TEAM COLPACK. Quando il ciclismo è affare di famiglia...

DILETTANTI | 28/02/2015 | 06:58
Buon sangue non mente, così recita l’antico adagio che quest’anno in campo ciclistico si adatta perfettamente ad un team giovanile italiano in particolare. Ad essere precisi le squadre in questione sono due, ma di fatto fanno par­te di un unico gruppo, guidato dagli ex professionisti Antonio Bevilacqua, Gian­luca Valoti e Diego Ferrari: il Team Colpack della famiglia Colleoni, formazione ai vertici del movimento dilettantistico italiano, e la storica Uc Berga­masca 1902, che della prima è il vivaio diretto, nella stessa categoria under 23 ma costruito con corridori al debutto nella categoria dopo il biennio da juniores. Nella prossima stagione ben cinque corridori (più uno già sicuro di approdare nel team dalla stagione 2016) figli, nipoti o fratelli d’arte correranno nella stessa squadra, caso più unico che raro che metterà alla prova parentele e DNA, svelandoci la fondatezza del detto popolare. Per conoscere meglio queste promesse, abbiamo chiesto un commento spassionato ai loro parenti più celebri, che con competenza e affetto ci hanno disegnato un loro ritratto.

DAVIDE MARTINELLI - PARLA PAPA' BEPPE

«Davide ha un carattere forte, sa quel­lo che vuole, anche se qualche volta è condizionato da questo papà che, per il suo bene, intralcia un po’ il suo lavoro (il passaggio al Team Sky pare essere stato frenato dal gran parlare che è stato fatto dai giornali su Da­vide in quanto figlio di Beppe, diesse della Astana, ndr). Spesso ci ritroviamo a discutere come due addetti ai lavori, per lui sono uno in più che detta leggi e strategie, oltre al suo diesse si ritrova a dover ascoltare anche il mio parere. Ma mio figlio è un ragazzo for­te e sa camminare anche da so­lo. È un passista veloce che continuerà a di­fendere i colori della Colpack: i contatti con il Team Sky ci sono ancora e so­no seri, ma essendosi raffreddata la si­tua­zione Davide è li­bero di scegliere anche altre strade, se di­mostrerà di andare forte non avrà problemi a fare il grande salto tra i professionisti. Gli do molti consigli come faccio con gli al­tri miei corridori, mi viene spontaneo. A volte mi mordo la lingua per non esagerare, non voglio essere troppo pe­sante. Sai, un conto è parlare con Aru un quarto d’ora al giorno al telefono, un altro vedersi in casa dall’ora della colazione a quella di andare a letto. Gli auguro di po­ter svolgere il proprio lavoro, che sarà duro, con serenità e la fortuna dalla propria parte».

ALESSANDRO BRESCIANI - PARLA ZIO ENRICO ZAINA

«Alessandro è il figlio di mia sorella Monica. Studia all’Istituto per Geometri Niccolò Tartaglia di Bre­scia, indirizzo geotecnico. È un corridore molto scal­tro, dotato di uno spunto veloce, ma deve migliorare ancora in salita anche se si difende già molto bene. È un atleta ancora acerbo fisicamente, ovvero deve ancora crescere: questo è un punto a suo favore perché significa che ha buoni margini di miglioramento. Ha una grande dote: ama il suo sport e tutto quello che ruota attorno ad esso, e con questo intendo sacrifici, passione e costanza. È affascinato dalla meccanica, smonta e rimonta qualsiasi cosa gli capiti tra le mani, sia che si tratti di una bicicletta o di una Vespa Piaggio, che possiede e ha restaurato personalmente. È un ragazzo molto sveglio, quando ci scambiamo delle opinioni mi ascolta, cosa rara al giorno d’oggi. Ascolta ma decide di testa sua, mi piace perché non si fa condizionare e impara dai suoi errori. Ogni volta che mi chiede un consiglio gli rispondo: “lo sport è una parentesi della vita, non è la vita, questa parentesi ti aiuterà a diventare un uomo, non sprecare tanta fatica, quello che devi fare fallo ora e fallo bene, ma non a tutti i costi!”. Essendo sangue del mio sangue, il mio augurio per Alessandro non può esser altro che di realizzarsi, così che un giorno potrà guardare indietro alla sua carriera sorridendo».

UMBERTO ORSINI - PARLA ZIO ANDREA TAFI

«Umberto è figlio di mia sorella Ma­ra e trasuda passione per il ciclismo. Ha tutte le carte in regola per passare di categoria e non lo dico solo io. È alto e molto magro, ha un fisico da scalatore. È un ragazzo davvero attaccato alla bici, forse fin troppo. Le ultime due stagioni per lui non sono state esaltanti, non è riuscito a esprimersi al meglio, e quando uno è abituato a vincere non è facile, ma sono certo che a ripensarci tra qualche anno le valuteremo come importanti per la sua crescita. Il 2015 sarà per lui l’anno della verità. Io gli dico sempre di crederci fino in fondo, di dedicarsi alla bici, di non lasciare mai nulla di intentato. È uno che ascolta e ha testa, doti non comuni al giorno d’oggi soprattutto tra i ragazzi. Si è diplomato ragioniere con il massimo dei voti, avrebbe potuto iscriversi all’università ma ha preferito scommettere il tutto per tutto sul ciclismo, a dimostrazione della sua grande volontà di diventare un corridore professionista. Sono convinto che possa diventare la scommessa del ciclismo italiano, che ha bisogno di atleti emergenti che amano davvero questo sport e vi si dedicano anima e corpo. Se riuscirà a essere tranquillo e sereno anche mentalmente, sono fiducioso potrà raggiungere grandi livelli. Lo dico non perché sono di parte ma perché vedo come si comporta, come ha preso sul serio questo impegno, e perché per lui allenarsi non è un sacrificio. Gli auguro tutto il meglio del mondo perché gli voglio bene e se lo merita».

