TINTA UNITA

| 17/10/2011 | 08:54
La domanda è questa, ed è più che una domanda: possibile che i ciclisti debbano continuare a gareggiare vestiti in maniera buffa, che esalta (insomma…) anche il loro procedere gof­fo giù di bici, per via delle scarpette che li obbligano a camminare co­me sulle uova? Guardiamo in­sieme un gruppo di ciclisti, al via di una tappa del Giro d’Italia co­me della Maratona delle Dolomiti come della sfida amatorialissima da campanile a campanile. Cal­zon­cini niente “ini” e molto stretti, un po’ da paggio un po’ da topo d’al­bergo; colori minerali, arroganti specialmente sulle magliette; tessuti assai acrilici, da crepitio con scin­tille se strofinati in una stanza buia; berrettini da scemo del villaggio; ridicoli persino i guanti con mezzo dito. L’insieme è desolante, scoraggiante, ammosciante. Fa­reb­be ridere, vestito così, anche Brad Pitt, impossibilitato a suscitare qualche altra reazione anche dentro la donna più brutta e assatanata del mondo. George Clooney sem­brerebbe un clown di un po­ve­ro circolo di periferia. Passando al ciclismo femminile, anche An­ge­lina Jolie, se vestita così, avrebbe dei problemi per continuare ad ap­parire sexy o quanto meno ap­petibile.

Ne abbiamo già detto, su questa rubrica, di passaggio o se preferite “di striscio”, come si esprimono og­gi i giovani. Ma stavolta vogliamo rischiare affrontando, insieme con il tema, l’ira probabilissima dei ciclofili, affezionati magari a queste divise. E prima di andare avanti ricordiamo uno splendido quadretto dipinto da Carlin, cioè Carlo Bergoglio, cioè un grande giornalista-pittore reso famoso so­prattutto dal ciclismo (Guerin Spor­tivo e Tuttosport). È raffigurata da un artista appassionato e in­na­morato dello sport in questione la partenza di una Milano-Torino del primo dopoguerra, i ciclisti in­dossano di­vise cromaticamente in­teres­santi, cattivanti, però le ma­gliette sono in tinta unita, al massimo bicolori (bianco e celeste, ad esempio: l’ac­costamento vi dice qualcosa?). C’è il felice sospetto che siano tutte di lana, o di un mi­sto lana-cotone. L’insieme è dolce, tenero, e intanto non troppo arcadico, nel senso che si annusa co­munque la battaglia imminente. Le poche scritte degli sponsor, quasi tutti industriali della bicicletta, si ve­dono assai be­ne. Anche dal pun­to di vista della resa cromatica e non solo, il risultato è ottimo. Ac­costata ad una omologa immagine di oggi, la partenza di quella Mi­la­no-Torino è insieme più forte, più tenera, più poetica, più pratica.
Già, oggi. Colorati spesso anche i pantaloncini, e se neri coperti di scritte cromaticamente forti. Le magliette poi sono tutte arlecchinesche: di base e di scritte sovrapposte ai colori di fondo. Un patchwork spesso ridicolo, sempre comico. E tale da conseguire, ai fi­ni pubblicitari, l’effetto opposto a quello voluto dagli sponsor: non si legge bene niente, non si capisce cosa il ciclista reclamizza.

Si dirà che ci sono tanti sponsor, perché ci vogliono tanti soldi e le spese devono essere suddivise, e dunque le scritte debbono risaltare in spazi ridotti, fare a pugni fra di loro per ap­parire al meglio, al mas­simo consentito. Vero, ma pen­siamo che allo sponsor, non essendo lui un cretino, una offerta di spazi dove le scritte risaltino me­glio, e in maniera non caotica, ar­rogante e intanto fredda, do­vrebbe interessarli. Scritte brevi, secche, in un colore che risalti sul colore unito di base: e dunque ma­glietta monocromatica di suo, non policromatica e messa insieme con due, tre, quattro tinte diverse di un tessuto fra l’altro antipaticamente sintetico.

