STORIA | 26/03/2018 | 07:22 E’ l’incubo degli speaker, il tormento dei dislessici, l’ossessione degli archivisti. Perché detiene il primato del nome e cognome più lunghi del ciclismo. Dalla prima all’ultima sono 26 lettere, cioè le sette del nome e le 19 del cognome, con il significativo predominio delle consonanti (15) sulle vocali (11). In una eventuale tele o radiocronaca, ammesso e non concesso che si riesca a pronunciare il tutto senza inciampare, senza indugiare, senza balbettare mai, è inevitabile che dal momento in cui si comincia a quello in cui si finisce a pronunciare Turakit Boonratanathanakorn, trascorre il tempo in cui, oltre a lui, passa una trentina di corridori che, giocoforza, sono destinati a rimanere innominati.
Turakit Boonratanathanakorn ha 29 anni compiuti il 18 marzo, è thailandese e ha appena finito di correre il Tour of Langkawi, in Malesia, con la maglia gialla e azzurra del Thailand Continental Cycling Team, dorsale 204 (75°, a 56’53” dal russo Artem Ovechkin). Una sola vittoria da professionista, nel 2013, una tappa del Maha Chackri Sirindhon’s Cup Tour of Thailand (così, a occhio, trattasi della corsa con il nome più lungo del calendario), qualche piazzamento e una posizione di rincalzo nelle graduatorie mondiali (attualmente 2757).
L’altro giorno, nella tappa conquistata da Luca Pacioni, Turakit (perdonatemi se, per semplificarmi la vita, ne scrivo solo il nome) ci ha provato, è andato in fuga, da solo, sempre che si possa essere soli con tanto di quel nome e soprattutto di quel cognome, finché è stato ripreso.
Spesso i cognomi, anche quelli thailandesi, hanno un significato. “Boon” significa vantaggio, il resto non è altrettanto chiaro, e comunque si accettano volentieri aiuti e delucidazioni. Ma almeno in quest’ultima circostanza, il Tour of Lankkawi, il vantaggio di Turakit è durato poco. Pazienza, perché se ha coraggio e tenacia almeno quanto ne ha in sillabe, ci riproverà.
Al Tour of Langkawi, ma anche altrove, a insidiare letteralmente il suo primato scioglilinguistico ci sono – in ordine decrescente - i compagni di squadra Peerapol Chawchiangkwang (a quota 23), Sarawut Sirironnachai (20) e Phuchong Saiudomsin (18). Teoricamente lo sconfiggerebbe l’eritreo Amanuel Ghebreigzabhiern Werkilul, che raggiunge addirittura il muro dei 30, ma grazie a un secondo cognome, mentre il malese Muhamad Nur Aiman Mohd Zariff (i primi tre dovrebbero essere nomi, gli altri due cognomi) si ferma a 25. Al confronto, i cinesi Bo Wang (sei) e Meng Yan (sette) suonano rapidi rispettivamente come uno starnuto e un’imprecazione.
Storicamente, meglio di tutti ha fatto la sollevatrice di pesi thailandese Prapawadee Jaroenrattanatarakoon, primatista del nome e cognome più lunghi fra tutti gli olimpionici: 31 lettere. Un nome e cognome così lunghi che, ai Giochi di Pechino del 2008, siccome sullo schermo luminoso non si riuscivano a digitare neanche le 21 lettere del solo cognome, i giudici di gara decisero di indicarla semplicemente con “J.”.
Il bello è che Prapawadee Jaroenrattanatarakoon, alla nascita, si chiamava Junpim Kuntatean. E con quel nome e cognome aveva cominciato a gareggiare. Ma fallito il tentativo di essere selezionata nella Nazionale tailandese all’Olimpiade di Atene 2004, e arrivata seconda ai Mondiali del 2005 e ai Giochi Asiatici del 2006, la Kuntatean fu invitata da una chiromante a modificare le proprie generalità. Solo se avesse cambiato il nome, profetizzò la chiromante, la sollevatrice avrebbe vinto l’Olimpiade. Junpim obbedì, andò all’anagrafe e s’iscrisse come Prapawadee Jaroenrattanatarakoon. Che significa “ragazza buona e felice”. E così vinse.
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