GIRO D'ITALIA | 15/05/2018 | 07:10
Volevano che il Giro d’Italia avesse successo, e per quell’anno studiarono una corsa «specialissima». Fino ad allora la classifica si faceva sulla base dei punteggi assegnati al termine di ogni tappa. Da quell’anno, il 1914, decisero che avrebbero contato il tempo: avrebbe vinto il corridore che impiegava meno tempo a coprire tutti i chilometri del percorso. Pensarono a un’edizione particolarmente dura, che sarebbe piaciuta ai costruttori di biciclette, «servirà a dimostrare quanto la macchina a pedali sia un veicolo effifficace, resistente, veloce, indispensabile». Chilometri totali 3.162. Durata media delle tappe: 396 chilometri. Esatto, 396.
Del Giro 1914 è ancora un record non sarà mai battuto, quello della tappa più lunga: era il 28 maggio, la corsa andò da Lucca a Roma lungo 430,3 chilometri. Le tappe allora erano una ogni due giorni, da Lucca si partì venti minuti dopo la mezzanotte: davanti i corridori avevano Altopascio, Empoli, Firenze, il Valdarno, Arezzo, Perugia, Terni, Civita Castellana. Il traguardo era fissato allo Stadio dei Marmi, a Roma. Di quella tappa è anche la fuga più lunga della storia del Giro, e anche questa rimarrà per sempre a Lauro Bordin. Che era nato in provincia di Rovigo 24 anni prima, veniva da una famiglia di artisti (il fratello di sua madre era il compositore Stefano Gobatti) e in qualche modo all’arte tornò, una volta smesso di correre: diventò fotoreporter per lo spettacolo, fu il fotografo di Lascia o raddoppia. Morì povero e cieco in ospizio, con la radiolina fra le mani: stava ascoltando la partenza del Giro del ‘63.
Ma torniamo a quella fuga, la più lunga di sempre. Erano partiti da Porta Elisa da una ventina di chilometri, e quando si trovò davanti il passaggio a livello chiuso Bordin scavalcò e andò dall’altra parte. Gli altri, che provarono a fare come lui, incocciarono il casellante che li prese a bastonate e dovettero fermarsi. Bordin invece andò. I fari dell’ammiraglia gli illuminavano la strada, il meccanico cantava per tenerlo sveglio, il suo vantaggio arrivò a trenta minuti ma una foratura e una crisi di fame in rapida successione lo fiaccarono. Vide arrivare un gruppetto, con dentro il giovanissimo Costante Girardengo, e fu lì che si arrese. Dopo 360 chilometri di fuga solitaria destinati a tenerlo per sempre nella storia. Per la cronaca invece Bordin si fermò in osteria a mangiare un panino, e arrivò allo Stadio dei Marmi un paio di minuti dopo il gruppetto di Girardengo, che aveva vinto in 17 ore, 28 minuti e 55 secondi. E dopo 17 ore, 28 minuti e 55 secondì vinse in volata.
Un mese più tardi, il 28 giugno, a Sarajevo fu assassinato l’Arciduca d’Austria Francesco Ferdinando con sua moglie Sofia. Fu la scintilla che fece scoppiare la prima guerra mondiale.
Oltre alla tappa più lunga e alla fuga più lunga, quel Giro del 1914 conserva molti altri primati. Quello della tappa più dura, la prima, da Milano a Cuneo attraverso 420 chilometri con dentro la neve e il gelo del Sestriere. Erano partiti da Milano in 81, e alla fine della prima tappa erano già diventati 37. Dopo l’ultima tappa tornarono a Milano soltanto 8 corridori. A vincere il Giro più duro di sempre fu un bolognese, Alfonso Calzolari, nonostante tre ore di penalizzazione per essersi attaccato a un’ammiraglia vicino a Sulmona. Calzolari aveva perso la testa della classifica dopo tredici forature sulle strade lucane e poi l’aveva ripresa perché il suo rivale, Giuseppe Azzini, durante una lunghissima fuga si era fermato a riposare in un fienile e non si era più svegliato fino al giorno dopo.
Oggi si corre la tappa più lunga del giro, da Penne a Gualdo Tadino, 239 chilometri.
Alessandra Giardini
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