L’arlecchinismo attuale è stato co­mandato dalla televisione a colori incipiente, in maniera repente e idiota. Si è pensato di fare colpo facilmente. E allora avanti con i colori forti e le scritte insistenti, tante poi per via della raccolta di sponsor tutti piccoli, e dunque da collezionare in grande numero onde ottenere da tutti insieme un contributo valido.
Davvero sembra che qualche de­monietto burlone si sia divertito a rendere goffo esteticamente il ci­clismo pedalante, quasi per sottolineare, evidenziare, ridicolizzare il suo presunto anacronismo rispetto a tempi comodi e motorizzati, ri­spetto a tanto sport che fa sudare poco e fa guadagnare molto. Tor­na­re indietro significa ammettere di essere stati presi in giro, sia pu­re senza cattiveria esplicita, voluta? Pazienza, specie per i cicloamatori contagiati dalla brutta mo­da.
Offriamo due diciamo controprove per far capire la situazione.
Si pensi a ciclisti che vanno dal ca­po dello stato, dal pontefice, in qual­che consesso solenne. Altri sportivi possono tranquillamente andarci con la loro divisa da gara, che appare guerriera, affascinante. I ciclisti, se ci vanno vestiti da ci­clisti, rischiano di far ridere.

Si pensi ad una donna, una ragazza: più facile che sia gentile, dolce,  affettuosa con un atleta vestito da ciclista o con un atleta vestito da atleta? In altre parole, un maratoneta anche se disfatto dalla fatica è sexy, un ciclista anche se reduce da una discesa col vento in faccia è pagliaccesco. E non vogliamo neppure pensare ad una donna vestita da ciclista accanto anche soltanto ad uno Stefano Accorsi…
Siamo brutti e cattivi e impietosi e iconolastici e blasfemi? Un poco, lo ammettiamo, ma pensiamo che sia necessario. Altra controprova: pensiamo a Fausto Coppi e Gino Bartali in gara vestiti come i ciclisti di adesso. Siamo sicuri che ci piacerebbero? E che nessuno ci dica che le divise attuali sono intonate alla pratica, alle esigenze aerodinamiche oltre che pubblicitarie. Si­cu­ramente esiste il modo di progettare una bella maglia a tinta unita, tinta anche forte per la televisione, e di sistemarci sopra ogni scritta senza passare all’effetto-Arlecchino. Sicuramente esiste il mo­do di vestire il ciclista più da atleta e meno da manichino,da clown per un circo sadico e irriverente e becero della fatica.
E adesso aspettiamo insulti. Co­lo­ra­tissimi.
 
di Gian Paolo Ormezzano
da tuttoBICI di Ottobre, in edicola

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COMMENTI
consiglio
17 ottobre 2011 09:39 marietto
Tuttobici continui a parlare di ciclismo . . . il Sig. Ormezzano Gian Paolo di calcio!!!

colori
17 ottobre 2011 09:49 superpiter
il problema è che noi ciclisti siamo un ammasso di cafoni.... più le cose sono sgargianti ed impataccate e più ci piacciono... i migliori sono quelli con i pantaloncini bianchi che poi contro luce diventano trasparenti... w il Piotta

Esigenze moderne e sobrietà d'altri tempi
17 ottobre 2011 09:51 Bartoli64
Lungi da me qualsiasi tentativo di “insultare coloritamente” il Dr. Ormezzano che, sia pur con la sua consueta vis provocatoria, si è voluto togliere lo sfizio di screditare le tendenze modaiole del ciclismo di oggi.

Eh, beh! Anch’io ho nostalgia della sobrietà dei bei tempi andati ma quel ciclismo, un ciclismo che faceva “reclame” solo ad industrie del settore, è oramai lontano anni luce e non tornerà mai più.

Allestire oggi un team professionistico di prima fascia significa spendere cifre che oscillano tra i 15 ed i 20 mln. di euro e trovare più sponsor per tali finanziamenti è impresa al limite dell’impossibile.

Da ciò il Dr. Ormezzano comprenderà che se ci sono sponsor che pagano ma che hanno colori aziendali tipo il rosa schoking, si fanno maglie e pantaloncini rosa schoking….. con buona pace della sobrietà, della tradizione ed anche del buon gusto, anche se - per fortuna - ci sono delle splendide eccezioni come le divise del Team Leopard.

