SOTTO IL SOLE DI FRANCIA

TUTTOBICI | 27/04/2020 | 07:50
di Gian Paolo Ormezzano

Terzo e forse (forse, at­tenzione) ultimo capitolo di memorie mie speciali legate a colleghi som­mi o buffi frequentati ed amati nel corso di una lunga vicenda giornalistica personale incentrata soprattutto sul ciclismo. Con un viaggiare di ricordi an­che all’estero.


Carlo Bergoglio detto Carlin. Piemontese totale, torinese ma devoto al Canavese, miniterritorio che sta a Torino come la California tutta a Los Angeles, sabaudo di modi garbati e sottili, mio maestro e mio lanciatore nel mestiere, lui tifoso di Bartali e Juve, io di Coppi e To­ro, e lui che mai mi chiese di fare outing, per non scoprirmi o nemico o ruffiano. Ga­ri­nei e Govannini, grandi scrittori di riviste teatrali, al Giro per la prima volta sfilarono ac­canto alla vettura di Carlin e, riferendosi al nome del suo giornale, gli chiese­ro “Tut­to­sport?”. Carlin rispose di sì. Tre domande identiche e Car­lin ormai scocciatello, e uno dei due che allora gli chiese: “Tutto sport e sesso niente?”.


Gianni Brera. Superstimatore epperò nemicissimo di Carlin, Lombardia vs Piemonte e reciproca scelta estetica più che eti­ca di rivali validi, stimolanti, nobili. Gianni mi voleva bene, sapeva che di bene ne avevo ec­come per lui ma anche per Carlin, mai mi sollecitò - nel mio piccolo - a schierarmi. Un giorno gli scappò detto (e poi anche scritto): “Però quel tuo Carlin scrive bene come Ana­to­le France”. Grazie, Gianni.

Bruno Roghi. Scrittore finissimo, alla breve direzione di Tut­tosport per l’occaso della sua gran vita di cantore specie del ciclismo: i Mondiali su pi­sta. La finale dello sprint o dell’inseguimento a tarda ora, lui scriveva e trasmetteva tre articoli: se vince Caio o se vin­ce Tizio o se si arriva ad un orario estremo che uccide an­che l’ultima edizione. Grandi lezioni di umiltà operaia, date da un artista.

Jacques Goddet - Suo fratello aveva fondato, con Henri Des­grange, l’Equipe e quindi il Tour de France che lui dirigeva. Vestiva per la tappa da uf­ficiale delle Legione Stra­niera in pieno Sahara, camicia e  bra­ghette di tela caki, in testa kepi antisole. Scriveva per la prima pagina del quotidiano sportivo vangelo per tutti noi pezzetti brevi, sentenziosi e retorici il giusto. Gli parlavo appellandolo “monsieur God­det” e lui mi regalava subito un “cher confrère”, ovviamente senza sapere chi io fossi.

Félix Lévitan - Giornalista an­che lui (del Parisien Liberé), vi­cedirettore di corsa al Tour, parlava alla radio di bordo con Goddet usando la lingua di Mo­lière ai suoi massimi. Mai diceva “io posso”, ma “je suis en mesure de…”. Padrone de­gli eventi anche mentre sul Mont Ventoux il corridore in­glese Simpson moriva di do­ping e sole e cognac. C’era di sicuro lui tra gli ufficiali francesi del film premio Oscar  “All’ovest niente di nuovo”, scritto da Remarque e diretto da Milestone.

Antoine Blondin - Grande scrittore francese, premiatissimo e sempre senza un soldo e pieno di debiti, autore fra l’altro del libro “Una scimmia d’inverno”, che diede vita ad un grande film con Jean Ga­bin e Jean-Paul Belmondo. Rissoso amico dell’alcol, sempre impegnato nel pugilato di strada (boxeur de rue). Lo an­dai a trovare nella sua stanza d’affitto in pieno Quartiere La­tino a Parigi, l’usciere gli ave­va sequestrato tutto fuorché il letto, due sedie e il tavolino. Si scusò per la birra non ghiacciata, l’usciere si era portato via il frigorifero poco più che tascabile. Gli dissi che adoravo la birra tiepida.

Pierre Chany - Leader (si di­ceva così) della rubrica di ci­clismo su L’Equipe. Bello co­me un Gerard Philippe del giornalismo sportivo, donne a go-go. Alcuno colleghi prepararono un libro-sorpresa di te­stimonianze, da regalargli per i cinquanta anni di carriera, mo­rì pochi giorni prima della festa prevista, mi dolsi anche perché non aveva potuto leggere il mio succinto omaggio: “Mi ha insegnato il francese ed il ciclismo”. Era stato lui a re­galare a Blondin il piccolo frigorifero.

Miguel Utrillo - Immenso collega spagnolo anzi catalano an­zi di Sitges, gran mare a ovest di Barcellona e roccaforte dei catalani gay contro il dit­tatore Franco. Amicone di Dalì, era figlio dell’avvocato Utrillo che aveva adottato un pupo di una ballerina francese: il fratellastro di Miguel era poi il diventato il grande pittore Maurice Utrillo, e Miguel di­ceva “Maurice, mon frère” (parlava francese e anche italiano) pur se lo aveva conosciuto poco. Non vedevo Mi­guel da vent’anni, a Sitges lo riconobbi da lontano, avanzava verso di me, era un Hemin­gway alla catalana, gli dissi in italiano: “Ma sei Miguel?”: E lui in italiano e abbracciandomi e si capisce ritrovandomi: “Porca merda comendatore”.

da tuttoBICI di Aprile

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