MARECZKO. «Sono giovane, ma sogno in grande»

PROFESSIONISTI | 18/01/2016 | 07:57
Il corridore italiano più vincente del 2015 si presenta al via della nuova stagione, la sua seconda nella massima categoria, con grandi ambizioni. Dopo aver fatto 13 «una cifra che mi appaga soprattutto in ottica futura», Jakub Mareczko mette nel mirino obiettivi più grandi e importanti.
Il ventunenne bresciano della Southeast - 1.69 mt per 68 kg - inizierà oggi il 2016 in maglia azzurra al Tour de San Luis e so­gna, passando dal debutto al Giro d’Italia, di concludere la stagione sempre difendendo i colori della nazionale italiana al campionato del mondo di Do­ha.

Hai chiuso l’anno scorso come quinto atleta al mondo per numero di vittorie nella classifica guidata da Alexan­der Kri­stoff, che ne ha collezionate 20.
«Ho conquistato lo stesso numero di successi del 2014, riuscirci tra i professionisti ha un valore in più. Sono soddisfatto di come è andata e l’ultimo periodo è stato davvero esaltante, sento di essere maturato e riesco ad affrontare le volate con maggiore serenità rispetto al passato. Non potevo chiedere di me­glio, ma devo continuare a lavorare per migliorare sulla tenuta e in salita per po­ter ambire anche a corse più impegnative. Se, come spero, sarò al via del Giro d’Italia voglio essere pronto a giocarmi le volate senza soffrire troppo sugli strappi».

Hai iniziato e finito il 2015 vincendo.
«Mi ero preparato bene lo scorso inverno, ma non mi aspettavo di vincere subito alla Vuelta al Tachira, in Vene­zuela. Il momento peggiore è stato di sicuro in Belgio. Mi hanno buttato nella mischia in corse esigenti e difficili come la Gand e Harelbeke e, per un primo anno come me, non è stato semplice. Purtroppo non sono riuscito a portare a termine queste corse del Nord, la cosa non mi è piaciuta neanche un po’, perché io sono uno che non ama alzare bandiera bianca, ma bisogna anche guardare in faccia alla realtà: devo lavorare ancora molto e questo inverno pen­so di averlo fatto con grande determinazione. Il periodo più bello, invece, è stato il finale di stagione in Cina, dove ho raccolto il maggior numero di vittorie chiudendo la stagione in bellezza. Certo, so perfettamente che le vittorie si contano ma si pesano anche. Per un pri­mo anno come me, è giusto contarle».

Cosa ti resta della lunga avventura in Cina?
«Sai, noi ciclisti viaggiamo un sacco ma vediamo molto poco. Ogni giorno ad Hainan, così come poi al Taihu La­ke Tour, la mia giornata tipo era 150 km di strada, una stanza d’hotel, un lettino per i massaggi e dei pasti tutt’altro che esotici, visto che prevedevano il so­lito riso e le solite verdure, del tonno o salmone in scatola. Vincere sette tappe e la classifica generale del Giro del La­go Taihu, per di più nella zona dove si trovano le acciaierie che sponsorizzano la nostra squadra, è stato molto bello. Per migliorare in volata bisogna confrontarsi continuamente, quest’esperienza in questo senso è stata davvero utile. Non avevo mai corso così tanto, praticamente ho affrontato diciotto giorni di corsa senza fermarmi mai, non l’avevo mai fatto ed è stato un passaggio chiave in vista del mio debutto nei Grandi Giri. Questa trasferta mi è servita inoltre per migliorare un pochino l’inglese: non lo so benissimo ma me la cavo giusto per rispondere alle domande delle interviste».

