La Stampa. Gavazzi: se sei bravo e non prendi nulla fai settimo

| 25/09/2008 | 11:51
Pierino Gavazzi, lei è il direttore sportivo dell'Amore & Vita-Mc Donald's, la squadra di Ivano Fanini. È vero che parlando col suo presidente, giorni fa, gli ha detto che i corridori che vogliono vincere il mondiale sono tornati dalla Vuelta una settimana prima per fare il “rifornimento”, che nel gergo ciclistico significa: assumere sostanze dopanti? “Guardi, facciamo chiarezza. Se il mio presidente mi fa una domanda, io gli dico le cose come stanno: e sono le cose che tutti, nell'ambiente, conoscono. Anche voi giornalisti. Di certo, non mi aspetto che Fanini, il giorno dopo, vada a raccontare quello che gli ho detto ai giornali. In questo senso mi sono sentito un po' tradito”. - Quindi: Fanini l'ha messa in mezzo, magari scorrettamente, ma non s'è inventato niente... “No. Ma ripeto, cerchi di capirmi; se il mio presidente mi chiede una cosa sul doping, gli do una risposta; se me la chiede un giornalista, mi spiace ma gliene do un'altra.”. - Chiariamo una volta per tutte. Quando un addetto ai lavori, come lei, dice che un corridore va a fare il “rifornimento”, significa che va a mangiarsi un panino alla marmellata oppure che va ad assumere farmaci illeciti? “Su, lo sanno tutti cosa significa, anche voi giornalisti. E comunque il corridore in tutta questa situazione è il meno colpevole: è il ciclismo che lo porta a fare questo. Se vuoi vincere il Giro, o almeno provarci, non puoi farlo a pane e acqua; e se vuoi vincere la Roubaix, o almeno provarci, non puoi farlo a pane e acqua. È impossibile farsi largo in queste corse senza... come dire: aiutarsi. E comunque: perché devo essere io a dire cosa succede nel mondo in cui tutti viviamo? Tutti hanno gli occhi per vedere: voi giornalisti per primi. E se lo vuole sapere, secondo me anche Fanini sbaglia. Prima di tutto, dicendo queste cose danneggia la squadra perché tutti, poi, in corsa ti giocano contro. E poi, sbaglia perché da solo non può fare niente. Io gliel'ho detto: Ivano, dovresti convincere gli ex corridori famosi, i Moser e i Saronni e compagnia bella, che hanno figli che vanno in bicicletta, a portare avanti la battaglia tutti assieme. Così da solo è una causa persa”. - In realtà non ce ne sono molti disposti a seguirlo. Anzi, per il mondo del ciclismo Fanini è una specie di appestato... “Non so come dire: Fanini ha ragione ma deve capire che il ciclismo è sempre stato così. Un ragazzo che vuole farsi strada contando solo sulle sue forze, se va bene in una corsa può arrivare settimo o ottavo. A patto di essere bravo”. - Rispetto ai suoi tempi cos'è cambiato? “Tutto, direi. Quello era un ciclismo diverso. Moser e Saronni correvano da febbraio a ottobre, dal Laigueglia al Lombardia, e prima del Giro d'Italia facevano il Giro di Romandia: non c'era tempo per tante diavolerie, anche se tutti, io per primo, cercavamo di aiutarci. Poi magari vedevi altre cose. Per esempio, che al Giro era tutto preparato perché vincessero Moser e Saronni: non c'erano avversari, non c'erano salite, dopo 2 tappe ti accorgevi che mezzo gruppo era comprato. Però era diverso. Oggi leggo che Armstrong vuole tornare a correre per vincere un altro Tour. Ebbene, lui è il classico esempio di corridore che dimostra cos'è necessario fare, oggi, per vincere una corsa importante: nascondersi 6 mesi per essere il più forte di tutti il giorno, o il mese, che conta. Una stagione che dura in tutto 3 settimane”. da La Stampa del 25 settembre 2008 a firma Paolo Ziliani
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