Semplici, essenziali, con un accostamento cromatico che, sia pur non esaltante al primo impatto visivo, di certo non ti stufano mai però…… in quel caso lo sponsor era uno (Mr. Becca), ed ecco perché è stato possibile creare una divisa così elegante senza commistioni strane di colori e di scritte pubblicitarie.

Anche nel calcio d’altro canto non se la passano molto meglio anche se, a differenza del ciclismo, i colori dei club sono quelli da sempre e le varianti sul tema sono piuttosto limitate.

Nel cromaticissimo ciclismo, in verità, troppo si risente delle influenze modaiole e questo è un dato di fatto.
Ricordate l’invasione del bianco di qualche anno fa? Bel colore, peccato però, però che quando il tessuto dei pantaloncini non fosse di buona qualità si arrivava persino a vedere la pelle dei fondoschiena (e non era certo un bello spettacolo) e che gli schizzi di acqua sporca sollevati dalle ruote sulle strade bagnate macchiassero le maglie che rimanevano a pois per più di qualche lavaggio, senza considerare l’indelebile “sfumatura” nera lasciata dalle selle sul fondelli….. davvero trash!

Va però detto che i colori sgargianti, pur se non il massimo per chi come il sottoscritto ama vestire in stile minimalista, hanno il pregio di rendere più visibile il ciclista sulla strada e questo non è particolare di poco conto se consideriamo quanti ciclisti perdono la vita ogni anno sulle “barbariche” strade italiane.

In ogni caso, egregio Dr. Ormezzano, si metta pure l’anima in pace perché credo che i suoi occhi, anche in futuro, continueranno a non gioire (cromaticamente parlando) al passaggio di una corsa ciclistica; e poi provi Lei a comporre una divisa con una trentina di diversi sponsor ognuno dei quali con il proprio marchio, un proprio colore ed una propria esigenza d’immagine…. Le assicuro che è impresa assai ardua.

La mia squadra, nel suo piccolo, ha risolto il problema affidandosi ad una azienda seria e capace che opera in quel di Pistoia perché il buon gusto, il saper accostare scritte e colori, in poche parole il saper lavorare bene anche in condizioni di obbiettiva difficoltà causata dal sovraffollamento di mode, scritte e colori (tipiche del ciclismo di oggi) sono prerogative di poche aziende che, però, esistono sulla nostra Penisola e che contraddistinguono la “moda” italiana del settore in tutto il resto del mondo.

Bartoli64

Ormezzano è sempre un passo avanti!
17 ottobre 2011 09:57 sbrinzoblu
io son stra d'accordo...e non si può MAI criticare,se non costruttivamente, cosa scrive il buon Ormezzano. i suoi articoli son sempre azzeccatissimi. le maglie degli ultimi anni sono stra zeppe di loghi e colori che a volte stridono tra loro....e negli ultimi tempi c'è già stato un ritorno alla monocromia. se no sbaglio le maglie che in questa stagione abbiamo apprezzo ti più sono Leopard e Vini farnese....due molto semplici.
e guardate nella categorie giovanili...tante maglie semplici spiccano molto!!!

Amarcor
17 ottobre 2011 11:53 radiocorsa
Dagli anni 60 ad oggi, passare dalla lana al polyester con elastan, dai fondelli in pelle di daino a quelli in gel, l’evoluzione dell’abbigliamento ciclistico a favore del confort di chi pedala è innegabile così come è cromaticamente evoluto l’effetto del passaggio del gruppo agli occhi degli appassionati spettatori ai bordi delle strade.
Amarcor del passaggio dei corridori in certe giornate buie per le nubi o pioggia un lungo e sbrigativo corteo funebre, corridori rigorosamente con pantaloncini neri, ammesse le sole calze bianche, ma con la pioggia anche loro scurite dal fango, maglie, di colore quasi sempre scure con colori mosci, che si trasformavano in sgangherate sotto vesti sotto l’effetto della pioggia guanti scuri a rete effetto morbillo dopo le molte giornate di sole.
L’unico ricordo che ho, riguardando l’ultima maglia di lana che mi è rimasta, colorata di bleu e fascia arancione, non è il tempo che è trascorso ma i chilometri percorsi nei paesaggi di allora, quelli sì migliori nelle campagne assolate poco rumore e poco traffico e persone più gentili con chi pedalava, Milano – Napoli e ritorno lungo la penisola degli anni 60.
Oggi, del colore dei miei pantaloncini e delle magliette più o meno sponsorizzate che possono vedere e giudicare da chi mi guarda passare non me ne importa nulla, continuo a pedalare per fortuna lungo uno stupendo Naviglio Martesana.