Le vacanze le hai trascorse in Europa.
«Sì, per 10 giorni ho staccato da tutto e ricaricato le pile. Con Daniela, la mia ragazza, abbiamo visitato Salisburgo, poi purtroppo è mancata la sua bisnonna quindi siamo tornati a casa per il fu­nerale. Quando siamo ripartiti, siamo stati a Vienna due giorni, poi a casa mia a Jaroslaw, in Polonia, dove ci so­no ancora i miei nonni e i miei zii. Le ho fatto vedere dove sono nato e ho trascorso la mia infanzia, quindi siamo stati brevemente a Cracovia, di ritorno di nuovo a Salisburgo e in visita ad Auschwitz. È stata una corsa a tappe in auto molto interessante. Lo stop comunque mi è servito per ritrovare la voglia di fare fatica e dedicarmi al 100% al mio lavoro. Ho ricominciato piano piano, provando il materiale nuovo e dal mese scorso mi sono ri­messo sotto sul serio. In ritiro ho macinato tante ore di bici, dopo di che ho ripreso in mano la tabella dei lavori che svolgevo l’estate scorsa per sostenere lavori di forza in salita, che mi permetteranno di migliorare anche sotto l’aspetto della resistenza. Ho svolto esercizi a corpo libero in palestra e allenamenti specifici in pista a Montichiari: l’inverno è il momento perfetto per va­riare la preparazione classica in bici con lavori alternativi».

Come sarà il tuo 2016?
«Dall’Argentina, proprio come un an­no fa. Ricordo con piacere l’emozione di salire sul podio con mostri sacri co­me il mio idolo Mark Cavendish. Da allora ho imparato molto, soprattutto a stare in gruppo e a disputare le volate. Alessandro Petacchi mi ha insegnato il modo di correre tra i professionisti, so­no stato fortunato ad averlo come compagno di squadra per qualche mese, all’apice della sua carriera è stato il miglior velocista al mondo. A marzo penso che andrò in Malesia, a febbraio ci sono molte corse ad invito ed il mio calendario dipenderà da quelli che riceverà la squadra. Ad ogni modo io cercherò di farmi trovare pronto fin da su­bito. Con il mio preparatore Michele Bartoli abbiamo fissato gli obiettivi chiave per arrivarci al top della forma, continuando a crescere gradualmente. Per poter ambire a corse di prestigio devo lavorare ancora molto, così da es­sere competitivo su percorsi più impegnativi».

Quali gare hai messo nel mirino?
«Vorrei cercare un buon risultato al Giro d’Italia. Dirti di pretendere la vittoria alla mia prima partecipazione sarebbe spararla grossa, ma l’aspettativa è di far bene. La squadra potrebbe essere a mia disposizione nelle tappe che mi si addicono di più, soprattutto nelle prime in Olanda, perciò voglio arrivarci preparato. Il “Peta” mi ha raccontato spesso delle sue volate, mi è rimasto impresso il fatto che nel 2004 al Giro ne ha vinte nove. Qualsiasi altra vittoria nell’arco della stagione sarà ben accetta. Un al­tro traguardo che mi frulla in testa da quando è stato svelato il percorso è il mondiale in Qatar. Essendo ultimo anno Under 23 mi piacerebbe poterlo disputare in maglia azzurra e poter regalare all’Italia una medaglia. Non ne ho ancora parlato con il CT Marino Amadori, ma al San Luis voglio dimostrargli di essere competitivo in volata. Il percorso è per sprinter puri e mi trovo all’ultimo anno della categoria, nelle prossime stagioni dovrò vedermela con un chilometraggio decisamente più esigente, ho una grande occasione e voglio sfruttarla al meglio».

Dì la verità, ti senti più italiano o polacco?
«Questa domanda mi mette sempre un po’ in difficoltà perché non so cosa ri­spondere. Io sono nato a Jaroslaw, nel sud della Polonia, quasi al confine con l’Ucraina, ma vivo in Italia da quando ho 5 anni, a Raffa di Puegnago (BS), vicino al Lago di Garda, con mamma Dorota, che ha lasciato la Polonia per lavorare e di fatto è lei ad avermi mes­so in bici quando avevo sei anni perché conosceva un allenatore di giovanissimi a Soprazzocco, vicino a dove la no­stra famiglia si era stabilita. I miei genitori sono divorziati, con il mio papà biologico non ho rapporti, considero mio padre Carlo, il compagno di mam­ma, con cui sono cresciuto e vivo tuttora. Sia lui che mamma mi seguono mol­to, ultimamente ovviamente meno dal vivo perché corro tanto all’estero, ma sono presenze fondamentali per me. In Polonia ci torno poco ma ho ancora dei legami, anche se la conosco poco men­tre dell’Italia amo le montagne, i laghi, i panorami, la storia… perciò mi sento italiano».

Che significa Kuba?
«È semplicemente l’abbreviazione di Jakub. Mi hanno sempre chiamato così fin da piccolino i miei genitori e i miei parenti».

