LE STORIE DEL FIGIO. PAOLO FABRIS, CUORE FURLAN ESPLOSO AL VIGORELLI

STORIA | 29/01/2021 | 08:03
di Giuseppe Figini

È una storia, lunga storia di passione, passione di una lunga vita (92 anni) per le due ruote, quella che caratterizza la figura del compianto Paolo Fabris che, nel riferimento agonistico sportivo, ha avuto il suo “magic moment” sulla magica pista del velodromo Vigorelli di Milano nel 1955 - non proprio l’altro ieri – quando il corridore d’origine friulana, di Basiliano, nella pianura friulana, a una ventina di chilometri a sud di Udine, vestì la maglia tricolore di campione italiano dietro motori. Il suo allenatore (“manetta”, detto in milanese) era Luigi Consonni, classe 1905, brianzolo di Briosco, azzurro alle Olimpiadi 1932 di Los Angeles, quarto, ai piedi del podio, nel chilometro, poi conduttore stayer e in seguito sempre suo ascoltato consigliere e anche altro, come vedremo in seguito. Quando conquista il tricolore, Paolo Fabris veste la maglia di una società lombarda di primo piano, l’Aurora Desio, dove sono transitati molti corridori di valore assoluto che hanno consentito al sodalizio la costruzione di un palmarès glorioso, di specifico valore assoluto.


La nativa Basiliano e’ un centro ora variamente attivo, di fertile pianura e molteplici attività, luogo di nascita di diversi calciatori e due fratelli, Romano e Bruno Pontisso, professionisti di buona levatura e con Romano diventato, dopo l’attività ciclistica, un dirigente sportivo di rilievo nazionale.


Paolo Fabris, nato nel 1928, famiglia contadina “ricca” di 12 figli, poco prima dei 20 anni, dopo una buona carriera giovanile in bici con il Veloclub Friuli con varie affermazioni grazie al suo spunto veloce, lascia la natia Basiliano e si trasferisce a Milano in cerca di lavoro e dove continua e incrementa la sua passione per le due ruote assommando quasi una quarantina di affermazioni in varie gare su strada. E’ in seguito pure una presenza assidua e costante sulla pista, a quel tempo affollata, del Vigorelli. Indossa le maglie dello S.C. Porta Venezia, poi alla Spallanzani diretta dal vulcanico Renzo Zanazzi e poi all’U.S. Varesina.

Nel 1957 sposa Irene, sempre al suo fianco e sostenitrice della sua attività pedalata per i ben sessantadue anni di vita matrimoniale e mamma dei figli, Laura e Alessandro, che hanno loro regalato tre nipoti. Così, detto per inciso, Irene è la figlia di Luigi Consonni. Anche il figlio Alessandro ha avuto un timido, piuttosto breve e sfuggevole approccio con la bici da corsa. Un inciso, sempre ciclistico: Luigi Consonni è lo zio anche di Giorgio Elli, che, da vari anni, è competente, valido e discreto responsabile organizzativo della Struttura Tecnica Federale FCI, pure lui con un passato, un po’ pallido in verità (n.d.r.), di corridore nelle categorie giovanili.

Nel 1958 è terzo nel mezzofondo, categoria élite, vinto da un altro friulano, Virginio Pizzali – quasi coetaneo, classe 1932 - della vicina Mortegliano, il paese che vanta il campanile più alto d’Italia che misura m. 113,20. E’ stato per due anni tricolore nell’inseguimento a squadre, azzurro alle Olimpiadi di Melbourne del 1956 nel quartetto inseguimento con Leandro Faggin, Tonino Domenicali e Franco Gandini, caduto nella prova d’esordio con frattura della clavicola e fu sostituito, nel prosieguo del torneo, dal vicentino Valentino Gasparella. Quartetto che conquistò l’oro olimpico. Pizzali fu quattro volte tricolore fra i professionisti del mezzofondo e presenza costante in maglia azzurra ai mondiali degli specialisti dei grossi e rombanti motori d’allora.

