso sportivo, s’intende.

C come Contador. Forte, fortissimo e irraggiungibile. Al Giro quest’anno mi ha mandato davvero fuorigiri, più di una volta. Per colpa sua e per colpa di un Giro davvero duro e massacrante, sono arrivato alla Vuelta con la lingua a penzoloni e spremuto come nemmeno io pensavo di essere. Che dire di Al­berto? È un talento purissimo. Un atleta che va solo ammirato. Al mo­mento sono riuscito a superarlo solo nel ma­trimonio: mi sono sposato prima di lui.

D come le Dolomiti. Sono uno spet­tacolo e se vuoi ambire a vincere un Giro d’Italia su quelle strade devi fare i conti e andare alla grande. Quest’anno sono stato in vacanza a Cortina e in quei giorni trascorsi con mia moglie in assoluto relax ho potuto apprezzare bene quei paesaggi: quando si è in corsa, non si vede mai nulla. Ci sono salite bellissime, che hanno fatto la storia del nostro sport. Sono degli autentici m­onumenti naturali e non per niente  nel 2009 l’UNESCO  ha dichiarato le Do­lo­miti Patrimonio dell’Umanità. Il Giau per esempio lo scaleremo al prossimo Giro d’Italia: ho verificato quelle pendenze e mi ha fatto impressione. Mi toccherà staccare Basso in discesa. D anche come Di Luca: gli auguro di tornare, il prossimo anno, ad essere il corridore che è stato.

E come Extra, la palestra di Fi­lot­trano dove vado tutti i giorni ad allenarmi per svolgere la mia preparazione invernale (dal 20 novembre fino a metà gennaio). È una palestra ge­stita dal mio amico Stefano Sani, un tostissimo maratoneta. L’eser­ci­zio che mi riesce meglio quando sono al lavoro in palestra? Parlare. Tengo ottime relazioni con tutti. A parte gli scherzi, me la cavo bene un po’ in tutto. E anche come Evans. Cadel mi piace tantissimo come persona. Umile e tosto. Ogni anno riesce a migliorarsi, e non è facile alla sua età. È proprio un gran corridore. Peccato solo che quest’anno mi abbia portato via la Tirreno.

F come Filottrano, il mio pae­se. Io sono nato a Jesi, sono cresciuto con i miei a Cantalupo e da quando sono sposato abito a Fi­lot­trano. Cosa mi piace? Tutto. È un paese tranquillo, sereno: una vera famiglia. Rivalità con Can­talupo? Nessuna, ed è bello anche per questo. Io mi sento cantalupese, ma sto a meraviglia a Filot­tra­no e tra i due paesi c’è solo gran­de armonia, condivisione e orgoglio di avere un cittadino con una discreta fama e so­prattutto con una discreta fame: di vittoria. Dalle nostre parti è così. Dove vado più vo­lentieri? Quando sono a ca­sa e voglio rilassarmi, prendo la mia ca­gnolina e vado fino in centro (un chilometro e mezzo), percorrendo corso del Popolo, fino in piazza Mazzini, il cuore di Filottrano (punto di riferimento il bar Wally), dove ci si trova per fare due parole e bere un aperitivo. Prima però, mi fermo sempre alla farmacia Car­bonari, dove lavora Anna.

G come Giro d’Italia. È il so­gno di sempre, la corsa delle corse, il mio Eldorado. Cosa mi è mancato quest’anno per vincerlo? Sarebbe dovuto mancare Conta­dor. I miei precedenti rosa? Al Giro nel 2002 finii sedicesimo: vinse Savoldelli. Nel 2003 migliorai di una posizione. Nel 2004 non lo corsi. Nel 2005 e 2006 con la maglia del­la Liberty, non ebbi fortuna: un an­no contrassi il citomegalovirus e lo finii a fatica. L’anno dopo beccai un’in­flu­en­za e mi ritirai. Nel 2009, in maglia An­droni, vinsi due tappe (Mayrhofen e Benevento). L’an­no dopo sempre con l’Androni vinsi all’Aprica e chiusi il Giro in quarta posizione a 2’50” da Ivan Basso. Se non avessi perso un’eternità nella cronosquadre di Cuneo, avrei forse anche potuto lottare per la vittoria finale. Que­st’anno ho fatto secondo, ma contro Contador c’era poco da fare. Il prossimo Giro mi piace molto, an­che se io non amo particolarmente le partenze dall’estero: è un peccato avere e vivere poco sud. In ogni caso è un Giro bello e tosto. Una tappa che mi piace in modo particolare? Quella di Cortina. Arriva in discesa ma prima ci sono Val Parola, Duran, Staulanza e Giau da scalare. Mica pizza e fichi. G anche come Gal­busera: Mario, Emanuele e Ser­gio i nostri patron, tre grandi capitani d’industria ma soprattutto tre grandissimi  appassionati. A loro va il merito di una squadra-famiglia che è difficile da trovare in giro.

