Da «Il Giornale». Nibali & Basso, nuovo made in Italy

| 13/05/2010 | 09:03
Caro diario, chissà se è soltanto un caso: l’Italia disastrata  rialza orgogliosamente la testa proprio nella cronometro a squadre. Nel ciclismo, è l’esercizio più difficile e sofisticato: ciascuno deve fare la propria parte, senza sbagliare niente, uno per tutti e tutti per uno, con sincronismo perfetto. Il singolo, da solo, per quanto solista sublime, può fare molto poco. Ecco, in un esercizio così complesso, dopo mesi e mesi di umiliazioni, noi maestri di individualismo firmiamo finalmente un capolavoro. La Liquigas domina la crono al plurale e ci ritroviamo con tre italiani ai primi tre posti della classifica generale. Di più: la nuova maglia rosa va a Vincenzo Nibali, il nostro giovane migliore e più completo, terrunciello di Messina trapiantato per lavoro in Toscana, fedina penale (dico di doping) immacolata. Subito dietro di lui, il compagno e capitano Basso, mai partito così bene in un grande Giro.
E’ proprio Basso a spiegare il segreto di questa straordinaria festa nazionale: “Non abbiamo vinto per caso: abbiamo preparato questa prova con meticolosità maniacale. Ogni atleta sapeva dove tirare, quanto tirare, quale posizione tenere. Nibali in rosa? Sono felice per lui. E’ un ragazzo che merita. Da qui in avanti, saremo la coppia spettacolo del Giro. Potrà succedere qualunque cosa, ma di certo noi correremo l’uno per l’altro. Il capitano lo decideranno le grandi montagne”.
Che strana cosa: italiani che danno lezioni al mondo sullo spirito di squadra. Non solo: due campioni nello stesso pollaio che si scambiano favori e riverenze. Siamo ai confini della realtà. Noi, spaccati su tutto, divisi e incarogniti l’uno con l’altro, mai capaci di fare sistema, noi Italia dei campanili e della parrocchiette, noi Italia degli egoismi e degli individualismi, sì, proprio noi firmiamo una pagina magistrale di solidarietà e di spirito corale.
Caro diario, ovviamente è presto per dire se Nibali vincerà il Giro. Giustamente, lui parla solo di un sogno bambino che finalmente si realizza. “Ma Basso – aggiunge – è l’uomo giusto e autorevole che io lealmente affiancherò. Giorno per giorno, scopriremo dove si può arrivare”. Mentre a Messina amici e parentado festeggiano a cannoli e passito, Vincenzino restituisce all’Italia il respiro della speranza e dell’ottimismo. Che sia arrivato al Giro solo all’ultimo momento, sostituendo un compagno (Pellizotti) escluso per problemi di doping, ha il sapore ancora più gustoso di un messaggio simbolico: il nuovo, forse, avanza davvero. Vincenzo è il volto che serviva. Il resto è tutto da inventare. Ci sono avversari di tutto il mondo – ne dico tre: il canguro Evans (finora, mister Fantozzi), il kazako Vinokourov, il russo Karpets – che gli renderanno la vita durissima. Ci sono ancora due settimane e mezza di corsa, ci sono montagne infernali, ci sono tutte le insidie di questa nuova popolarità nazionale. Non sarà facile, per un ex bambino che si ritrova improvvisamente grande a 25 anni. Ma dalla sua ha una carta che gli italiani non giocano quasi mai: l’affiatamento, la lealtà, lo spirito di squadra. Noi, quelli di Coppi e Bartali, di Moser e Saronni, di Bugno e Chiappucci, quelli del bipolarismo sociale, politico, culturale, del bipolarismo in tutto e su tutto, proprio noi andiamo a caccia di gloria con Nibali-Basso, coppia affiatata e indissolubile. E’ un nuovo made in Italy. Troppo bello per essere vero. Però è vero.

da Il Giornale del 13 maggio
a firma di Cristiano Gatti
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COMMENTI
Bipolarismo?
13 maggio 2010 23:52 
Se anche nel ciclismo ci fosse il bipolarismo sarebbe un fallimento come in politica. Nel ciclismo ci sono peculiarità atletiche che non possono trovare sintesi in due soli personaggi. I due più forti, in una o più specialità (anche i cosiddetti corridori completi), non annullano mai le caratteristiche di altri atleti che emergono nella loro specialità. Anche ai tempi di campioni eccezionali come Coppi e Mercks, oltre Bartali e Gimondi, emergevano Magni e Adorni e sprinter come Basso; come Cipollini, Bartoli e Petacchi erano grandi nonostante Armstrong e Pantani. Guai se si riducesse il ciclismo all'attenzione verso due soli protagonisti. Finirebbe proprio come la politica, dove sono stati messi da parte gli ideali che animavano la partecipazione popolare attraverso i Partiti, dando spazio con la scusa del bipolarismo al dualismo tra persone, con l'avvento di particolarismi e individualismi che hanno generato una classe politica piatta e culturalmente di gran lunga inferiore alla precedente.

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