PROFESSIONISTI | 20/11/2015 | 07:24 Elia Viviani è sempre di corsa, ma anche sempre disponibile. Gli piace andare forte in bici ma anche chiacchierare. L’abbiamo intercettato appena arrivato a Londra per il primo ritiro del Team Sky in vista della stagione 2016 tra visite mediche, prime riunioni, primi programmi, visita agli studi di Sky tv e di altri sponsor, il tutto subito dopo il Campionato Europeo su pista e poco prima della tappa di Coppa del Mondo di Calì. A un passo dalle meritate vacanze il nostro polivalente portabandiera, che a 26 anni vanta 27 medaglie tra mondiali ed europei in tutte le categorie (manca quella olimpica, ma promette di rimediare a breve), tira le somme del suo 2015 e ci proietta verso la prossima stagione.
Soddisfatto di quanto raccolto a Grenchen? «Confermarmi campione europeo nell’omnium sulla pista svizzera era il mio obiettivo quindi sì. Dico sempre che devo andare a poche prove per non rubare troppo tempo agli impegni su strada ma conquistare il bottino pieno e questa volta ci sono riuscito alla perfezione. A volte questa corsa si decide per un punto, a volte anche per meno come è accaduto a Grenchen. Ho avuto la meglio sul campione olimpico di specialità Lasse Hansen, conquistando il sesto titolo europeo assoluto della mia carriera ma ho dovuto soffrire fino all’ultimo perché c’erano tutti i rivali più temibili e nell’ultimo periodo non avevo svolto lavori specifici per la pista, quindi non mi presentavo al top per la sfida come la maggior parte di loro. È stato l’omium più combattuto degli ultimi anni, abbiamo avuto a che fare con una classifica davvero corta e aperta fino all’ultimo, personalmente ho avuto la responsabilità della corsa sulle spalle e avevo troppe persone da controllare. Se marcavo uno mi scappava l’altro, ma alla fine l’ho spuntata. Nella corsa a punti finale ho faticato parecchio ma senza perdere la lucidità necessaria e nell’ultima volata ho acciuffato la terza piazza che mi ha permesso di avere la meglio sul danese che aveva i miei stessi punti in classifica. Sono contento per i buoni riscontri che ho avuto dalle prove contro il tempo, pensavo di avere di più da recuperare, invece quando c’è la condizione ho dimostrato di essere competitivo anche lì. Devo lavorare ancora un po’ sul chilometro da fermo, ma sono fiducioso».
Il bilancio della tua stagione su strada recita 8 vittorie. «Sì, otto personali più una cronosquadre. Ho iniziato con la vittoria della seconda tappa del Dubai Tour, poi c’è stata la gioia di Genova al Giro, il mio primo successo in rosa, a seguire un altro sprint vincente all’Eneco Tour, le tre tappe al Tour of Britain e le due all’Abu Dhabi Tour. È mancata solo la decima che era il mio obiettivo, ma sono super contento. Sono felice per la qualità dei successi ottenuti e ancor di più per quanto sono cresciuto, quest’anno ho superato uno step importante per la mia carriera. Con il Team Sky mi trovo davvero bene, sono contento di aver ripagato la fiducia della squadra con un bel bottino».
Unica nota negativa il mondiale, a cui puntavi forte. «Da Richmond sono tornato con un segnale importante per la mia consapevolezza che mi porta a lavorare ancora meglio per alzare il tiro nelle classiche, ma il risultato ha comprensibilmente lasciato l’amaro in bocca. Siamo tutti d’accordo che non avevamo un leader su cui puntare a occhi chiusi come altre nazionali, ma se partiamo sempre dall’idea che - Lombardia di Nibali a parte - non vinciamo da anni le classiche, significa partire già battuti. Abbiamo commesso un errore e ne ho parlato con Davide (il ct Cassani, ndr): non partire con un capitano. Al via avevamo troppe soluzioni, di cui alcune risultate impraticabili. Nibali e Ulissi dovevano rendere la gara impegnativa, hanno avuto una giornata no ma al di là di questo non erano adatti al percorso, come si è visto non si poteva rendere più di tanto selettivo il circuito, se non sullo strappo finale. Anche se non abbiamo il Sagan della situazione, dovevamo scegliere uno tra me, Trentin e Nizzolo e giocarcela. Non mi sono sentito responsabilizzato come leader principale della squadra, come invece succede quando corro per Sky e si punta a un obiettivo».
