
Tour de France. Giornata di sole e festa, la festa del ciclismo e della vita. Lui è seduto a tavola. Una bella (insomma) tovaglia a fiori, rose addirittura. A bere e mangiare. Primo, secondo. Pronti, via. Proprio in quell’istante sopraggiunge il gruppo, una silenziosa velocità, un terremoto epidermico, un attimo eterno, ma lui niente, la tavola è quasi al bordo della strada, dà sulla strada, ma lui al richiamo del cuore preferisce quello della pancia. E mangia. E poi ci berrà su. E i corridori, ciao.
La fotografia a colori è stata scattata da Etienne Garnier, pubblicata dall’Equipe e scelta come “la foto” di The Best of Cycling 2024, campionato festival rassegna concorso in mostra - fino al 14 settembre – al Forte di Bard, in Valle d’Aosta. La manifestazione è alla sua ottava edizione, ideata da Roberto Bettini e curata dallo stesso Bettini con Federico Bona, oltre 200 opere, una sessantina esposte nelle scuderie del Forte (da martedì a venerdì ore 10-18, sabato, domenica e festivi ore 10-19, ingresso incluso nel biglietto di accesso al Forte, per informazioni info@fortedibard.it e www.fortedibard.it).
The Best of Cycling è un viaggio nel viaggio. Foto studiate e improvvisate, foto dove la bici è protagonista o comparsa, mattatrice o cameo, dove la scena è invasa dalla geografia o dall’architettura, dove l’attenzione è rapita da un gesto o da una smorfia o concentrata su un muscolo o uno sguardo. L’immagine selezionata per attirare e attrarre è quella che Joris Knapen ha dedicato a Mathieu Van der Poel, un uomo solo, la maglia iridata, il numero 101, la strada bianca, il sole in faccia, la vita davanti a sé. Ma non c’è una foto senza il suo perché, a prescindere dal dove e quando, dal chi e con chi. Il bello del ciclismo, anche quello dell’anno 2024, è il suo messaggio di strada, luogo democratico, aperto a tutti, quindi comune e comunitario, un messaggio che dovrebbe spingere al rispetto, alla coscienza, alla bellezza.
Quella dei fotografi del ciclismo è una banda alleata nel privilegio della specialità, ma anche nel gusto della fatica, della ricerca, dell’osservazione, e nell’appartenenza a una stirpe nomade. Una passione, ma anche una compassione, nel senso che i fotografi sembrano sentire, se non perfino patire insieme con i corridori. I corridori lo sanno, li conoscono e li ringraziano. Quanta umanità in Elisa Longo Borghini, sfinita ma riconoscente, a terra, al traguardo, davanti a uno stuolo di fotografi (l’opera è di Remo Mosna). Quanta spiritualità nell’arcobaleno che santifica due uomini in fuga, o all’inseguimento, su una strada rossa della Strade Bianche (la foto è di Stefano Spalletta). Quanto cielo sopra i corridori e quanto paesaggio intorno ai corridori e forse quanta solitudine dentro i corridori in fila indiana (Ivan Benedetto) e anche quante cattedrali di sabbia che sembrano nasconderli e schiacciarli o forse invece indirizzarli e condurli, addirittura salvarli (Luca Bettini).
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