I VECCHI TEMPI

TUTTOBICI | 24/12/2018 | 07:08
di Gian Paolo Ormezzano

Mi provo, mi misuro, forse mi infogno con i miei (e non solo) “vecchi tempi”. Confronto sempre in­trigante, ancor più quando viene voglia di privilegiare la dizione “vecchi tempi” (magari voglia soltanto per via di una squallida base anagrafica, però sempre legittima) rispetto ad “ai miei vecchi tempi”, un “ai miei tempi”, più corto e ru­vido: e non lo si fa soltanto per il timore di apparire scaduto, o quan­to meno scadente.


Do per scontato che chi legge ab­bia capito l’assunto, e perigliosamente lo completo: intendo come “vecchi tempi” quelli giornalistici, anche perché il giornalismo (sportivo) ha riempito davvero larghissima parte della mia vita (e arridaje, riscivolo nell“ai miei vecchi tem­pi”), e intendo soprattutto il giornalismo ciclistico, quello che mi ha connotato per tanti anni. Per­ché in fondo ho cominciato a essere pre­so sul serio al giornale quando il 2 gennaio 1960 Fau­sto Coppi, anziché patire uno dei suoi soliti guai fisici superabili e superati, è morto all’ospedale di Tortona, dando co­sì pe­so, triste ma fisiologico, al mio modesto reportage.


Quell’anno è stato per me anche l’anno giornalistico della mia prima Olim­pia­de di ventiquattro (Gio­chi invernali di Squaw Valley, California, Usa), del Tour vittorioso di Ga­stone Nencini, dell’Olimpiade estiva di Roma con vittoria del mio amico/fratello Livio Berruti. Due a due, se vogliamo, fra ciclismo e Olimpiade. E per me niente calcio da scrivere, da frequentare lavorativamente nel bene o nel male: ho vissuto la serie B 1959-60, quella della prima retrocessione del mio To­ro da tifoso, da giornalista im­potente, in redazione deriso dai colleghi juventini.

Pronti-via, ordunque. Per regola dialettica fissa, quando non anche per po­stulato o addirittura per dogma, i “vecchi tempi” sono migliori dei tempi nuovi e anche di tutti i tem­pi possibili: per ricordi belli, positivi, per forti echi lunghi, per profumi comunque di nostalgia in chi li ha vissuti, per invidia e voglia fis­sa di sospirare in chi adesso li vorrebbe vivere, sicuro che gli da­rebbero comunque più di ciò che passa il convento adesso, o semplicemente perché sì. O addirittura perché proprio sono stati migliori dei tempi attuali, lo diciamo noi dei vecchi tempi e lo dicono quelli dei tempi nuovi.

Ai miei vecchi tempi nel ciclismo furoreggiavano ancora i giornalisti cantori, alcuni magari sgrammaticati ma tutti innamorati di questo sport e tendenti a deificarlo. Di al­cuni di loro sono stato giovane pag­gio. Come i poeti del dolce stil novo erano pazzi d’amore le loro donne e però, onde divinizzarle meglio, evitavano di frequentarle così da non rischiare di scoprirle, magari alla prova-palpeggio, troppo terrene, così i cantori evitavano di seguire da vicino i corridori, ca­somai li aspettavano sulle montagne scrutandoli da alti tornanti lontani e poi via verso l’arrivo, se c’era tempo passando al ristorantino, altrimenti arrivando alla località del traguardo in tempo per cu­rare bene la prenotazione presso il meglio ristorantone per la grande cena.

Ai “miei vecchi tempi” il re­portage doveva avere due pregi, o due caratteristiche (fate voi): essere lun­go, visto che si dovevano riempire pagine su pagine del quotidiano, ed essere trasmesso sempre con urgenza, vi­sto che le comunicazioni erano sempre un problema. La cosiddetta qualità era un optional, come anche la raccolta di elementi che arricchissero e intanto confermassero, rassodassero il resoconto (mi­ca c’era la televisione a offrire tutto o quasi). Ai “miei vecchi tem­pi” si mangiava magari meglio (co­munque senza inquinamenti alimentari) ma si dormiva sicuramente peggio, la rete alberghiera es­sendo ancora misera o nel migliore dei casi modesta. E quanto al dormire in auto durante la corsa (sto sempre parlando di giornalismo sportivo ciclistico), le vetture mica erano confortevoli, rassicuranti, rilassanti come quelle di adesso.

Ai miei vecchi tempi il giornalista del gruppo cantori era ritenuto una sorta di nume, i corridori si mettevano in coda per accedere a lui e omaggiarlo, le conferenze-stampa diciamo generalistiche, cioè con distribuzione di aria fritta, non erano ancora state inventate. Ciclisti illustri, campioni grandi mi hanno detto che pedalavano condizionati dal cantore che sul giornale poteva distruggerli o ulteriormente innalzarli.

Potrei andare avanti per tante ri­ghe ancora, dissacrando ma anche celebrando, criticando ma anche apprezzando. Per questa volta, per questo appuntamento credo sia co­sa buona e giusta e persino bella il  prospettare il tema, svolgerlo per una parte, inaugurare anche una riflessione (chiedo, spero troppo? se sì, mi scuso). A chi co­munque vuole inchiodarmi  con la domanda se i vecchi miei tempi erano migliori dei tempi attuali segnalo la Costituzione che sacralizza la libertà di pensiero, di opinioni, ma al tempo stesso scrivo qui che ho la ri­sposta tranciante, as­soluta, sicura, ferma, definitiva, dogmatica, perentoria, dirimente, assorbente, onnicomprensiva, iperconcludente: boh.

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