MARCO TORRIANI. «TRA PAPA' E GINO BARTALI, CHE COMPLICITA'...»

STORIA | 05/05/2020 | 07:54
di Pier Augusto Stagi

È stato un brontolone, per certi versi un adorabile bastian contrario, anche perché ha sempre cercato la verità. Il suo “l’è tutto sbagliato l’è tutto da rifare” altro non era che la ricerca della perfezione, di un suo modo di intendere e affrontare la vita. Era un uomo di fatti e parole, anche se le cose più belle le ha fatte in silenzio».


Marco Torriani, 68 anni, figlio di Vincenzo, lo storico e inarrivabile patron del Giro d’Italia, Gino Bartali l’ha conosciuto bene. Per anni ha frequentato casa, per quella grande amicizia e stima che ha legato e accompagnato papà ad uno dei più grandi ciclisti e sportivi di tutti i tempi.


«Ciclisticamente parlando Gino Bartali non è stato meno di Coppi – racconta Marco -. Resistente, resiliente e determinato come pochi. Con Coppi ha avuto un rapporto vero e sincero, di profonda stima e amicizia. Lo prese sotto la sua ala e lo fece diventare campione. E di fatto, non l’ha mai perso di vista, anche e soprattutto quando il Campionissimo ha rischiato di perdersi».

Ginettaccio, Gino il Pio, l’uomo di ferro, l’intramontabile e chi più ne ha più ne metta. Per Marco Torriani, che per anni ha lavorato nell’organizzazione del Giro, Gino è diventato più semplicemente un’autorità. «Mi dica lei come avrebbe considerato uno come Gino Bartali. Che tipo di accredito gli avrebbe riservato: organizzazione? Stampa? Gruppo sportivo? Sponsor? La verità è che Gino Bartali era tutto, ma bisognava trovare qualcosa che andasse bene per lui, che gli consentisse di muoversi liberamente in carovana senza che nessuno gli chiedesse conto, ma al contempo non lo mettesse a disagio. Così mi venne in mente di far fare solo e soltanto per lui un accredito speciale, come “autorità”, dal latino “auctoritas”, colui che è un insieme di tante qualità e Gino lo era per davvero».

Sono trascorsi vent’anni. Vent’anni senza Gino Bartali, venuto a mancare una settimana prima dell’inizio del Giro del Giubileo e di quell’incontro con Papa Giovanni Paolo II, il quale accolse in Vaticano la “carovana rosa” guidata dall’allora direttore della “rosea” Candido Cannavò, e dal successore di Torriani Carmine Castellano, oltre che dal leggendario Fiorenzo Magni e a un Marco Pantani che provava in quei giorni a risalire in sella dopo i fatti di Madonna di Campiglio, mente la sua vita stava precipitando irrimediabilmente negli abissi più profondi.

Vent’anni con Bartali, che nel frattempo è stato raccontato, per quello che seppe fare in sella alla propria bicicletta imbottita di documenti falsi per salvare dai campi di sterminio migliaia di ebrei. Una narrazione riportata alla luce all’indomani della sua morte, e conservata e difesa in vita dall’immenso protagonista di Ponte a Ema nel silenzio più assoluto, grazie a quella convinzione che Gino ha sempre coltivato: “il bene si fa ma non si dice”.

«Tra papà e Gino c’era grande complicità – racconta Marco -, e ancora oggi io e i miei fratelli Gianni e Milly conserviamo rapporti di grande amicizia con tutta la famiglia Bartali. Ricordo che Gino amava scherzare e bonariamente con papà per la sua popolarità, per quei cartelli “W Torriani” che spesso erano molto più numerosi di quelli riservati ai corridori. E per quel “Paga Torriani” era davvero diventato un modo di dire, quando i gregari di tutta fretta entravano nelle locande per farsi dare qualche bottiglia di acqua senza pagare l’oste».  

Era un Italia in fermento, e se i campioni del ciclismo passavano, Torriani restava. Marco non ama ricordarlo, ma questo fa parte ormai della storia: la Dc decise di candidare il patron del Giro per una poltrona da deputato in un collegio di Milano. Torriani in più di un’occasione fu accompagnato nei suoi comizi proprio dall' amico Gino Bartali. Ma non fu sufficiente, perse per un pugno di voti: meno di duecento. Gli elettori invece di sbarrare la scheda con una bella croce sul nome di Torriani, pensarono bene di segnare il simbolo dello “scudo crociato” e aggiungerci accanto un bel W Bartali. Centinaia e centinaia di schede furono annullate.

«Bartali è quello che appena arrivava a Milano, si precipitava da papà e assieme andavano a trovare Don Gnocchi, cappellano all’istituto Gonzaga, tra le altre cose è stato tra i grandi promotore della chiesetta della Madonna del Ghisallo, affinché divenisse patrona dei ciclisti. Gino passava anche dai Camilliani, dai quali comprava unguenti da usare per il soprassella. Ed era anche quello che dedicò la vittoria del Giro dell’Emilia alla Madonna, ma poi accettò l’invito a cena dei tipografi di “Stadio” costretti a lavorare per colpa sua in quel 1° maggio del 1952, per far uscire un’edizione straordinaria proprio in onore della sua vittoria».

«Ricordi personali su Bartali? Ne ho tantissimi – prosegue Marco Torriani -, ma uno è stato per anni ricorrente in famiglia. Giro 1947, la corsa rosa fa tappa a Foggia, Torriani decide nel pomeriggio di fare con Gino una scappata a San Giovanni Rotondo per salutare Padre Pio. Non è facile incontrarlo, ma seguendo le indicazioni di qualche frate, si appostano pazienti in un corridoio dove ad una certa ora sarebbe sicuramente passato. Ad un certo punto ecco apparire il fraticello che senza nemmeno fermarsi apostrofa i due con un secco “Ma voi due mai a casa?...”. L’episodio fu ricordato per anni, sia da papà che da Gino, così come da mamma Elena e dalla signora Adriana, le quali non mancarono mai di rievocare ai loro consorti il monito del frate di Pietrelcina: anche Padre Pio ve la detto, “mai a casa voi due…”».

Un campione in tutto e per tutto Gino; in materia di ciclismo era divenuto una vera “autorità”. Seppe dividere e far parlare di sé un intero Paese e non solo il nostro. Anche se la cosa più bella seppe farla nel silenzio più assoluto.

 

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