Spiegaci meglio. «In squadra una settimana prima della gara tutti sanno per chi si corre, per esempio se per la Sanremo si è scelto di puntare su Swift siamo uniti per lui, anche se la Sanremo non l’ha mai vinta e ultimamente non si è piazzato. Bisogna avere le idee chiare. Quando sono entrato nella fuga di Boonen e Stannard ha prevalso l’istinto sulla responsabilità pesante da leader che invece mi avrebbe spinto ad aspettare. Ho pensato all’Italia, che non aveva nessuno nella fuga e sono scattato. Non mi sono sentito questa responsabilità addosso, così come immagino non l’abbia avvertita Nizzolo che si è ritrovato a dover fare la volata perché tutti gli altri erano saltati ma non va colpevolizzato. Non dico che dovevamo correre per me, ma che bisognava scegliere una punta tra gli azzurri più adatti al tracciato. Navardauskas quando mai è arrivato sul podio del mondiale? Mai, ma se credi in un corridore devi rischiare e responsabilizzarlo».
Godute per le vacanze? «Sì! Conclusa la prima prova di Coppa del Mondo in Colombia (non sarà presente né in Nuova Zelanda a dicembre, né a Hong Kong a gennaio, ndr), sono volato a Rio de Janeiro dove ho trovato Elena (la compagna e collega Cecchini, ndr). Lei voleva visionare il percorso olimpico per capire come impostare la preparazione del prossimo anno e, visto che il tempo a quelle latitudini è sempre bello, abbiamo trascorso 10 giorni di ferie in zona Copacabana. Poi di nuovo in Italia per stare in famiglia. Ho voglia di trascorrere un po’ di tempo nella nostra casa a Vallese di Oppeano (VR) e con i nostri cari. I miei genitori, mamma Elena e papà Renato, e miei fratelli. Luca classe ’91, centrocampista cresciuto nel Verona che ora milita in D nel Legnago, e Attilio, classe ’96, che corre tra gli Under 23 nel Team Colpack».
Come trascorrerai l’inverno? «Due settimane senza bici, poi qualche uscita in mtb ma giusto per divertirmi. Dal 1° dicembre inizierò la preparazione a Maiorca con la squadra e svolgerò lavori di base simili a quelli di un anno fa. L’unica differenza è che già dall’inverno una volta a settimana sarò in pista. Il mio programma dovrebbe iniziare a febbraio da Maiorca ed essere identico all’anno scorso fino al Giro d’Italia, grande obiettivo della prima parte della stagione. Per quanto riguarda le classiche, non so ancora se disputerò solo quelle adatte alle mie caratteristiche, in cui posso pensare al risultato, quindi Milano-Sanremo e Gand Wevelgem, o se sarò al via anche a qualcuna di quelle più dure al servizio dei miei compagni. Se esco in condizione dalla Tirreno-Adriatico, dopo il mondiale su pista di Londra durante il quale affronterò l’ultimo omnium prima di quello olimpico, vorrei finalmente potermi giocare le mie possibilità alla Classicissima».
Dopo la corsa rosa, avrai un solo pensiero. «Esatto. Dopo il Giro l’unica corsa su strada a cui parteciperò penso sarà il Giro di Polonia che è stato spostato di data proprio per incentivare alla partecipazione i corridori che devono preparare Rio 2016 e rientra bene nel programma. Per il resto mi allenerò in altura e nei velodromi per arrivare al top ai Giochi Olimpici. A Londra 2012 finii 6°, ma l’ordine delle prove era diverso e non mi favoriva. Ora nell’ordine si corrono: scratch, inseguimento individuale ed eliminazione il primo giorno, chilometro da fermo, giro lanciato e corsa a punti nel secondo. Il mio tallone d’Achille è il chilometro da fermo perché è la prova meno compatibile con i lavori che svolgo per la strada ma l’anno prossimo avrò tutto il tempo per cercare di migliorarmi. Ho un sogno da realizzare, darò il massimo per riuscirci».
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