Vita su due ruote: io mi ribello all'ingiustizia

| 06/07/2009 | 15:03
Caro direttore, leggendo il “Giornale” di ieri ho realizzato d’essere un grosso problema italiano, una delle emergenze più impellenti del nostro sistema sociale. Con un titolo in prima pagina, “Multeranno anche i ciclisti, finalmente”, e con una pagina monografica all’interno, mi sono sentito un po’ come devono sentirsi in questi giorni i capiclan, gli spacciatori, i trafficanti di schiavi clandestini: nel mirino. A puntare il suo Winchester, oltre alla nuova legge sulla sicurezza, quel John Wayne dell’ironia che risponde al nome di Tony Damascelli, bravo collega, ma soprattutto amico leale. Non gli è parso vero, in quanto bastardo-dentro, di dare il suo euforico benvenuto al giro di vite, che prevede multe salatissime e persino confisca di punti-patente a chi usi la bicicletta in modo naif.
Allora: in casi come questo, quando le forze dell’ordine hanno circondato la casa e i cecchini alla John Wayne sono in posizione di tiro, converrebbe arrendersi e uscire a braccia alzate. Ma io non lo farò. Non esiste. Voglio resistere fino all’ultima stilla di energia. In certe battaglie non si fanno prigionieri.
Sono ciclista militante da sempre. Pedalo in bici da corsa, per benessere fisico e mentale, sulle strade fuorimano, più o meno un tremila chilometri all’anno (sembrano tanti, ma i forsennati del ramo sanno che non lo sono). Quando sono in città, invece, mi sposto su una normalissima bici dalle sembianze civili. Considero cioè la bicicletta uno straordinario strumento di libertà nel tempo libero, e uno straordinario veicolo di sopravvivenza urbana nel tempo coatto.
Se sono qui a chiedere la parola non è certo per difendere le nostre porcherie quotidiane: nessuno di noi potrebbe mai negare di passare qualche volta col rosso, di salire qualche volta sul marciapiede, di avere qualche volta il fanalino sfasciato. Non starò qui a difendere l’indifendibile, non è proprio il caso. Però c’è un limite. Da come il diabolico Tony presenta le nuove norme, senza nascondere minimamente un entusiasmo da 25 aprile, sembra quasi che nella storia e nelle storie d’Italia il ciclista stia dalla parte del carnefice. E questo, francamente, mi sembra una solenne carognata. Vorrei qui dirlo e qui ribadirlo: non scherziamo. In Italia, per quante manovre fuorilegge possa inventarsi, il ciclista è e resta una vittima.
Neanche il vecchio Tony si risparmia il gusto di dipingerci come gangster metropolitani, come biechi personaggi da Bladerunner, su e giù dai marciapiedi, a zig-zag tra le macchine, sempre pronti a stendere povere vecchiette sulle strisce pedonali. E come no. Siamo il terrore del traffico cittadino. E’ risaputo, quando una bici passa col rosso può provocare una strage: capace che metta sotto un tram e mandi una cinquantina di passeggeri al creatore. Disumana, la crudeltà dei ciclisti.
Sembra che non si vedesse l’ora, che non se ne potesse più, di questi crimini a due ruote efferati e impuniti. Effettivamente, nella graduatoria delle nostre priorità nazionali, questa dei ciclisti sta ai primi posti. Sacrosanta l’inversione di tendenza: dal lassismo alla ferocia draconiana. Finalmente pagheranno, i fetenti. Io per primo. Però chiedo: parlando con criterio puramente proporzionale, che cosa è equo per i Tir che abitualmente, quotidianamente, eternamente procedono a 130 in autostrada, alle Smart che li sorpassano a 140, un attimo prima del decollo, agli ubriachi fradici che con le Golf assettate falciano i pellegrini di Padre Pio in attesa del pullman, ai sedicenni sulle macchinette da figli di papà che considerano le zebre pedonali una simpatica trovata cromatica di Dolce&Gabbana? Amico Tony, dico a te, che ti senti così rassicurato dalla caccia al ciclista: che ne facciamo, di tutti questi altri? Io sono pronto a subire l’ergastolo, se ho il catarifrangente crepato. Ma per loro, se vogliamo essere giusti, allora invoco il plotone di esecuzione. O passo per esagerato?
Ecco, se qualcuno avverte un sentore d’esagerazione, sappia che è la stessa avvertita nelle ultime ore da noialtri ciclisti. Certo che chi sbaglia deve pagare. Chi lo discute. Ma vediamo di non ribaltare i termini della questione. Andare in bicicletta, oggi, in Italia, prima ancora d’essere una passione, una scelta ecologica, un buon atteggiamento civico, è ancora e soprattutto un supremo atto di coraggio. Sì, bisogna avere molto coraggio – e magari lasciare due righe di testamento prima di uscire dal cortile – per affrontare tutti i giorni l’amabile signora che dopo aver parcheggiato a bordo strada, davanti alla palestra, s’allunga con la mano destra per raccogliere il beauty-case dal sedile del passeggero, mentra con la temibilissima mano sinistra apre la portiera sua senza guardare, abbattendo e sfigurando all’istante l’ignaro ciclista in arrivo (le va dato atto, però, che subito dopo dimostra molta umanità, rilasciando con sorriso leggiadro dichiarazioni consolatorie: “Oddio, non ti sarai fatto male…”).
Bisogna avere molto coraggio per credere ancora nell’ecologia della bici quando il Tir stringe in curva. Bisogna avere molto coraggio per credere ancora nella segnaletica stradale, quando il Porsche Cayenne del commercialista molto di fretta esce dallo stop anche se c’è un ciclista in arrivo, perché come noto il ciclista non fa classifica, non entra nel quadro visivo di chi ha molte cose da sbrigare, e resta un problema suo se eventualmente va a spiaccicarsi sulla fiancata, creando se mai un serissimo problema di carrozzeria, con quel che costa il metallizzato. Bisogna avere molto coraggio per considerare ciclabili quelle piste demenziali, costellate di tombini fino alla caviglia e di improvvisi muri di cinta per traverso, evidentemente pensate in periodo elettorale da geometri comunali che non sono mai saliti una sola volta in bicicletta, nemmeno nella bella età del candore.
Poi dice che il ciclista porta i bambini ciclisti nelle isole pedonali. Che sale sui marciapiedi. Prova tu, caro Tony, a portare l’allegra famigliola nel pieno rispetto del codice stradale lungo i nostri viali. Prova, se hai cuore. Quando hai provato, se ne esci indenne, sono sicuro che non ci prenderai più per il naso evocando i disciplinati scenari olandesi. Ma tu hai visto come considerano le biciclette, al Nord? Io in Italia ho visto qualcosa di simile solo in una città: Ferrara. Qui la voglio citare come esempio, ma soprattutto come patetica isola nel deserto. Perché il resto è tormento.
Chiuderei con un aneddoto. Vero. Anni fa, un ottimo gregario azzurro, Guido Trenti, si schiantò in allenamento, lungo una discesa veneta, contro la fiancata di un’auto uscita dalla strada laterale senza rispettare lo stop. Un disastro fisico, mesi e mesi di ricostruzione. Alla fine, la solerte legge italiana gli presentò il conto: multa salata perché la sua bici era sprovvista di fanali e di campanello. Inutile far presente ai vigili che la bici da corsa, per sua natura, ne è sprovvista. Debole coi forti, fortissima coi deboli, la nostra legge impose la sanzione. L’episodio mi sembra anticipatore di quello che presto diventerà routine. Per la gioia dei Tony Damascelli, al ciclista non sarà perdonato più niente. Ancora una volta, potremo raccontare fieri che questa è la culla del diritto. Come facciamo da secoli, sprofondando nel rovescio.

