L'ORA DEL PASTO. IL GIRO DEL SISTI

STORIA | 23/04/2020 | 07:30
di Marco Pastonesi

 


Giro d’Italia, però quello cicloturistico. Era il 1954. Terza edizione, a squadre, dall’8 al 22 agosto, classifica secondo il sistema della regolarità, 2200 chilometri sulla carta (2700 sulla strada) in 13 tappe. Fra i partecipanti Giancarlo Sisti, allora centromediano, poi centometrista (10”5 di personale), infine padrone di un negozio a Milano in via Canonica, destinato a diventare il tempio dell’abbigliamento sportivo.


PROVA “Ma te se matt?, dissi ai miei amici, che cercavano di convincermi a partecipare a quel Giro d’Italia. Però l’idea mi incuriosiva, così accettai la loro proposta: un bell’allenamento per vedere se me la sarei potuta cavare. Milano-Lecco-Colico-l’altra sponda (nel senso lacustre)-Milano, totale 230 chilometri, anche se quest’ultimo dettaglio, i 230 chilometri, per non atterrirmi, non mi era stato comunicato. Avevo 17 anni, la forza dell’incoscienza di chi non aveva nulla da perdere, l’energia di chi l’aveva fatta franca in guerra, e una Pogliaghi da corsa color della Bianchi. Partenza alle 5, colazione alle 8 a Colico, poi cominciai a sentire la fatica, e a Varedo, ponte sul canale Villoresi, quando annunciarono la sosta per il ristoro, mi opposi: se mi fermo, non mi muovo più. Arrivai a casa al tramonto, poco convinto e molto stremato”.

PROLOGO “Organizzava la Polisportiva Italia, associazione raggruppamento Brigata del Popolo, sede a Milano in via Broletto. Il giorno prima, nell’Albergo Nord, in piazza della Repubblica, la punzonatura. Partecipanti: 123. Io: dorsale numero 104, squadra numero 18, categoria indipendenti, ma con gli stessi diritti delle squadre industriali per vettovagliamenti e assistenza meccanica e medica, maglia di lana in prestito a strisce bianche e gialle, sella spalmata di grasso - che poi era lardo - per evitare i bugnoni, il vero spauracchio metafisico dell’intera operazione. Quota da pagare e pagata: 12600 lire, di cui 1600 per l’assicurazione. Il percorso prevedeva la Riviera dei fiori e la Riviera di levante, poi la Versilia e giù fino al Vesuvio, quindi l’Irpinia su per l’Adriatico, infine la via Emilia per tornare a Milano. Te capì l’antifona?”.

PRIMO ATTO “Prima tappa, da Milano a Salice Terme: esemplare. Al ‘rompete le righe’, davanti i più preparati, dietro il popolo, in fondo le vittime dei crampi tallonati dal camion-scopa, composto da cabina di guida e cassone con le sponde. All’arrivo da un altro camion erano già stati scaricati tubi Innocenti, con cui era stato allestito un accampamento di tende e brandine tipo militare. La selezione era naturale, ma a chi abbandonava e saliva sul camion-scopa era concessa la democratica nonché suicida possibilità di ripresentarsi il giorno dopo alla partenza. Seconda tappa, da Salice Terme a Cuneo, con una serie di salite e allungatoie. Anche il rifornimento spettava agli organizzatori, che però se la sbrigavano come se fossimo lì per dimagrire: un panino col salame e un grappolo di uva. Terza tappa, da Cuneo ad Alassio, allietata da un temporalone estivo – pioggia, grandine, tutto – che mi costrinse a rifugiarmi in un fienile, per un’ora, bagnato come un pulcino. Quando tornai sulla strada, non c’era più nessuno, erano tutti spariti tranne uno che mi domandò se fossi Sisti. Mi stupii. Come faceva a conoscermi e, soprattutto, a riconoscermi?”.

SECONDO ATTO “Faceva il cromatore a Milano, in via Nicolini, a due passi da casa mia. Sulla cinquantina, paciarotto, cavalcava una bici con il manubrio da sport. Lo giuro, mi confessò, non ce la faccio più. Mi impietosii. Così, bluffando, lo rassicurai: mettiti alla mia ruota. Non ce n’erano altre. Pianin pianino arrivammo al mare. Nel frattempo, causa imprevisti, il traguardo era stato spostato di una quarantina di chilometri, a Bordighera. Ci arrivammo trionfalmente ormai di notte. E siccome l’accampamento era già pieno, fummo dirottati in un monastero, dove i frati ci servirono un brodo caldo e ci allungarono un materasso, ma di quelli giusti, con la lana”.

TERZO ATTO “Così la quarta tappa fu da Bordighera a Chiavari, una tirata della madonna, con tanto di Col di Nava, un pezzettone della Riviera di qua e un pezzettone della Riviera di là. Il morale, nonostante tutto, era alto, ma si abbassò quando il Sergino, mio compagno di squadra (nella foto mentre, da allievo, brucia in volata Franco Cribiori), spaccò una pedivella, e precipitò quando ci accorgemmo che il camion-scopa ci aveva superato lasciandoci in braghe – avevamo solo quelle – di tela. Fummo recuperati e assistiti dopo un’ora. Per nostra fortuna a Genova c’era gente che ci riconosceva, che ci salutava, che ci diede anche da mangiare. Non so ancora come, ma la sera raggiungemmo il gruppo e cercammo un meccanico per aggiustare i trabiccoli. Nel frattempo, il Sergino era diventato una mezza celebrità, perché era il più giovane della carovana, 15 anni e mezzo, l’altra mezza celebrità era un certo Zazzà di Sesto San Giovanni, che con i suoi 73 anni era il più vecchio, e tutti e due ogni giorno venivano celebrati ufficialmente. Zazzà pesava una quarantina di chili: in salita andava come una spia, in discesa scendeva con i piedi fuori dalle gabbiette per il terrore di cadere”.

EPILOGO “Per farla breve, vi risparmio le altre tappe, compresa quella abruzzese di Forca Caruso, che se si chiama Forca un motivo ci sarà. Tra cotte e forature, qualche stato febbrile e nessuno stato di grazia, altimetrie massacranti e cadute omeriche, raggiunsi Milano. Purtroppo il giorno prima – la tappa finiva e ripartiva da Desenzano - avevo preso freddo e mi era venuto il mal di pancia, ma per orgoglio, soprattutto a livello addominali, tenevo duro. Finché ormai a Milano, sul Ponte della Ghisolfa, dovetti alzare bandiera bianca sotto forma di un rotolo di carta igienica. Urlai ai miei compagni di andare avanti, li avrei raggiunti all’Arena. Feci quello che dovevo fare, mi ripulii per bene, anche con qualche ciuffo d’erba, risalii in sella e trovai la squadra master dei belgi che pedalavano allegri cantando a squarciagola. Facendo corso Sempione per i poco trionfali controviali, arrivammo all’Arco della Pace e alla pace dei sensi”.

 

 

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