H come Hotel. Per noi ciclisti è la seconda casa. Tra ritiri e corse, siamo sempre in un hotel. Siamo dei vagabondi che sperano però di trovare una buona cucina e un letto accogliente. Non ho paturnie particolari. Non vado in giro con cuscini ergonomici o materassi particolari come alcuni miei colleghi. Mi basta un letto che non abbia una rete sfatta. Sono uno che si adegua. Come dico spesso: sono un ciclista, non un impiegato.

I come Inter, la squadra del cuore, da sempre. Sono molto tifoso quando vince, mentre quando perde faccio fin­ta che il calcio mi interessi poco. È una malattia di famiglia: mamma Flavia è interista per osmosi; papà Giacomo è il capo degli ultrà; mia sorella Silvia interista anche lei e Marco, due anni più grande di me, interista malatissimo. Mar­co da un annetto è papà del piccolo Attilio: un potenziale nuovo interista.

J come Juniores, anche perché Ju­ventus non riesco proprio a dirlo. Da ju­niores ho vinto la maglia tricolore (nel ’96) a Sacile con i colori della Pieralisi Jesi. È una delle vittorie giovanili che più mi sono rimaste nel cuore. Ho cominciato a correre da G3 a 8 an­ni, ho vinto il 25 settembre del 1988 a Tolentino, mi ricordo benissimo che l’arrivo era posto su uno strappetto. Ave­vo letteralmente l’incubo dei puntapiedi, che il più delle volte non sapevo fissare. Il mio direttore sportivo mi stressava in continuazione per questo fatto e quel giorno commisi lo stesso errore. Avevo messo male la tacchetta e stretto il cinghiettino ancora peggio. Scatto sullo strappo finale, faccio il vuo­to e il piede esce dalla sede e mi fi­nisce tutto storto sulla punta della gabbietta. Faccio finta di niente, non vo­glio fare la figura del pollo: il mio diesse non si accorge di niente, io vinco la corsa. Nelle categorie giovanili ho vin­to una cinquantina di corse. Le categorie maledette? I due anni da esordiente e allievo: anni di vacche magre con sole cinque vittorie.

K come King, come Re Leone Ci­pollini. L’ho trovato in squadra da neo professionista, prima all’Ac­qua&Sa­pone e poi alla Domina Va­canze. È stato un corridore in­credibile, sia dal lato sportivo che per il carisma. Forte, fortissimo, dal quale un ragazzo può solo im­parare. In cosa mi sorprendeva? Negli allenamenti: era un ca­gnaccio.

L come Lamù, la mia ca­gnolina che mi fa impazzire più di Basso, Nibali e Menchov messi insieme, perché quando la porto in giro tira come una forsennata: altro che Contador…. Perché Lamù? È un nome che ha scelto mia moglie. Lamù è un manga pubblicato in Giappone: le piaceva. L anche come Marino Lejarreta: l’ho avuto come direttore sportivo alla Liberty. Porto di lui un bel ricordo bellissimo: persona semplice, disponibile e umile come pochi. È uno di quelli che mi manda ancora gli auguri di Natale. Un grande.

M come Musica. Da quando ho scoperto l’iPod - e non è tanto - mi affido al Bomber che mi scarica di tutto perché io sono un vero imbranato. È l’idea­le soprattutto per quando fai pa­lestra o per rilassarsi prima di una cor­sa. Cosa mi piace? La musica italiana, soprattutto Vasco, Ligabue, Zucchero, i Modà, i Negramaro… Ma su tutti met­to Vasco, il più grande di tutti. La can­zone preferita? Vasco ne ha fatte una valangata di canzoni belle. Dicia­mo “Vado al massimo”, “Alba chiara”  ed “E Già… sono ancora qua”. Questa è una canzone che un po’ mi rappresenta: anch’io, dopo i miei problemi, sono tornato meglio di prima. An­ch’io, nel mio piccolo… sono ancora qua».

N come Neri Marcoré. È un mio tifoso e io lo apprezzo tantissimo. È troppo forte, sa fare di tutto: un vero fuoriclasse. Se fossi io poliedrico come lui avrei già vinto cinque Giri, cinque Tour e cinque Vuelta e non so quante Sanremo, Liegi e Lombardia. Credo che Neri sia uno dei talenti più puri e grandi del nostro spettacolo e sono or­goglioso che lui professi il suo amore per il ciclismo e per il sottoscritto. Ma la cosa che mi colpisce ogni volta che lo incontro è la sua modestia. È proprio vero: quando uno è davvero grande, non ha motivo di far finta di esserlo.

O come Oscar tuttoBICI. Final­men­te sono riuscito a vincerlo. Non ti nascondo che ci tenevo moltissimo, l’ho sempre visto da lontano e finalmente l’ho fatto mio per la prima volta in assoluto. O anche come Oceano Indiano, la prima vacanza fatta con mia moglie alle Maldive. Bellissime. Na­tura allo stato puro. O come Ope­ra­cion Puerto: un brutto ricordo.