A scuola come te la cavavi?
«Bene, ho scelto un indirizzo pratico perché ho sempre preferito la pratica alla teoria. Mi sono diplomato operatore tecnico all’Itis di Lonato (BS). Ter­mi­nati gli studi, a 18 anni, mi sono dedicato totalmente al ciclismo».

Ricordi la tua prima gara?
«Sì. Era a Nuvolera ed ero G1, avevo 6 anni e usavo la classica biciclettina da­ta­mi in dotazione della squadra. Ar­ri­vai secondo, dietro a un ragazzo che oggi non corre più. I miei genitori lo raccontano spesso: ricevetti in premio una medaglia, ma non ero contento perché io volevo la coppa. Ora invece mi va bene tutto (ride, ndr). Da giovanissimo sono arrivate tante vittorie, campionati provinciali e regionali che a quell’età sono come mondiali. Da esordiente non ho vinto tanto, da allievo in 2 anni ho raccolto 8 primi posti finché da juniores in maglia Aspiratori Otelli ho iniziato a ingranare. Ricordo la pri­ma corsa vinta in quella categoria, a Za­nica, in ammiraglia c’era Giam­bat­ti­sta Bardelloni».

Che è il papà della tua ragazza…
«Esatto. Sto assieme a Daniela da un anno, lei ha sempre seguito il ciclismo perché sia suo padre che suo fratello correvano, ora ancora di più visto che la rendo partecipe del mio lavoro. Que­sto sport mi ha aiutato a crescere come persona, mi ha insegnato molto e dato tante soddisfazioni, le vittorie regalano emozioni indescrivibili; l’aspetto negativo è che ti porta spesso lontano dalle persone alle quali vuoi più bene. Tra gare all’estero, ri­tiri, cene e impegni vari resta po­co tempo per stare a casa».

Come trascorri il tempo libero?
«In famiglia, con amici e con Daniela, portando a spasso il suo cane o facendo semplicemente due passi al lago. So­no un patito della bici e della meccanica, mi piace conoscerla e regolarla come piace a me, quindi sono spesso dal mio meccanico. Passo ore a revisionare la mia bici, voglio conoscerla nel minimo dettaglio e mi diverto a studiare la nuova componentistica. Mi piace leggere, soprattutto in trasferta. Nel pe­riodo in Cina ho letto Come essere fe­lici di Raffaele Morelli: mi piacciono i libri di psicologia. Per quanto riguarda i film, prediligo quelli d’azione. Danie­la balla latino americano e mi ha contagiato con questo tipo di musica, ma ascolto un po’ di tutto, il genere dipende dai momenti. E tra le altre cose, se volete proprio conoscermi bene, sono an­che una buona forchetta: amo la carne».

La tua corsa dei sogni?
«La Milano-Sanremo. È una gara che mi affascina molto, però per arrivare al traguardo della Classicissima con i primi devo decisamente migliorarmi in salita. La volata per me è adrenalina, passione pura, ciò per cui vivo. È il momento che mi piace di più, anche in televisione. Per intenderci preferisco guardare una classica e uno sprint, in­vece di una tappa di montagna di un grande giro. In generale guardare un’in­tera gara di ciclismo dall’inizio alla fine in tv non è il massimo, può essere noioso, mentre la vo­lata è uno spettacolo. Per di­sputarne una al meglio devi però avere tanta gamba e superare tanti momenti difficili. Ci sto lavorando perché al di là delle intenzioni e dei sogni, alla fine è l’allenamento che fa la differenza. E io la differenza la vo­glio fa­re. Costi quel che co­sti».

Giulia De Maio, da tuttoBICI di gennaio
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COMMENTI
Kuba Gran Corridore ma anche un Grande Amico
18 gennaio 2016 16:53 MicheleScalvini
Volevo semplicemente congratularmi con Kuba , sta dando il meglio di se. \"CONTINUA COSÌ GNARO \" e poi volevo dirgli , che il ragazzo che vinse a Nuvolera Categoria G1 ero io , %uD83D%uDE09 me la Ricordo benissimo quella gara come se fosse ieri.
Oggi ho ricominciato a correre dopo due anni di pausa ho trovato una squadra di Bergamo categoria DILETTANTE , il mio sogno correre con Kuba, come ai vecchi tempi.\"never give up\"
Un saluto a tutti,
Scalvini Michele (BS)

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