«Vendo tre maglie di Coppi» e si scatena la bagarre

| 17/05/2005 | 00:00
«Vendo tre maglie indossate da Fausto Coppi: quella gialla del Tour de France 1949, la rosa del Giro d’Italia del ’49 e quella iridata del Mondiale in Svizzera del 1952. Prezzo non trattabile: 20 mila euro». L’annuncio a sorpresa è apparso su un settimanale e ha immediatamente scatenato un putiferio nel giro dei collezionisti: sono in vendita le maglie del Mito, del Campionissimo. A trattare la cessione del «patrimonio coppiano» è un collezionista intermediario, Giampaolo Aratoli, di Sesto San Giovani, che giura sull’autenticità dei pezzi ma le maglie sono di proprietà del figlio del massaggiatore Pelizza, uno dei masseur di Coppi, a cui il Campionissimo le aveva regalate negli anni ’50, e che ha deciso di disfarsene per problemi personali. «Venderle, ’non svenderlè « ha chiarito Aratoli per spiegare ’doloroso distaccò dai preziosi cimeli dell’attuale proprietario. Da quando l’annuncio è stato pubblicato la sequenza delle telefonate è stata ininterrotta, perchè è la prima volta che sul mercato del collezionismo finiscono tre veri pezzi da storia dello sport mondiale: a memoria di collezionisti infatti i cimeli di Coppi di questo valore o sono nei musei o nelle mani dei gregari e amici di allora di Coppi che mai e poi mai se ne libereranno. La reazione di Faustino. «Sono senza parole: tre maglie di mio padre in vendita? E’ incredibile, non riesco a capire come sia possibile». Faustino Coppi, figlio omonimo del Campionissimo, alla notizia che la maglia gialla del Tour ’49, quella rosa dello stesso anno, e quella da campione del mondo di Lugano del 1953 indossate dal padre sono state messe in vendita con un annuncio sul Guerin Sportivo letteralmente cade dalle nuvole: «Ogni volta ce n’è una nuova su mio padre: specie questa storia della maglia iridata, perchè l’originale ce l’ho io a casa mia. Insomma, vorrei proprio vederle queste magliette, sono molto scettico». Eppure il collezionista che le ha messe in vendita giura sulla autenticità dei tre pezzi pregiati. Ma di maglie di Coppi se ne conoscono oggettivamente poche: quelle che sono nei musei del ciclismo e le pochissime in possesso dei vecchi gregari di allora, quali Carrea, Milano, che le conservano gelosamente... L’incredulità di Faustino nasce quindi dalla estrema rarità dei cimeli coppiani, un corredo limitato nonostante la lunga carriera, dal tempo che è passato, dall’uso che in quell’epoca si faceva del materiale sportivo: non era come oggi che gli sponsor riempiono gli atleti di materiale, mentre negli anni 40/50 era costoso, prezioso e doveva durare. Anche per il Campionissimo, che pure in questo settore del ciclismo fu un rivoluzionario: Coppi era all’avanguardia non solo per alimentazione e metodi di allenamento ma persino per l’abbigliamento che indossava. Fu il primo infatti a introdurre in Italia maglie di ’lana cottà resistentissime, leggerissime, o di seta per le riunioni in pista; così come oggi Cipollini se le faceva disegnare a seconda delle esigenze. Per anni fu la ditta Vittore Gianni di Milano che gliele realizzava espressamente, azienda diretta da Armando Castelli, padre di un attuale industriale del settore. Ma i reperti coppiani, autentici pezzi di mito, sono rarissimi e fa sensazione che possano essere messi in vendita come un comune oggetto di collezionismo. Lo conferma a sua volta il figlio di Gino Bartali, grande rivale di Coppi: «Io di mio padre conosco a malapena dieci maglie, di cui sei sono nel Museo Bartali che è stato inaugurato a Firenze in questi giorni - spiega Andrea Bartali - comprendo lo stupore di Faustino, ma non mi scandalizzo che vengano messe sul mercato, perchè almeno chi le comprerà avrà avuto il merito di contribuire al