P come Pizza. La mia pizza preferita porta il mio nome. È pensata dall’amico Amleto della taverna dell’Arco, ristorante-pizzeria dove spesso mi pia­ce andare. È una pizza rossa con cipolla, guanciale di maiale e crema di formaggio pecorino che va a formare i raggi di una ruota e in mezzo è posta una oliva nera come mozzo. P come Piazzamenti: io ne ho sempre fatti troppi.

Q come Quadri. Mia moglie mi porta sempre a vedere le mostre di pittura. A lei piace molto e a me piace andare con lei e imparare qualcosa. Re­­centemente sia­mo andati a Ro­ma a vedere una mostra su Mon­drian: mi è piaciuto tantissimo.
R come Rivalità. Rivalità tra me e Nibali al Giro; tra Basso e Cunego al Tour; rivalità tra noi della Lampre e quelli della Liquigas. L’anno scorso ci hanno legnato; quest’anno qualcosa gli abbiamo restituito: secondo me, fin quando si rivaleggia con assoluta sportività è solo il ciclismo a guadagnarne. R anche come Regole. Purtroppo nel mondo del ciclismo ce ne sono tante e non uguali tra tutti i Paesi. E ahimé, noi italiani siamo forse messi un pochino peg­gio degli altri.

S come Squadra. Noi della Lampre Isd siamo davvero un bel gruppo. Bep­pe Saronni - il nostro team manager - è uno che sa il fatto suo. Abbiamo uno staff d’eccezione: grandi tecnici, bravi meccanici e bravi massaggiatori. Cu­ne­go al Giro? Vedremo, vanno ancora fat­ti tutti i programmi. Dico solo che è meglio essere in due a rompere le uova nel paniere agli altri che da soli. Ma la Lampre ha tanti bei corridori. Sia d’esperienza come Petacchi, professionista esemplare ed esempio per tutti, ma anche un bel gruppo di giovani, uno più interessante dell’altro.

T come Tour. L’ho corso solo nel 2004, arrivai 32°. Non è la corsa più bella (per me resta il Giro), ma la più importante. Non è detto che il prossimo anno decida di correre anche in Francia. T come Total Man, al secolo Francesco Barbaresi, il mio mitico barbiere. È lui che mi mette a punto l’aerodinamica prima delle corse. C’è chi va in galleria del vento, io vado sotto le sue forbici e il suo phon. T anche come Tifosi. E grazie al cielo io ne ho davvero tantissimi e soprattutto importantissimi. A tale proposito non posso non ringraziare il mio fan club che ha come presidente Fabio Bucco e conta un direttivo di 10 persone fidatissime che mi sono sempre vicinissime e che mi seguono in tutte le occasioni più importanti. Insomma, sono una parte fondamentale della mia professione. Nel calcio direbbero: sono il dodicesimo uomo in campo. Nel ciclismo per me sono un rapporto in più: un rapporto di grande amicizia.

U come Ulissi. Nel 2010, la sua pri­ma vittoria è coincisa con il mio ennesimo piazzamento: mannaggia! Lui è davvero un corridore dal talento purissimo. È fortissimo e nonostante l’età riesce a stare con i piedi per terra. Lo si può vedere ad occhio nudo: questo diventerà qualcuno. Anzi, qualcuno lo è già adesso.

V come Vamos. Il grido di battaglia preferito da Alessandro Spezialetti. Quando la corsa entra nel vivo, è quasi sempre lui a suonare la carica al grido di “vamos”. È il nostro metronomo: detta i tempi. Vamos, e si va all’attacco: quando ci si riesce…

W come Wouter Weylandt. Come si fa a non ricordarlo? Credimi, non passa giorno che un pensiero non vada a lui e alla sua famiglia. Quella tappa di Rapallo mi ha lasciato un segno pro­fondo.

X come pareggio: nel ciclismo non esiste. Come sono fortunati i calciatori…

Y come Yes. Mi piacerebbe imparare bene l’inglese. Un giorno, quando avrò smesso di correre, magari mi iscriverò ad un corso, oppure con mia mo­glie ci organizzeremo per qualche viaggetto in più in giro per il mondo. Y anche come Yellow: il giallo della ma­glia del Tour. Chissà… mai dire mai. So­gnare non costa proprio niente.

Z come Zero tituli. Quest’anno il ciclismo italiano non ha beccato palla, ma come disse Rossella O’Hara, do­mani è un altro giorno. Io sono stato il migliore in un anno maledetto: tanti piazzamenti io, tanti piazzamenti il ci­clismo italiano. Incarno perfettamente questo anno difficile e disgraziato, che in ogni caso mi ha posizionato al quinto posto nel ranking mondiale. A proposito: perché se un ciclista è numero 5 al mondo è uno dei tanti, mentre un tennista italiano numero 22 è maledettamente più figo? Misteri della comunicazione. Z anche come Zuzzu­rel­lo­ne, pazzariello, burlone. L’ultima parola del vocabolario, la prima che mi vie­ne in mente se devo fare casino. Di­menticavo: buon Natale e buon Anno. E soprattutto: buon ciclismo a tutti».

Pier Augusto Stagi
da tuttoBICI di dicembre

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