IL PASTO IN RWANDA. Una corsa speciale

STORIA | 13/11/2015 | 07:00
Un prologo e sette tappe (da un minimo di 102,7 a un massimo di 166,2), in tutto 928,4 km e 35 gran premi della montagna (14 di prima categoria, 5 di seconda, cinque di terza e 11 di quarta), 17 squadre e un numero di corridori che si conoscerà soltanto al via. Perché quello che comincia domenica 15 e si conclude domenica 22 novembre è il Tour of Rwanda, e di certo, di sicuro, di scontato, di previsto non ha mai avuto nulla. Ed è il suo bello.

Settima edizione, ma dell’era moderna, quella gestita dalla federazione ruandese con l’organizzazione francese di Olivier Grosjean. Ma c’erano stati altri giri ruandesi, più antichi, e favolosi: come quello in cui risultò maggiore il numero dei corridori arrivati nell’ultima tappa di quelli partiti nella prima (non tutte le squadre, e non tutte le biciclette, giunsero in tempo al pronti-via), e come quello in cui era stabilita e nota la sede della partenza delle tappe, ma non sempre quella dell’arrivo (un metodo che, se conosciuto e divulgato, potrebbe anche essere adottato dal Giro d’Italia e dal Tour de France per animare la corsa).

Si comincia con un prologo, di 3,5 km, nel cuore della capitale, Kigali, e si finisce con una grande kermesse, a circuito, sempre a Kigali. Poi tappe scosse dai percorsi ondulati (il Ruanda è il Paese delle mille colline), agitate dalle strategie agonistiche (scatti e contro scatti, fughe e controfughe, fin dal chilometro zero), sconvolte dagli eventi stradali (forature, cadute, incidenti), terremotate da cotte e crisi, a volte anche da infezioni gastrointestinali che si trasmettono dagli europei perfino agli africani.

Al via tre formazioni ruandesi, le nazionali di Sudafrica, Kenya, Eritrea, Egitto, Marocco, Algeria e Gabon, una squadra australiana, una francese dell’Alta Savoia, la svizzera Loup Sport, la tedesca Bike Aid, l’internazionale Global Cycling e la Novo Nordisk, con l’unico italiano in corsa, Umberto Poli, 19 anni, veronese di Bovolone.

Il Tour of Rwanda è speciale per colori e odori, per foreste e acquazzoni, è unico per sorrisi e sguardi, per sogni e desideri, è particolare per spettatori e appassionati (muri di folla sulle salite e maree di gente sulle piazze), è francese nella maglia del primo in classifica (gialla) e italiano nello spumante offerto al vincitore (Astoria).

E il Tour of Rwanda è il ritorno alla vita, e alla pace, dopo il genocidio del 1994: un milione di morti in 100 giorni, e il mondo che guardava altrove.
 
Marco Pastonesi

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