
A scandire l’impaziente attesa per i Campionati del Mondo su Strada del 2025 a Kigali ci si imbatte nuovamente in David Louvet, transalpino della Normandia, contattato in una pausa del ritiro collegiale delle selezioni che si stanno preparando a Musanze. A 200 km dalla capitale, presso l’African Rising Center, le nazionali del Paese ospitante avvicinano lo storico appuntamento sotto l’attento sguardo del direttore sportivo(già responsabile del Polo federale di Caen, nel Calvados) arrivato in Rwanda nel 2023.
Ripercorriamo quell’approdo?
“Il settore tecnico della federazione francese aveva ricevuto la richiesta da parte degli omologhi rwandesi, cercavano un coach e la scelta è caduta su di me, anche perché avevo seguito in precedenza dei progetti in Sudan, esperienza molto arricchente sul piano umano. Dopo anni passati al comitato della Normandia e al Polo espoir, ho vissuto con entusiasmo e senza remore questa nuova esperienza equatoriale, supportato da mia moglie. Un nuovo inizio superati i 50 anni e con figli ormai grandi”.
E la marcia d’avvicinamento del Rwanda a questi mondiali?
“Dalla rassegna iridata di Glasgow in poi, con una parentesi olimpica in Francia per me logicamente ricca di significati speciali, abbiamo colto segni che ci fanno essere ottimisti. Non chiedetemi proclami dal punto di vista dei risultati, ciò che respiro è però un entusiasmo di ragazzi e ragazze motivati a dare il 110 per cento e più sulle strade di casa”.
A proposito, togliamoci la curiosità: il percorso iridato è lo spauracchio di cui si parla?
“Ebbene sì, durissimo, spettacolare con tanto di pavè e caratterizzato a metà prova dal giro lungo comprendente il Mount Kigali. Aggiungiamoci che qui si gareggia a 1500 metri e non mi stupirei affatto se tra i professionisti finissero non più di trenta concorrenti”.
Tornando alla nazionale rwandese come pensate di mettervi in mostra?
”Dipende dalle categorie e dalle competizioni di cui si parla, ovviamente. Possiamo far bene nella prova mista e non solo, mettendo a frutto la crescita dei nostri portacolori reduci da fondamentali esperienze internazionali, penso alla promettente Jazilla Mwamikazi, che ebbi modo di seguire a Parigi 2024, quando faceva mtb”.
Al Tour du Rwanda 2025 avete animato tante fughe da lontano…
”Può trattarsi di un opzione da replicare, del resto mi piace ricordare quando ai Giochi proposi ad Eric Manizabayo due opzioni, concludere la corsa oppure muoversi in anticipo: e lui fece parte della fuga mattutina sviluppatasi per 170 km e 4 ore, vivendo emozioni indescrivibili a Montmartre”.
E regalandola al suo ds, scopritore di gente come Kevin Vauquelin, Benoit Cosnefroy o Marion Bunel: nostalgia?
“Sarà bello rivederla, spero protagonista, qui, visto che il percorso le si addice. Sono totalmente proiettato nella missione che mi è stata affidata, solo dall’interno si può cogliere il significato di cosa significa per questo Paese e per questo Continente ospitare i Mondiali, lasciando in eredità soprattutto la crescita complessiva del movimento”.
Vale la regola: distribuiamo bici e nasceranno campioni?
“Direi che qui a Kigali, dove tutte le nazioni africane vorranno interpretare le dinamiche della rivalità interna al continente, ogni sforzo fatto a livello promozionale oggi può produrre nel medio termine effetti insperati e non pronosticabili a tavolino. Eppure la programmazione è tutto, qui si è anche badato a strutturare una proposta multicategoria fatta di eventi ciclistici, trasferendo in loco conoscenze dal punto di vista della preparazione e dell’interpretazione tattica. Quando il livello della diffusione sportiva e l’offerta di un calendario qualificato si allineano non vanno posti limiti”.
Insomma il nuovo Girmay potrebbe essere rwandese?
“Mi sentirei di pronosticare di più l’affermazione di corridori adatti alla salita ma il potenziale atletico che si osserva è in qualche modo immenso(simboleggiato anche da chi pigia sui pedali trasportando sul portabagaglio grandi pesi come fascine o bidoni di latte, ndr) ed inespresso. Comunque, per esperienza diretta, posso dire che garantire ai più capaci di gareggiare in Europa produce non solo stimoli motivazionali ma sviluppa abilità nuove da trasferire poi dal punto di vista prestazionale”.
Come abituarsi ad un gruppo numeroso?
“Anche, amplierei il discorso a tutto il ciclismo africano e direi che una delle eredità di questi mondiali sarà quella di favorire un vero e proprio calendario internazionale fuori dal continente per più ciclisti, riconoscendo il ruolo fondamentale esercitato dal World Cycling Center che seleziona i migliori talenti a Paarl, in Sudafrica. Il resto, non trascurabile, lo fa la crescita di gare in calendario africano, l’esempio virtuoso del Rwanda, dove annualmente i nostri atleti si cimentano nella prestigiosa gara a tappe insieme a ciclisti di squadre professionistiche europee e non solo, tra queste le compagini sviluppo del World Tour”.
E David Louvet come si è ambientato a Kigali?
“Molto bene, ho affittato un appartamento ed ho sperimentato il carattere accogliente di questa città vivace, dove percepisci una grande disponibilità al confronto umano nei confronti di un occidentale. I miei interlocutori si fanno in quattro perché tutto proceda al meglio per me, unendo calore umano e discrezione”.
Nel lussureggiante giardino del lodge a Musanze è tempo della foto di gruppo. Per noi dei saluti: “a bientot, David!”.
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