CONTADOR, EL CAMPEON

PROFESSIONISTI | 29/10/2017 | 07:50
Non ci ripensa, anche se noi continueremo a pensare a lui. Ad avere negli occhi e nel cuore le sue vittorie, il suo modo di incedere in salita. Quel suo saltellare leggero sulla bicicletta, anche se tanto leggeri i rapporti che tirava Alberto Contador non lo erano affatto.

Non ci ripensa Alberto, non tornerà sui suoi passi, o meglio sui pedali, se non per far vedere ai ragazzi della Fun­dacion come si fa. Alberto è sceso di bicicletta nel modo giusto e nel mo­mento ideale, con un ultimo sublime acuto sulla montagna delle montagne: l’Angliru.

Un’impresa che resterà nella storia di questo campione che gli italiani hanno amato fin da subito. Difficilmente scorderemo quel 9 settembre 2017: il suo assolo sulla vetta asturiana con le pendenze da capogiro. Una vittoria che, se­condo me, va però affiancata nella memoria a quella di Fuente Dé, un col­po di genio, che gli regalò la terza Vuel­ta della sua carriera.

Sul Mortirolo di Spagna il Pisto­lero ha scritto l’ultima pagina della sua carriera agonistica di sublime bellezza. «Quel giorno ho davvero dato tutto quello che avevo nelle gambe e nel cuore - racconta oggi il fuoriclasse di Pinto -. Desideravo di chiudere in un modo bello, ma mai avrei pensato di farlo in quel modo. È stato davvero l’addio ideale, per questo non tornerò sui miei passi, perché non avrei potuto immaginare di avere una chiusura di carriera più bella».

E da signore qual è, il fuoriclasse ma­drileno non recrimina per quanto gli è successo in questa ultima Vuelta. Una gastroenterite che l’ha messo ko nella terza tappa (An­dorra, vinta da Nibali, ndr) e che gli è costata più di due mi­nuti e mezzo.
«Tra il podio e la vittoria sull’Angliru, scelgo la vetta asturiana - dice Alberto. Volevo vincere e ho vinto. Volevo la­sciare un segno importante, il mio ultimo colpo, più per i tanti sportivi che mi hanno incitato fino all’ultimo che per me».

L’impressione che Alberto ha però da­to è che forse non ha più le forze per poter conquistare un Grande Giro, ma ha testa, gambe e cuore per recitare me­glio di tante giovani promesse, un ruolo da protagonista.
«Ma io sono abituato a lottare per vincere i Grandi Giri, non per essere protagonista - spiega -. No, lascio nel mo­mento giusto e nel modo più bello. La­scio portando dentro di me sensazioni uniche, e spero di aver regalato ai tanti appassionati che ho nel mondo una bella sensazione. Di aver lasciato loro un buon sapore in bocca».

Alberto è esempio di professionalità e impegno, non è un caso che sia rimasto legatissimo a Ivan Basso, altro uomo capace di immani sacrifici pur di emergere.
«La mia filosofia è sempre stata la stessa - ci spiega Alberto -: volere è potere. Io, come tutti, ho avuto i miei momenti difficili, ma non mi sono mai dato per vinto. La soddisfazione più bella? Tan­te, ne ho avute tante, anche sull’An­gliru: vedere al mio fianco un ragazzo come Enric Mas è stata una soddisfazione enorme, perché è un talento che è cresciuto nella mia Fondazione».

Poi gli chiediamo come gli piacerebbe essere ricordato. Alberto sorride.
«Sono stato un corridore coraggioso, non ho mai avuto paura di perdere. Io non ho mai corso per il piazzamento. Ho sempre messo a rischio il mio piazzamento per provare a vincere, credo che questo sia stato apprezzato da chi ama il vero ciclismo».

Il lungo addio è stato per davvero lun­go, perché la scelta non è stata facile, e lo stesso Luca Guercilena, team manager della Trek-Segafredo ha provato fino all’ultimo a convincere lo spagnolo a non ritirarsi.
«Ad un certo punto c’era anche l’idea di prolungare il mio cammino fino al prossimo Giro d’Italia - ha raccontato il corridore spagnolo -, ma io stesso non ero molto sicuro della mia volontà. Il Tour mi ha dato quelle risposte che cercavo; c’è stato un momento in cui ho visto la cosa molto chiaramente, e ho preso la decisione definitiva. Il mo­mento esatto? Dopo la nona tappa (quella di Chambery, ndr). Sono successe cose impreviste e fuori dal mio controllo, come una serie di cadute, che mi hanno impedito di brillare e mi hanno portato a dire basta».

Alcuni hanno ipotizzato che dietro a questo addio ci fosse la sua nuova squadra Continental, un progetto a cui Alberto è molto legato.
«Però non è così, non c’entra minimamente con la mia decisione - assicura -. La Polartec-Kometa, che nasce come continuità della Fondazione e con l’appoggio della Trek Segafredo, è un progetto molto bello, che sarà un punto di riferimento e che mi motiva tantissimo. Darà opportunità a molti giovani di affermarsi nel ciclismo, ma con la mia scelta di dire basta non ha assolutamente niente a che vedere».

Alberto scende di sella, dopo anni di successi e sconfitte, ma chi salutiamo è sempre lo stesso: quel ragazzino di Pin­to che amava correre in bicicletta, e ha protetto la propria privacy e i propri affetti come nessun altro.
«Io sono sempre lo stesso, con gli stessi valori, gli stessi amici, le stesse motivazioni, lo stesso modo di vivere. Un momento fondamentale della mia vita? Nel 2005, quando ho vinto una tappa al Tour Down Under (la quinta a Wil­lunga, ndr) dopo una fuga con Luis Leon Sanchez. Quella è stata la prima vittoria dopo il problema al cervello (nel 2004 alla Vuelta Asturias fu colpito da aneurisma e rischiò di morire, ndr). Quel giorno sono tornato per davvero, per restare quello che sono sempre stato: Alberto Contador».

Pier Augusto Stagi, da tuttoBICI di ottobre
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COMMENTI
Contador=Spettacolo
29 ottobre 2017 13:39 Pop78
La mia opinione è che di Alberto Contador più che le vittorie 9 grandi giri(7 2) ci si ricorderà per il suo modo di interpretare le corse. L\'unico in grado di rischiare e di inventarsi sempre qualcosa. Spettacolo puro per noi appassionati

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