Cipollini: «Benvenuta Cina. Un giorno là potrei fare qualcosa»
| 22/11/2004 | 00:00 «Devono imparare a fare ciclismo, ma il futuro è senz'altro lì: in Cina». Mario Cipollini non ha dubbi, un giorno o l'altro il vincitore del Tour de France avraà gli occhi a mandorla. «Hanno il vantaggio di poter contare su una 'casistica' incredibile», osserva il velocista toscano che mercoledì prossimo andrà in ritiro per la sua 17/a stagione da professionista con la maglia della Liquigas. «Se immaginiamo che statisticamente possa uscire un campione ogni dieci milioni di persone - nota il primatista mondiale di vittorie - è chiaro che la possibilità di trovare lì i nuovi Armstrong o i nuovi Merckx è alta».
L'apertura della Cina al ciclismo professionistica è stata annunciata ieri. A portare nel circo della bici i nuovi talenti cinesi sarà il 'Marco Polo Cycling Team', che ufficialmente sarà basato a Hong Kong ma operativamente avrà il suo quartier generale a Valkenburg, in Olanda. Ovvero, nel cuore dell' Europa a pedali. La squadra ha firmato un accordo con la federazione cinese, dovrà svezzare otto professionisti cinesi. L' idea, naturalmente, è quella di avere una squadra in grado di vincere alle Olimpiadi del 2008. Ma il potenziale del mercato cinese non sfugge a Cipollini. Non foss'altro perchè secondo le ultime statistiche pubblicate dalla Cia nel suo 'World Factbook' i cinesi sono 1,29 miliardi. Dei quali quasi la metà usa normalmente la bicicletta come mezzo di trasporto. «Alla Cina stavo pensando anche dal punto di vista del mio personale futuro - rivela Cipollini -. Proprio qualche tempo fa stavo pensando di aprire una fabbrica di biciclette in Cina. Sono convinto che aggiungendo un po' di cultura europea al loro potenziale si possano avere grandi risultati. Dal punto di vista sportivo, potrebbe essere interessante anche l'idea di andare a fare il manager di una loro squadra. Loro sono in espansione esponenziale in tutti i campi, se imparano ad usare la bici come sport e non solo come mezzo di trasporto... ». La Cina può essere un rischio per il ciclismo inteso come sport essenzialmente europeo? «Non direi, anzi mi sembra importante che il ciclismo trovi aperture, interesse e sponsor... Benvenuta Cina».
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