LA STAMPA. Al via i campionati del mondo

| 19/09/2011 | 09:35
Ci siamo. Parte oggi a Copenaghen la settimana iridata del ciclismo su strada, appuntamento che ogni fine settembre scatena magiche passioni e calamita nella sede del Mondiale migliaia di tifosi, in prevalenza italiani, innamorati di una Nazionale che pure si ritrova una volta sola a stagione, o al massimo due quando ci sono anche le Olimpiadi. Difficile spiegare la strana alchimia che scatena tanto entusiasmo, per di più contagioso visto che coinvolge anche i principali addetti ai lavori: gli stessi corridori. Pochi atleti in assoluto tengono alla maglia della propria Nazionale come i ciclisti azzurri. Frutto forse delle radici profonde di uno sport da noi antico e popolare, che suscita spirito di gruppo, senso di appartenenza e sentimenti patriottici.
Probabilmente non è un caso che la nostra Nazionale di ciclismo professionistico, unica fra le rappresentative azzurre dei principali sport di squadra, non ha in organico atleti oriundi o naturalizzati, mentre persino il calcio - vedasi l’esempio di Amauri, Ledesma e Thiago Motta, dopo Camoranesi - ha ormai seguito la tendenza dilagante di baseball, rugby e calcio a cinque o presente comunque in pallanuoto, basket e volley. Nel ciclismo, invece, avviene se mai il contrario: alcuni corridori italiani cercano di ottenere un passaporto straniero pur di partecipare a un Mondiale. Capitò nel 2004 a Davide Rebellin, che - escluso dalla formazione azzurra - chiese (invano) la nazionalità argentina per correre la prova iridata nella sua Verona. E qualcosa di simile ha meditato quest’anno anche Alessandro Petacchi, escluso dalla Nazionale del ct Paolo Bettini da una discussa norma federale che taglia fuori chi ha subìto sanzioni per doping. «La maglia azzurra è sacra, per questo tutti i corridori italiani vorrebbero indossarla» dice Alfredo Martini, 90 anni, ex gregario in Nazionale di Coppi e Bartali e poi straordinario ct azzurro dal 1975 al 1997. In realtà non sempre è stato così. Basti ricordare il clamoroso ammutinamento proprio di Fausto Coppi e Gino Bartali nel Mondiale 1948 a Valkenburg, in Olanda, quando i due favoritissimi azzurri si marcarono e neutralizzarono a vicenda, ritirandosi durante la gara tanto da venire assediati in hotel dai tifosi italiani e subire poi una squalifica da parte della nostra federazione. Altre volte invece nella Nazionale azzurra ha finito per prevalere lo spirito di... sponsor. Come nel 2001, Mondiali di Lisbona, quando a pochi km dalla conclusione sembrava fatta per Gilberto Simoni, rimasto in fuga da solo. Invece dal gruppo un altro azzurro, Paolo Lanfranchi, si incaricò di scatenare la rimonta e così nella volata generale che decise la corsa lo spagnolo Oscar Freire battè Paolo Bettini. Particolare non di poco conto: Lanfranchi, Freire e Bettini correvano tutti e tre per il team Mapei.
«Da allora, per fortuna, le cose sono molto cambiate» ricorda lo stesso Bettini. Fu Franco Ballerini, ct azzurro dal 2001 al febbraio 2010 (quando morì tragicamente in auto), a restituire alla nostra Nazionale lo spirito di gruppo e il senso di appartenenza, tanto che l’Italia del ciclismo è diventata per tutti, anche all’estero, «La Squadra», non solo una squadra. La svolta si apprezzò fin dall’anno dopo, con il capolavoro al Mondiale di Zolder, in Belgio. L’Italia, stretta intorno al capitano unico Mario Cipollini, non sbagliò nulla e anche Alessandro Petacchi, che quella gara iridata avrebbe potuto stravincerla, si immolò al servizio di Re Leone che nella volata finale dominò McEwen e Zabel. Tutte le successive vittorie iridate della nostra Nazionale - Bettini a Salisburgo 2006 e Stoccarda 2007, Ballan a Varese 2008 - sono state un inno alla squadra. Per la quale si riscoprono virtù spesso dimenticate nello sport: «Mi sono tolto io dalla Nazionale, perché non sono al top - ha detto pochi giorni fa Pippo Pozzato, che pure era stato capitano nel 2010 a Melbourne, dopo finì quarto, a un soffio dal podio -. Eppure mi sento sempre uno degli azzurri».
Un senso di appartenenza che sarà indispensabile per l’Italia a Copenaghen, su un circuito apparentemente facile e dunque ancora più insidioso per i tanti tentativi di fuga che consentirà. Quelle strade piatte e spazzate dal vento nel 1949 giocarono un brutto scherzo persino a Fausto Coppi, che pure in quella stagione vinse quasi tutto: il Campionissimo tentò di risolvere la corsa da solo, ma gli si incollarono ai tubolari il belga Van Steenbergen e lo svizzero Kubler, che lo precedettero sul podio. «Per questo domenica bisognerà restare uniti - avverte Bettini - e rispettare le consegne con grande spirito di sacrificio». Tutti nella squadra italiana avranno un ruolo preciso, Bennati partirà come capitano ma non sarà lui l’unica arma della formazione azzurra. Anzi. Si prevedono un jolly, degli assaltatori, alcuni corridori da fughe, un regista, due stopper e un uomo d’ordine, in costante contatto radio con Bettini. Che ha grande fiducia: «Ho una squadra giovane (27 anni di media, malgrado i 34 di Paolini e i 37 di Tosatto, ndr), ma fra tutte le Nazionali al via è quella che dà più garanzie per il carattere che la anima. Siamo pronti a piantare casino e possiamo riuscirci, se andremo d’accordo».
Elia Viviani, il più giovane degli azzurri con i suoi 22 anni, è il simbolo della nuova Italia: impertinente, coraggiosa, unita. «Non so neanche se sarò titolare o riserva - dice - ma non mi importa. Va bene quello che decide Bettini, è già fantastico essere qui», con la prospettiva di puntare poi ai Giochi di Londra anche come pistard, visto che alterna strada e pista. Una Nazionale arrembante che ha la benedizione di Martini: «Nessuna squadra azzurra, come quella di ciclismo, ha un pubblico così numeroso, attento, appassionato e competente. I tifosi si immedesimano nei corridori, apprezzano i loro sacrifici, partecipano allo spirito di squadra. Anche loro, il giorno del Mondiale, indossano idealmente la maglia azzurra. Per questo domenica l’unica cosa indispensabile sarà non deludere la gente e cercare di farla innamorare ancora di più del ciclismo. Abbiamo un dovere preciso verso i tifosi: fare in modo che non spengano la tv o cambino canale. E sono certo che l’Italia del ciclismo non deluderà».

