ATTACCHI E CONTRATTACCHI. Perchè adoro il Giro crudele

| 20/05/2011 | 18:03
di CRISTIANO GATTI    -


Dicono qui: Zomegnan ha sbagliato tutto, se voleva trattenere i velocisti doveva prevedere un’altra tappa per loro, a metà della prossima settimana. O al limite lasciare che l’ultimo giorno di Milano fosse la solita kermesse sprintosa. Non c’è niente da dire: sono obiezioni sensate, forse lo stesso Zom, in cuor suo, avrà preso nota della svista. Personalmente, condivido: sarebbe bastato poco per trattenere anche gli sprinter. Non Cavendish, che aveva già fatto i suoi programmi di fuga in inverno. Ma Petacchi e gli altri sì.
Riconosciuto questo, va però subito aggiunto che tutti quanti dobbiamo fare un salto di mentalità: non possiamo più considerare il Giro una corsa logica e normale. Con scelta coraggiosa e originale, che condivido al 110 per cento, Zomegnan ha intrapreso un’altra strada: il Giro sta diventando famoso e ammirato ovunque come la corsa più dura nel Paese più bello del mondo. Questa immagine deve avere dietro tanta sostanza. Americani, cinesi, pakistani, australiani, brasiliani ed eschimesi: per distoglierli da questo conformismo proiettato sul mito del Tour, bisogna offrire qualcosa di meglio e di più. Qualcosa che solletichi la loro fantasia, la loro visione ancora pura e romantica dell’epica in bicicletta. Posso testimoniarlo di persona: il fidanzato di una mia collega, un ragazzo americano che ha scoperto la bicicletta da un paio d’anni, l’ha chiamata ingiungendole di preparargli un viaggetto lungo una tappa del Giro. Ha sentito dire che qui si sta correndo la corsa più tremenda dell’anno, vuole metterci il naso. Zomegnan sta lavorando anche per lui. Da almeno un paio d’anni. Il Giro è una prova di forza e di resistenza per campioni veri, con sotto due marroni così. Chi vuole sentirsi chiamare fuoriclasse, deve prima aggiungere la maglia rosa al proprio curriculum. Ovviamente, l’operazione richiede una buona dose di inevitabile crudeltà: montagne, fatica, sudore. Chi vince, ma anche chi arriva a Milano, deve strappare comunque un commosso applauso ai tifosi. Ma un applauso lo concederà anche la gente che di ciclismo sa poco, che però sa capire l’aroma di una moderna prova di sopravvivenza. Così si ammirano i grandi della Dakar, gli scalatori degli ottomila, i valentinirossi dei 300 orari. Così si ammirano gli irraggiungibili uomini speciali, che realizzano imprese proibite agli uomini normali, noi.
Sento già le obiezioni: corse troppo dure ammazzano lo spettacolo, perché i corridori si spaventano e giocano al risparmio. Di più: corse troppo dure sono un incitamento al doping. Anche queste obiezioni rispettabili. Ma non sufficienti. Se il Giro vuole avere un futuro, una rispettabilità e un’autorevolezza che reggano il confronto col Tour, questa è l’unica. La corsa più dura del mondo, con tutto quel che comporta: velocisti falcidiati, fuori tempi massimi, facce stravolte, ritardi a chili. E vince l’ultimo che resta in piedi. Eccessivo, sadico, disumano? Sì, un po’. Ma non esiste niente di simile al mondo. Un pezzo unico, che un giorno ci imiteranno anche i cinesi.

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COMMENTI
20 maggio 2011 18:15 verita
tutto sulla pelle dei corridori!!!!!!

ci sono due maniere per diventare unici...
20 maggio 2011 18:26 donromano
...almeno nello sport, foderare di soldi quello che vince, o fare in modo che sia davvero uno che la vittoria se la suda tanto.
I Francesi hanno da anni scelto la prima, e così hanno creato una corsa dove ci si ammazza di fatica per star davanti, per vincere anche i traguardi volanti.
Non è la fatica che manca, lì, è il livello tecnico.
Qui da noi si sta provando la seconda, hai ragione, e se non sbaglio mi pare che il ritorno in termini di immagine sia notevole.
Mi par di sentirli i corridori: "parli bene tu che sei davanti alla TV, su certe salite ci andiamo noi". Certo, su certe salite, a star dietro a certa gente, anche i pro sperimentano livelli di fatica in salita che di solito sono appannaggio di coloro che hanno una pancia come la mia, ma non è un male, è lì che si vede la differenza, e che nasce la soddisfazione di essere un professionista ciclista.
Speriamo che il "mago Zom" non si stanchi, non si faccia venire in mente idee che poi gli legano le mani e lo portano a far sparire di nuovo le montagne dall'Italia, ma anzi continui a creare veri santuari della fatica, per il divertimento di tanti, per la soddisfazione dei veri grandi.

PER DONROMANO
20 maggio 2011 18:47 stargate
Concordo con quanto scritto da Lei, ma c'è un però: un giro troppo duro può essere spettacolare solo se nobilitato dalla presenza di fuoriclasse nati per la salita. Quando non sono presenti, il gruppo si sfalda via via, lentamente, non sotto l'urto di accelerazioni violente come quelle di Contador o, come era in passata, di Pantani, ma per sinimento lento e costante. Non è un gran bel vedere sotto l'aspetto dello spettacolo, anche se la fatica degli interpreti è sempre ben presente. E' necessario, dunque, che alla durezza si accompagni la partecipazione di atleti in grado di fare veramente la differenza in salita. (Alberto Pionca - Cagliari)

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