| 08/06/2010 | 18:44 Dopo il Giro delle Tre Province a Limito e il notturno Trofeo Città di Brescia (l’ex Guizzi), vinti nel 2009, Andrea Palini non si è smentito e ha scelto un altro “boccone prelibato” del ciclismo dilettantistico per rompere il ghiaccio nel 2010: la blasonata Coppa Colli Briantei. La classica brianzola, giunta alla 46ma edizione, è finita nella bacheca del corridore bresciano di Sarezzo e del suo team,la Gavardo Tecmor del presidente Gabriele Scalmana. Una volata al fulmicotone, in rimonta, tanto da bruciare sulla riga bianca l’ucraino Averin che aveva lanciato la volata del piccolo drappello che si è presentato sul traguardo di Sovico. Palini aveva iniziato la stagione con un intoppo imprevisto: un problema al ginocchio lo ha costretto a saltare la preparazione, costringendolo a riproporsi a stagione già avviata. Smanioso di mettersi in evidenza, il brillante finisseur che nel 2007 aveva trionfato agli Italiani della categoria juniores, ha dunque colpito il primo bersaglio importante. “Palini ha una grande visuale di corsa - afferma il suo direttore sportivo Mario Manzoni -, sa quando colpire, e soprattutto sa far male. Dopo il problema al ginocchio a inizio anno ha dovuto rallentare la preparazione ed era logico aspettare la sua crescita più avanti nella stagione. Sono particolarmente contento della Coppa Colli Briantei perché oltre alla vittoria di Andrea, tutta la squadra si è mossa molto bene e poi abbiamo piazzato tra i dieci anche Bosio che è in gran crescendo di condizione dopo i problemi che ha avuto alla schiena”. E adesso sotto col Giro Bio, le premesse stanno facendo venire l’acquolina in bocca… “Noi andiamo all’importante corsa a tappe con la volontà di metterci in mostra e con la speranza di colpire un bersaglio. L’ho già detto e lo ripeto: per la Gavardo Tecmor vincere una tappa sarebbe qualcosa di spettacoloso. Da noi non c’è l’assillo, della società o degli sponsor, di dover vincere a tutti i costi. Qui dobbiamo tirar su i ragazzi e prepararli per un eventuale futuro tra i professionisti. Io devo insegnare le regole e il mestiere a questi giovani, e qui lavoro molto bene, penso di essere una persona fortunata ad aver trovato un ambiente di questo genere”. Da ex professionista a direttore sportivo, la gioia quando vincevi è paragonabile a quella che provi quando vince uno dei tuoi ragazzi? “Quando correvo non ero mai contento: se vincevo volevo vincere subito anche la corsa dopo e così via. Ho capito dopo che era un errore. Ecco, io cerco di non far commettere certi errori ai miei ragazzi, con la mia esperienza cerco, se possibile, di evitargli alcuni inconvenienti. Poi per quanto riguarda la gioia per le vittorie io sono una persona che tiene le cose dentro, non esprimo mai una grossa soddisfazione all’esterno, quello che provo è una cosa interna, è una cosa che per carattere non faccio trasparire”.
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