da «La Stampa» del 19 settembre 2011 a firma Giorgio Viberti
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COMMENTI
..Tanta passione per il cilismo?...non direi.
19 settembre 2011 11:01 magico47
Vorrei fare una riflessione per quanto riguarda la "passione per la bici".
Cosa volete pretendere da un popolo che in occasione di un Mondiale di ciclismo nel ritiro ieri sera a Solbiate Olona dove sono arrivati tutti gli atleti dalle ore 21.00 a mezzanotte,tutte le categorie in divisa dell'Italia.Juniores.U.23 e Profess.insieme al C.T Paolo Bettini.sapete quanti tifosi,sportivi erano ad aspettare questi Campioni? solo io e due miei amici,aggiungo ancora una cosa,ho notato con tanto rammarico di non aver visto la presenza di nessun fotografo e un solo giornalista che stava li in disparte.La cosa più sconcertante da me osservata era la presenza nella sala di 2 grandi TV le quali trasmettevano da ore la stessa partita di calcio,mentre li erano presenti tutti i corridori che poche ore prima avevano preso parte alla bella corsa G.P.di Prato,erano le 22.30 quando sono stato avvisato da casa che stavano trasmettendo in differita la corsa in oggetto,ho chiesto al barman se potesse almeno sintonizzare una TV su RAISport 2 per poter vedere la corsa insieme ai prof...ha provato ma non ha trovato il canale.E questa sarebbe la passione per la bici e per il CICLISMO?

Meditate gente!

Loriano Gragnoli DCI

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