Gatti & Misfatti
La canaglia Ferretti

di Cristiano Gatti

Oltre a Basso, oltre ad Armstrong, tra i ricordi del Tour che restano più nitidi c’è sicuramente - almeno per quanto mi riguarda - il processo intentato sui due piedi subito dopo il caso Frigo: a Ferretti, non a Frigo.

Davvero strana la molla che scatta nella testa di una certa Italia, ormai abituata all’impunità, alle buone scusanti, allo spirito di compassione. Ma solo nei confronti di chi compie reati. Chi li subisce, deve stare attento a come parla. Con queste persone, che sono pur sempre le vittime, tolleranza zero: guai se fanno appena per alzare la voce.

Riguardiamolo un attimo, il famoso caso Frigo, ormai passato alla storia come caso Ferretti. Il corridore, graziato e ripescato una prima volta dalla sua squadra, ricade in affari di doping nel modo più plateale - fiale nel bagagliaio della moglie - e oltretutto sul palcoscenico più esposto del mondo, il Tour de France. In più, perché i capolavori vanno confezionati con genio, tutto questo avviene nelle ore in cui la squadra sta febbrilmente cercando di chiudere importanti accordi per garantirsi un futuro. Diciamolo: è una tramvata memorabile. La peggiore di tutte. E guarda caso, una volta richiesto del suo commento a botta calda, un Giancarlo Ferretti distrutto osa pronunciare una parola pesante: “Canaglia”.

E’ in quel momento che per lui, oltre alla rovina, arriva anche il processo: ha esagerato, ma come si permette, bisognerebbe querelarlo. Tutti i farisei del mondo benpensante e ipocrita salgono sul pulpito del garantismo più sottile: Frigo avrà pure sbagliato, ma le canaglie sono altre. Ma, se, però. E comunque non merita la lapidazione del suo datore di lavoro. Bravi, un bell’applauso per l’altezza del sentimento e del ragionamento. Io, però, non ci arrivo. Chiedo scusa, peccherò anche di barbarie, ma non ce la faccio. Più ci penso, più resto al livello iniziale. Dalla parte dell’uomo ferito e rovinato, che pochi attimi dopo aver appreso la notizia più brutta si lascia scappare un “canaglia”. E come no: prima di pronunciare certe parole il barbaro Ferretti dovrebbe consultare Lina Sotis, rileggersi un paio di manuali del bon ton, e poi esplodere in un raffinato “acciderboli, questo Frigo è un bel birichino”.

Anche se Ferretti non ha bisogno della mia solidarietà, voglio esprimerla e ribadirla in modo sincero e totale. A lui e a tutti quelli che nel momento del dramma cedono al tumulto dei sentimenti e magari liberano pure qualche adeguato insulto. Lo confesso: a me succede persino coi miei figli, quando mi fanno passare il limite umano della sopportazione. Ferretti l’ha detto in televisione? Cos’è questo fremito da vecchie zie, forse abbiamo già dimenticato il linguaggio corrente di certi talk-show? A Ferretti hanno persino ribattuto che “le canaglie sono altre”. Certo: Riina e Vallanzasca, per esempio. Soltanto a loro - forse, bisogna vedere - vanno riferite certe definizioni. A Frigo no: che ha fatto in fondo, il povero Frigo, di tanto grave?

Pazzesco. Ormai siamo quasi al decennale dai primi scandali per doping. Dieci anni, mi sembra di dover dire, letteralmente gettati al vento. Guardo il mio sport più amato e vedo un ambiente spaccato in due: quelli che hanno capito, quelli che continuano a non capire. Tutti, chi più chi meno, hanno condiviso - o comunque tollerato - la tremenda Epoca dell’Epo negli anni Novanta. Ma poi, di fronte all’Hiroshima degli affari Festina, dei casi Pantani, dei blitz e delle retate, qualcuno ha capito che l’unico modo per salvare il salvabile era voltare pagina. Penso soprattutto ai team manager, forse per via del loro contatto quotidiano con le grandi aziende, sempre più restie a esporre la propria immagine alle figuracce pubbliche. Ciascuno con una certa storia e un certo passato, tutti hanno più o meno svoltato. Ferretti certamente più di tanti altri. Il suo errore, anche se non c’è bisogno di rinfacciarglielo perché per primo l’ha riconosciuto, resta l’aver concesso a certi corridori una prova d’appello (mi viene in mente anche Vandenbroucke). Credo abbia ampiamente capito che certe operazioni, con certi individui, sono comunque a perdere. Ma non è questo il punto. Il punto è che Ferretti, come diversi suoi colleghi, ha deciso un bel giorno di puntare su un ciclismo credibile, serio, organizzato ed evidentemente più pulito di dieci anni fa.

Peccato che dall’altra parte, sul fronte opposto, ci siano nemici ostici e irriducibili: quelli che non hanno capito. Quelli che ormai dieci anni dopo sono ancora al punto di partenza. Quelli per cui potrebbero passare anche cent’anni, ma si farebbero trovare sempre lì, con le loro belle fiale nei bagagliai, simpaticamente assistiti dalle signore. Tanto, che importa a loro dove va a finire il ciclismo: comprato il Porsche Cayenne, sistemata la villa, il ciclismo può anche andare a ramengo. E noi, davanti a questa brava gente, dovremmo moderare i termini. E Ferretti, tradito più di chiunque altro, dovrebbe finire sotto processo per il reato di parola grossa, l’imperdonabile “canaglia”. Alzo le mani e mi arrendo.
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