Ha ragione
17 ottobre 2011 14:15 pickett
La maglia dell'Androni é la + assurda,non si può neppure dire di che colore sia.Si intravede solo un guazzabuglio di scritte,uasi tutte minuscole e del tutto illeggibili in tv.Quali ritorni pubblicitari potrà mai garantire agli sponsors una maglia del genere?Mistero...

Con quello che costa...
17 ottobre 2011 15:50 filos71
La gestione di un team ben vengano piú sponsor. Gli squadroni magari hanno budget milionari e non necessitano di molti sponsor(vedi sky), ma altri con androni hanno tanti piccoli. Quando all'abbinamento cromatico, ci sarebbe da discutere, colori come liquigas o astana fanno rabbrividire...ma tant'é. a me piacciono i colori sobri, nero.bianco, blu...la leopard, ad esempio aveva la divisa piú bella in assoluto

Articolo completamente avulso dalla realtà
17 ottobre 2011 18:42 Merckx76
Ormezzano scrive, come gli capita spesso, il solito pezzo che vuole risultare originale e controcorrente. Ma, come gli capita altrettanto spesso, il suo articolo finisce per non essere altro che un castello di sabbia costruito sul nulla. La tesi che cerca di dimostrare non tiene in nessun conto la realtà del ciclismo attuale. La moda delle divise pacchiane, multicolori e pasticciate, che Ormezzano dice di odiare tanto, ha raggiunto il suo culmine negli anni ’80 (ricordate le bruttissime maglie indossate da Lemond e Fignon?), quando i colori fluorescenti, le scritte innumerevoli e il patchwork, per usare le parole dello stesso Ormezzano, la facevano da padrone. In seguito il design del ciclismo è tornato su binari più sobri, e negli ultimi anni ha abbracciato proprio quel “modello estetico” che Ormezzano mostra di preferire: tinta unita o al massimo due colori dominanti e un unico sponsor ben evidente al centro della maglia. In alcuni casi, come per la Leopard e la Sky, siamo addirittura al minimalismo. La stragrande maggioranza delle altre squadre si muove comunque su analoghi binari estetici: Astana, BMC, Europcar, e la lista potrebbe continuare quasi all’infinito. Ciò porta a sospettare che il nostro Ormezzano non segua una corsa in Tv da almeno un decennio e che continui a scrivere articoli sul ciclismo, per la verità abbastanza superficiali e qualunquistici (questo, almeno, è il mio parere), basandosi sulle reminiscenze di quando il ciclismo lo seguiva veramente.
Lasciamo stare, poi, tutte le altre considerazioni quanto meno discutibili presenti nell’articolo. A parte il fatto che delle divise del ciclismo moderne tutto si può dire tranne che non siano accattivanti e trendy (in effetti il problema è proprio opposto a quello che Ormezzano crede di individuare: sta nascendo lo stereotipo del ciclista fighetto che pensa più al look che a pedalare…), l’articolo mi ha lasciato basito dove dice che le divise dell’epoca di Coppi e Bartali erano più accattivanti e virili di quelle di oggi. Ma per carità… Calzoncini corti al limite dell’arresto della buoncostume e maglie di lana larghissime che quando pioveva arrivavano alle ginocchia! Vabbé, i gusti son gusti… Ultima chicca dell’articolo quando Ormezzano dice che un atleta di qualsiasi altro sport potrebbe benissimo andare in visita dal papa o dal presidente della repubblica in tenuta di gara senza sfigurare. Immaginiamo il bello spettacolo che avremmo se i giocatori del Milan andassero in Vaticano coi calzoncini corti e la maglia rossonera, oppure i cestisti della Cantù con le loro canottiere… Ripeto, i gusti son gusti, e tutte le opinioni vanno rispettate. Però l’impressione è proprio che Ormezzano abbia voluto scrivere un bell’articolo a tesi senza fare i conti con la realtà e, anzi, beatamente calpestandola.

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