da Il Giornale
a firma di Cristiano Gatti

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COMMENTI
Sicurezza sulle piste ciclabili
6 luglio 2009 15:55 Fausto62
Grazie Cristiano Gatti per aver così abilmente messo alla luce una delle più ridicole normative della storia Italiana. Mi permetto inoltre di suggerire, a confronto con il Nord Europa, che oltre al ripetto portato dagli automobilisti verso chi usa la bicicletta, i nostri co-pedalatori Arancioni (e non solo) godono di una rete di piste ciclabili seria e affidabile. Nella città in cui vivo (Reggio nell'Emilia) esiste si una rete di piste ciclabili che, per la maggior parte finisce su strade ad alta concentrazione di traffico senza nemmeno aver la possibilità di un tappeto zebrato per poter aver il diritto di essere investiti avendo almeno la legge dalla propria parte. Sostanzialmente le piste ciclabili Italiane sono tutte piste "elettorali" ove fare una bella foto al Sindaco durante l'innaugurazione per poi venire amabilmente abbandonate a se stesse. Esiste addirittura un caso eclatante ove, non avendo più spazio per proseguire su un lato della Statale, le indicazioni invitano lo sfortunato ciclista ad attraversare la strada in quanto la pista ciclabile prosegue sul lato opposto per poi, 500 metri più avanti, ritrovare lo stesso invito a riattraversare la Statale per proseguire di nuovo sul lato precedente. Si contano ben 5 attravesamenti in 3 chilometri di strada. Una sorta di roulette russa. Se poi vogliamo parlare dell'inciviltà dei Signori automobilisti che parcheggiano le vetture sulle piste ciclabili mi vien da dire che continuerò, per la mia incolumità personale a viaggiare su e giù dai marciapiedi fino a quando non avrò una pista ciclabile sicura su cui poter mettere anche la mia famiglia.
Fausto Piccinini