recupero e alla conservazione della memoria di Coppi. Ma a questo punto faccio un appello: se in giro ci sono maglie di mio padre, che le donino al Museo, saranno dei benemeriti e gli sarà pubblicamente riconosciuto con una targa. Perchè penso che ormai nel caso di Fausto e Gino la memoria sia un valore collettivo, un bene pubblico». Il parere dell’esperto. «Il collezionista è come Coppi: è un uomo solo e in fuga». Lo sa bene Fabrizio Lucherini, uno dei più importanti collezionisti italiani di cimeli della Lazio, che spiega così uno dei fenomeni moderni legati allo sport più evidenti e rumorosi degli ultimi anni. Perchè è vero che c’è chi si vende il Mito di Coppi attraverso tre maglie fantastiche, ma è ancora più vero che quando c’è un venditore c’è un acquirente e che in questi anni il collezionismo di memorabilia di calcio e dintorni diventando un caso europeo, ma soprattutto italiano. In tanti raccolgono la memoria, conservano il ricordo. Perchè come spiega Piero Picasso, genovese ma collezionista vip interista: «Avere tra le mani una maglia scudettata di Mazzola del 1964 è come divorare un pezzo dei tuoi miti, un antidoto alla vecchiaia per restare sempre giovani. E quando ho preso tra le mani per la prima volta la ’mià maglia di Pelè nel Santos ho capito che la leggenda era tra le mie dita. Qualcosa ti resta e non va più via». Il collezionismo di maglie di calcio ha i suoi mercatini, siti internet, intermediari, guru, scambi dal Brasile all’Inghilterra e si sta allargando a macchia d’olio. «Non ci resta che la maglia» era uno striscione apparso tempo fa in una curva e molti degli appassionati spiegano che il collezionismo è aumentato proprio per la «eccessiva» commercializzazione dei calcio moderno. Sponsor? Notturne? Pay tv? E io do la caccia al cimelio, potrebbe essere lo slogan-rivolta delle centinaia di collezionisti moderni: «Le vere collezioni sono quelle di prima dell’avvento degli sponsor sulle maglie - spiega Giampaolo Aratoli, il collezionista intermediario delle tre maglie di Coppi messe sul mercato, a sua volta big del settore calcio - ho maglie del Genoa anni ’30, una di Levratto quando giocava nel Savona, Pelè, Abadie, Meroni. Ho una visione sentimentale del calcio, l’unica che mi interessa. Posseggo il pallone di Genoa-Milan del 1899 e scarpini dei primi anni del secolo». «Ho atteso per mesi l’arrivo dal Brasile della maglia di Lojacono nella finale della Coppa delle Fiere Roma-Birmingham 1961 - spiega Francesco De Santis di Viterbo - e non voglio dire quanto l’ho pagata», perchè le quotazioni top del mercato hanno anche superato i cinquemila euro per un capo». Ma molto fanno gli scambi o i colpi di fortuna, come quel collezionista romano che ha trovato recentemente in ottime condizioni addosso ad un nomade una giacca di una tuta di Serie A della Roma del 1976, mentre tra i calciatori stessi il collezionismo fa proseliti: Ruggero Rizzitelli ha centinaia di maglie da gioco, proprio come l’ex juventino Casiraghi, cosi come è impressionante la collezione dell’ex portiere Mondini che raccoglie solo materiale da portieri. Ma il collezionista raccoglie per il gusto di mostrare al mondo i suoi gioielli, eppure resta sempre quell’uomo solo in fuga perchè il possesso è un traguardo solitario ed esclusivo. «Quando ho saputo che in Inghilterra c’era la maglietta di Dalglish della finale Coppa Campioni Roma-Liverpool, ho fatto la corte al collezionista per mesi. Voleva cinque milioni di lire dell’epoca e gliele ho date - conclude il laziale Fabrizio Lucherini - perchè per me avere una maglia di Morrone del 1964 è un onore, ma avere la maglia di uno che ha tolto la Coppa Campioni alla Roma è una goduria». Solitaria, ma autentica.
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