Paolo Belli: sì, è un gran bel Giro

| 18/05/2005 | 00:00
«È un gran bel Giro» dice il refrain della canzone di Paolo Belli, colonna sonora che accompagna tutte le rubriche televisive legate a questo avvincente Giro d’Italia. Ed il suo autore racconta così il suo avvicinamento al Giro d’Italia: «Con “Ladri di biciclette” è incominciato una sorta di gemellaggio e collaborazione tra me, La Gazzetta dello Sport e la Rai. Mi sono state chieste canzoni per il Giro d’Italia e sono arrivate in sequenza “Sotto questo sole”, “Danceur Danzando” e “Intanto Gira”. Con questo mio ultimo pezzo “Che gran bel Giro”, è palese che il mio binomio con la bicicletta è strettissimo. Il mio impegno di quest’anno si estende anche ad una sit-com che va in onda tutti i giorni alle ore 13, alle 18, alle 20, ed alle 24. Tutto questo contribuisce a divulgare quella che è l’effettiva immagine del ciclismo. Un mondo che non è fatto solo di polemiche, ma di un bel gruppo di giovani divertenti ed ironici, di gente vera, genuina, con la voglia di divertirsi». Quali sono i tuoi ricordi giovanili legati al ciclismo? «Nella mia famiglia erano tutti corridori; un mio cugino ha corso con Pantani e con i fratelli Vandelli. Mio fratello è stato anche lui corridore. Io mi sono orientato invece sul calcio e sul tennis, ma nella mia famiglia si è sempre guardato il ciclismo. Sono stato un saronniano della prima ora, ma lo devo dire a bassa voce perché tutte le volte che Moser mi sente si arrabbia. Seguo il ciclismo da sempre e questa volta ho avuto la fortuna di viverci a strettissimo contatto. Era successo che la Gazzetta mi invitasse a vedere qualche tappa, ma adesso vederle proprio tutte, è il massimo della vita. Mio fratello si è anche un po’ arrabbiato. Mi dice: “Ma come, io che è quarant‚’anni che pedalo lo devo seguire alla TV e tu sempre costì, a stretto contatto!”». Allora, il tuo primo amore a livello ciclistico è stato Saronni? «No, come avevo accennato prima, nella mia famiglia erano tutti ciclisti e mi hanno sempre insegnato a tifare per i corridori italiani. Quando ho incominciato a seguire il ciclismo c’era un forte dualismo tra Gimondi e Merckx e io tifavo Gimondi perché i miei genitori si può dire che me lo imponessero. Il “cannibale” era però il mio preferito, anche se purtroppo doveva esserlo solo di nascosto. Poi fortunatamente sono arrivate le ere d Saronni, di Moser, di Bugno e di Pantani ed allora è stato facile e naturale tifare per gli italiani». Adesso invece, dato il tuo ruolo, devi essere neutrale. «Sì, adesso vivendo in mezzo alla carovana li conosco tutti. Faccio il tifo per tutti e spero comunque che vinca un italiano. A dire la verità un mio preferito ce l’ho ma non lo dico. Qualcuno potrebbe restarci male». Roberto Sardelli
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