Scrivo
dalla Bulgaria, terra ciclisticamente mai lontanamente pensata, eppure
eccola, grande, enorme, vuota (bene), verde (benissimo), con montagne
ancora innevate dappertutto, ma il Vostro ciclo-nauta qui ha pensato
bene di girar loro rispettosamente al largo, viaggiando per città
enormi come Sofia o medio-piccole come Plovdiv, e in mezzo saliscendi
dolci che un bel giorno soleggiato mi permettono anche di superare i
150km, che col bagaglio e questi asfalti balcanici mi sembra proprio un
bel viaggiare, e scusate l'immodestia.
Vorrei però fare un
passetto indietro per ri-dire dell'ex Jugoslavia che ho sempre avuta
cara per tanti motivi - bellissime vacanze giovaniili, viaggi
professionali (a volte anche più acrobatici di questo) e soprattutto il
caro vecchio basketball - e che dopo questo cicloviaggio porterò ancor
più nel cuore, malgrado il tempaccio di certe giornate. Il maresciallo
Tito si vantava di guidare un'entità sociopolitica fatta di 6 Paesi, 5
nazioni, 4 lingue, 3 religioni, 2 alfabeti, e UN partito. Un sogno
berlusconiano realizzato, direi (mi riferisco a quello di UN partito, il
suo, a base di telequalunschifismo vario e dabbenaggine
nazionalpopolare. Né Tito né Berlusconi, mai più, ma le terre che
furon del primo (e torno al punto) mi hanno salutato regalandomi una
delle più belle giornate di bici che abbia avuto la ventura di vivere.
In
breve: parto da Nis, città della Serbia meridionale, faccio una
quindicina di km in compagnia (occasionale) di uno studente di biologia
venuto dal Kosovo a Belgrado e già di ritorno con una bici che definire
cancello è un complimento (ma ciò non fa che aumentare l'ammirazione
per il ragazzo, beninteso) poi intraprendo da solo una salita infinita,
un lunghissimo fondovalle di 25 km che senza mai pendenze toste (rari
tratti sopra il 5 percento, direi a occhio) finisce comunque per
stremarmi, anche se poi ecco il premio: si chiama Vlasinsko Jezero, un
lago di 16 kmq a 1200 metri di quota, creato artificialmente a metà
secolo scorso, che mi accoglie a tarda sera dandomi appena il tempo di
allestire la tenda e infilarmi nel sacco a pelo, prima che cali una
notte di luna fredda e umida, ma affascinante come poche con due ore
buone di sottofondo musicale a cura di uccelli acquatici di ogni genere.
Ehi ma da quelle parti ci trovi gli orsi, mi disse un'amica della
Vojvodina (Serbia Nord, ben più popolata) quando le predissi che il mio
itinerario di massima passava da quelle parti.
Vlasinsko
Jezero, la cui quota ho superato di un 150-200 metri, è stato anche il
tetto altimetrico di questo viaggio Transbalcanico, un punto-chiave nel
passaggio dall'Illiria alla Pannonia dell'epoca di Roma imperiale, un al
di qua e un al di là di immensi bacini idrografici, di mondi
sconosciuti e sconosciutissimi, ma poi non tanto visto quel po po di
teatri, terme e perfino uno stadio che i nemici storici di Asterix e
Obelix avevano tirato su nell'odierna, bulgara Plovdiv (per me
ignorantone cronico una vera scoperta, festeggiata con un Merlot del Mar
Nero che è stata un'altra rivelazione, giacché prima d'ora gli univi
vini dell'Esteuropa che avevo provato erano ungheresi o romeni. O
rumeni? Mai capito, suppongo poco importi.
E Bulgaria fu
dunque, Pannonia quindi, con una picchiata folle sulla grande Sofia che -
attenti, o incauti - attende chi osi avventurarvisi in bici con
qualche bella pista ciclabile, sì, ma anche con dei selciati, dei pavé
di epoca comunista e delle voragini asfaltiche da pa-u-ra.
Ma
tant'é: destino di chi si avventura per strade esotiche con strumenti
leggeri, per antico amore della bici da strada veloce, equipaggiata da
viaggio in modo artigianal-geniale (non dal sottoscritto, quindi)
destino di questa vil razza dannata è aver ciò che uno si merita.
Sangue, sudore, lacrime dunque ma anche, quoitidianamente, una sensazione
di sostenibilissima leggerezza dell'essere. Che dopo i fatidici cento
chilometri, quando si avvicina una meta qualsiasi, per me diventa spesso
sensazione di esistere, dove essere/esistere non è sinonimo, ma non
entriamo in troppa cicloSofia, per stare in tema di capitale bulgara,
Non mi dilungo (l'ho già fatto, lo so) e dunque vado a chiudere dicendo
alto e chiaro: non nascondo a nessuno che molto di quel che sto
vedendo, umanità varia inclusa, parmi alquanto sgarruppato, per dirlo
in modo caro a un conterraneo del termine ORIENTECCHSPRESS, da
pronunziare sempre con accento napulitan' verace.
Ma siccome sgarruppato
sono pure io, che faccio Orientecchspress ma di treno ho ben poco, in
queste lande desolate dei confini d'Europa non mi ci trovo male. Forse
anche, lo ammetto, perché son sicuro di tornare poi nelle più
familiari europe d'Occidente.
Mi torna in mente l'amico
bosniaco che mi ha ospitato una notte e riflettendo sulla sua terra mi
ha detto: credo che sia una terra sfortunata; sfortunata è la parola
che userei se dovessi usarne una sola.
Anche per questo io e la mia bici le abbiamo voluto e le vogliamo bene.
Ultima
noticina: sommando Costucost, Tods Uei e quanto fatto di
Orientecchspress, i fatidici 10mila km sono superati ampiamente; a
12mila sarà un terzo di giro dell'Equatore. Per un giro del mondo degno
di tal nome, considerate le caratteristiche del globo terracqueo,
25mila si posson considerare già abbastanza, ma che bello sarebbe
andare avanti negli anni, con la salutedecente di oggi, e mettere
insieme i detti 36mila... Un terzo è già fatto, dài. Si va beh:
quasi.
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