RICCARDO MINALI - PARLA PAPA' NICOLA

«È un corridore vincente, ma un papà non dovrebbe mai dirlo. È più for­te di me dal punto di vista atletico e questo è un dono di natura. È appassionatissimo di bici, forse è fin troppo fissato con le due ruote. L’anno scorso, al primo anno tra gli Under in maglia General Store-Bottoli, non è riuscito a raccogliere vittorie, lui dice che è stata una stagione da di­menticare, per me invece è stata positiva perché ha imparato ad arrangiarsi e ha ac­cumulato esperienza. Il passaggio in una squadra super organizzata come la Colpack gli farà bene. È motivato, si sta allenando bene, ha le caratteristiche per diventare un corridore professionista, vedremo se la bici rappresenterà il suo futuro. La maturazione si vede negli anni e lui ha tutto il tempo davanti a sé. Carat­terial­mente è troppo buono, affabile, si fa voler bene, questo è senz’altro un pregio che mi rende orgoglioso ma in certi frangenti di gara può essere un problema. Non è un velocista puro, è più completo e resistente di come ero io, se cresce senza fretta me lo immagino diventare un corridore come Boonen piuttosto che come Cavendish. Gli consiglio di ascoltare e apprendere da tutti, ma alla fine di decidere con la propria testa. In bici ci sei solo tu, il mal di gambe è tuo. Ognuno de­ve fare le proprie esperienze e i propri er­rori, sbatterci il naso fa parte del gioco. Gli auguro di vincere il doppio delle gare che ho vinto io, di superare le 100 corse».

ATTILIO VIVIANI - PARLA IL FRATELLO ELIA

«Fino a poco tempo fa Attilio considerava il ciclismo un gioco, ha iniziato a fare sul serio dal secondo anno juniores e questo è senz’altro un vantaggio. Non è logoro né di gambe né di testa e ha molti margini di crescita. Non gli pesa avere un fratello già professionista o meglio, approfitta della situazione per im­parare in silenzio. Non fa troppe domande, sono più io che gli do consigli. Negli ultimi tempi ho notato che mi chiede più spesso di allenarci assieme, anche perché ora inizia a fare allenamenti lunghi compatibili con i miei (i due hanno 7 anni di differenza, ndr). È determinato, ha capito che se vuole andare avanti in questo ambiente è arrivato il momento di impegnarsi e fare le cose come si deve. È veloce, più completo di me, ma deve ancora formarsi quindi è presto per dire dove arriverà. Finora gli è venuto tutto facile. Io ho capito di poter diventare un corridore professionista al secondo anno da dilettante e conquistarsi un posto nella massima categoria negli an­ni sta diventando sempre più difficile. Pen­so potrà già essere competitivo quest’anno tra gli Under 23, anche se è ancora impegnato con gli studi. È all’ultimo anno dell’Istituto di Grafica, ma sono certo riuscirà a conciliare scuola e allenamento. In futuro sarebbe bellissimo poter correre nel­la stessa squadra, ciò significherebbe che anche lui è diventato professionista. Un so­gno? Vincere insieme una gara importante in pista, in un’americana».

RICCARDO VERZA - PARLA PAPA' FABRIZIO

«Riccardo è un passista scalatore, va bene a cronometro e si difende in salita. Io al contrario odiavo le prove contro il tempo. Senza dubbio, atleticamente parlando, è più completo di me. È un ragazzo tranquillo, studia all’ITIS Eu­ganeo di Este (PD) e ha vari interessi, ma nessuna passione forte tanto quanto quella per la bici. Non posso dire dove può arrivare, non si sa. Il ciclismo è cambiato mol­to rispetto ai miei tempi, una volta passavano professionisti 5/6 dilettanti l’anno, i più forti in circolazione, e per loro c’era un futuro assicurato, mentre ora fanno il grande salto in tanti con stipendi al minimo e poche certezze. Detta brutalmente, è più facile venir fatti fuori, perciò bisogna arrivare nella massima categoria pronti. Non se­guo molto Riccardo alle gare, lo lascio libero di fare quello che vuole, per i consigli tecnici e le questioni pratiche lo segue la squadra. Il mio ciclismo è tramontato, ma qualche suggerimento non manca mai e spesso usciamo in bici insieme. Ci tengo molto che porti a termine gli studi, avere un titolo in mano, il famoso “pezzo di carta”, è fondamentale anche se si va forte perché il ciclismo non dà garanzie. Se arriverà in alto spero mantenga sempre i piedi per terra perché come si fa presto a raggiungere la cima, si fa altrettanto in fretta a ripiombare al suolo».

Giulia De Maio, da tuttoBICI di febbraio
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