Termina l’attività pedalata nel 1960 e trova l’impiego nell’AEM, municipalizzata milanese nel settore dell’elettricità e qui rimane fino al 1990, anno che si ritira dal lavoro.

Nel suo lungo periodo milanese rivendica sempre con orgoglio il suo essere friulano, “furlan di Basilian” per essere in rima e non ha mai perso i contatti con la terra d’origine, dove ritornava sempre con frequenza e piacere per ritrovare parenti e amici. A proposito di parenti è da ricordare la figura di suo fratello Tarcisio, tre anni più giovane, il decimo della graduatoria di Eugenio e Rosa Mattiussi della famiglia detta “Bondanse”, dedito al calcio nel ruolo di “stopper”,  ma anche lui trasferitosi nel capoluogo meneghino, ferroviere di addetto agli scambi alla stazione di Porta Garibaldi per professione, scomparso nel settembre del 2015, insignito del prestigioso riconoscimento dell’Ambrogino d’Oro della Municipalità di Milano, nel 2011, con questa bella motivazione:

 “Allenatore di calcio da mezzo secolo, il “vecio” insegna pallone sotto il Ponte della Ghisolfa, nello storica zona del Mac Mahon. La sua visione umana dello sport offre a tutti i ragazzi la possibilità di crescita umana sociale e relazionale. Punti cardine del suo insegnamento sono la capacità di vivere in gruppo, la tolleranza, l’accoglienza dei più sfortunati e il primato della dignità della persona umana”.

Per cinquanta anni ha insegnato calcio ai giovanissimi di varie squadre milanesi di periferia, per pura passione, terminando con la squadra dell’oratorio di San Gaetano, sotto il ponte della Ghisolfa (cavalcavia Bacula l’esatta indicazione toponomastica), vicino ai binari dello scalo Certosa, nella popolosa zona del Mac Mahon in un’ambientazione cara a Giovanni Testori e altri con richiami di vario tipo anche a motivi ciclistici e letterari.

Per suo espresso desiderio è stato sepolto vestendo la sua tuta calcistica.

Ritorniamo a Paolo Fabris, dopo questa – crediamo bella e dovuta digressione calcistica dedicata al fratello Tarcisio –. Paolino, una volta in pensione, ha incrementato, con il maggior tempo libero disponibile, la sua attività amatoriale su due ruote e partendo dalla sua abitazione di Baranzate, comune al confine nord-ovest di Milano, talvolta solo e sovente in compagnia, pedala, pedala, con assidua continuità oppure nella zona di Vergiate, nel varesotto, dove trovava un piacevole ambiente naturale e trascorreva lunghi periodi.

Era, anche con la famiglia, in contatto con l’entourage della LCP di Palazzolo Milanese, un imprenditore appassionato di ciclismo come Egidio Santambrogio, altra sorta di dinastia di pedalatori, e della FGM di Franco, Giulia Marton che con il figlio Albino sono stati un importante riferimento ciclistico della zona.

E fino alla bella età di 85 anni ha continuato a praticare, sempre con passione seppure con diversa intensità ma uguale felicità, l’attività in bicicletta.

E’ scomparso il primo giorno di quest’anno Paolino Fabris, con il rimpianto dei cittadini di Baranzate e molti amici, interpretato per tutti dal sindaco, nel ricordo di un uomo determinato ma sempre gentile e mite nelle sue espressioni di vita accompagnato dall’inseparabile bicicletta. Ha interpretato al meglio una storia comune a molti suoi corregionali e no, partita dal secondo dopoguerra contemperata poi nell’ambiente di Milano e dintorni con grande correttezza, spirito di sacrificio e adattamento a una diversa realtà.

“Mandi” Paolo, vero “furlan de Basilian” ma anche assai milanese-lombardo poi.

 

 

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