
Invertendo l’ordine delle città di partenza e arrivo, come puntualmente avviene da cinque anni (e con meno regolarità da oltre un decennio), il risultato non cambia: il Lombardia resta la classica più dura dell’anno, anche più della Liegi perché qui si arriva col serbatoio di energie meno pieno rispetto alla primavera. Quest’anno si va da Como a Bergamo, i chilometri sono sempre tanti (241), il dislivello pure (4400 metri), con una bella sequenza di salite: Ghisallo, Roncola, Berbenno, Crocetta, Zambla Alta e infine il passo di Ganda prima dello spettacolare finale in Città alta. Se l’ultimo dei nostri a vincere, Nibali, in due occasioni (2015 e 2017) c’è riuscito solo sul lago di Como, Pogacar non bada all’alternanza: si arrivi da una parte o dall’altra, da quattro anni in fila detta legge. Il quinto centro proietterebbe l’iridato sloveno nella leggenda, perché eguaglierebbe Coppi facendo pure meglio, perché una cinquina in altrettante stagioni in questa classicona non si è mai vista. Ecco le dieci facce (una più nove, in realtà) che si candidano come primattori.
Tadej Pogacar. Vince perché più le corse sono dure e più fa la differenza, perché quest’anno nelle classiche quando non ha vinto è arrivato sul podio, perché non si vede in giro chi possa fermarlo. Non vince perché anche lui capita di sbagliare e perché la sfortuna a volte ci vede benissimo.
Remco Evenepoel. Vince perché ama le classiche più toste, perché un anno fa ha già respirato l’aria del podio, perché chi vince la Liegi ha tutto per ripetersi anche nel cosiddetto mondiale d’autunno. Non vince perché quando c’è in corsa Pogacar gli tocca correre per il secondo posto.
Tom Pidcock. Vince perché sta facendo un ottimo finale di stagione, perché nelle classiche è migliorato tanto, perché prima o poi un grande risultato riesce a centrarlo. Non vince perché rispetto ai fenomeni in circolazione gli manca ancora un centesimo per arrivare all’euro.
Isaac Del Toro. Vince perché sta attraversando un momento di grazia, perché se a 21 anni vinci 15 gare in una stagione non sei soltanto una promessa, perché se Pogacar dovesse avere guai lui è prontissimo. Non vince perché il suo enorme talento deve metterlo a disposizione di Pogacar.
Ben Healy. Vince perché a forza di dar battaglia prima o poi una la centra, perché non arriva a fine stagione col serbatoio vuoto, perché ha imparato anche a non sprecare energie quando non serve. Non vince perché alla distanza cala e il compagno Carapaz potrebbe aver più carte.
Mattias Skjelmose. Vince perché nell’ultimo mese è stato sempre in prima linea, perché ha le qualità per dire la sua sui percorsi duri, perché è tra i pochissimi che in questa stagione è riuscito a battere Pogacar. Non vince perché spesso a mettergli un bastone tra le ruote è la sorte.
Primoz Roglic. Vince perché in questa classica è andato sempre migliorando, perché nell’ultimo mese si è ripresentato ad alto livello, perché è tra quelli che in stagione si sono spremuti meno. Non vince perché 36 anni si sono fanno sentire di fronte alla meglio gioventù attuale.
Paul Seixas. Vince perché nell’ultimo mese è sempre stato protagonista, perché il podio agli Europei dietro ai giganti l’ha galvanizzato perché a 19 anni ha fretta di mostrare il suo talento in una grande corsa. Non vince perché non ha mai corso una classica e questo è l’esame più severo.
Christian Scaroni. Vince perché è da una stagione intera che corre davanti, perché è uno che prima di arrendersi dà tutto se stesso, perché dopo il quarto posto all’Europeo vuole regalarsi un risultato di prestigio. Non vince perché col Lombardia non ha mai avuto un grande feeling.
Julian Alaphilippe. Vince perché sta chiudendo la stagione meglio di come l’ha iniziata, perché di uno che ha vinto due mondiali è sempre meglio non fidarsi, perché è di quelli che conosce la strada per il podio. Non vince perché rispetto alla nuova generazione sembra avere qualcosa in meno.