Cristiano, sei sempre straordinario, e ti copio
6 luglio 2009 16:20 donromano
Sì, non me ne vorrai se uso questa tua per accompagnare il bollettino parrocchia,e che invio on-line ai miei parrocchiani cybernetici.
E' talmente bella!!!
Da qualche parte avevo scritto che, almeno qui da noi, il ciclismo è uno sport estremo, e dopo aver girato l'Europa (ma sì, dai, mettiamoci la maiuscola, ancora per un po', è la nostra sola speranza...) in bici posso dire che è proprio vero, non c'è paragone, e chi realizza le ciclabili qui da noi, è evidente, non ha mai pedalato, "nemmeno nella bella età del candore".
Fra interruzioni anche per facilitare agli automobilisti l'uscita dal cancello di casa, restringimenti (fatti come poi...) per i motivi più disparati, si vede che hanno lavorato a tavolino, e basta.
Da qualche parte, qui vicino, per ridurre le barriere architettoniche, hanno messo il caposettore del comune su una carrozzella, e gli han fatto girare tutto il comune perché vedesse dov'erano gliostacoli. E' diventato un fanatico del centimetro. Se facessimo lo stesso con chi progetta le "ciclabili-interrotte"? Ne caveremmo qualcosa?

Don Romano

Per sig.Damascelli
6 luglio 2009 16:52 ciclistas
Io di Km in bici ne faccio circa 11.000 all'anno, molti di questi per andare in ufficio (32 Km andata + 32 Km ritorno), molti altri per divertimento. Quando esiste la possibilità che possa viaggiare al buio (vedi ritorno dal lavoro) ho i fari davanti e dietro. Il campanello non lo uso: molto meglio e veloce un urlo o fischiare. Certo anch'io spesso passo con il rosso ma non credo di essere l'unico ciclista in Italia ad essere stato multato per questo! Questo per dimostrare a Damascelli che il codice della strada esisteva anche prima di questa nuova legge. Credo che l'entità di una contravvenzione debba essere proporzionale alla pericolosità che l'infrazione crea soprattutto verso il prossimo prima che a se stessi. Infine mi sembra quasi superfluo rilevare come in Italia sempre di più LA LEGGE NON SIA UGUALE PER TUTTI.
Caro Damascelli continui pure a seguire il caro calcio e continui pure ad illudersi che lì forza, velocità e resistenza (leggi doping) non servano.
Saluti
Claudio Pagani

ciclabili
6 luglio 2009 19:26 rufus
Concordo con quanto affermato da Fausto Piccinini: anch'io abito a Reggio Emilia, e usando la bici sia per diletto che per necessità, mi sono spesso scontrato con il problema delle piste ciclabili che, almeno nella città in cui vivo, sono una realtà particolare. Si strombazza ai quattro venti la creazione di queste piste, per poi notare come sia paradossalmente più pericoloso per un ciclista usarle che rimanere sulla strada. A parte i pedoni, che camminano appaiati e non si spostano se non all'ultimo secondo utile, gli automobilisti proprio non ti considerano, essendo la bicicletta un mezzo notoriamente di dimensioni minori rispetto all'automobile...Questo è indubbiamente un problema culturale che sarà veramente duro a morire, dato che in Italia l'automobile è qualcosa di assolutamente sacro e intoccabile, e gli sfigati che vanno in bici sono soltanto d'intralcio.
Flavio Gibertoni

6 luglio 2009 22:17 hazzard
Dite al sig. Damascelli che oggi ho rischiato due volte di finire all'ospedale per colpa di una macchina che è arrivata lunga a uno stop e ad un camion che mi ha fatto il pelo per non aspettare 30 secondi in più per aver più spazio da sorpassarmi ,ero solo e sul ciglio della strada. Sicuramente era colpa mia ,(per lui)perchè noi ciclisti siamo di troppo , vero Damascelli ? Non difendo quelli che girano in mezzo alla strada ma è meglio che pensi al calcio ,che non ti riesce neanche tanto bene . Grande Cristiano !!!!!!!!!!!!!!

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