KWIATKOWSKI. Un talento predestinato

PROFESSIONISTI | 25/10/2014 | 00:00
Definirlo lo scopritore di Mi­chal Kwiatkowski è troppo, ma se non fosse stato per lui il fresco campione del mondo probabilmente avrebbe mollato la bici anni fa. Angelo Baldini, attuale team manager della Continental MGKVis Wilier Triestina, ha avuto tra le sue fila il giovane polacco vincitore a Ponferrada quando era junior e poi di­lettante, vedendolo sbocciare proprio co­me un bellissimo fiore, Kwiat in po­lacco.
Toscano, classe ’60, Baldini vive a Ma­rina di Montignoso (MS) con la moglie Graziella, che gestisce un parco giochi a Forte dei Marmi e i due figli Simone, sfegatato di ciclismo come il padre, che lavora in un negozio di bici, ed Eleo­nora, studentessa. Si avvicina al mondo del ciclismo da giovanissimo gareggiando nella categoria esordienti, chiude la breve attività agonistica da juniores e su­bito diventa direttore sportivo di pri­mo, secondo e terzo livello. Allena ra­gazzi di ogni età e negli ultimi quindici anni si dedica con passione e profitto alla categoria Under 23 ed Elite portando al professionismo diversi atleti, tra cui Silvester Szmyd, altro polacco al fianco di Kwiato sulle strade di Spagna il 28 settembre scorso.

Quanto c’è di tuo in questa maglia iridata?
«Non darmi troppi meriti, Michal è un fenomeno e lo è sempre stato. Io l’ho accompagnato per un periodo, sta a lui dire se sono stato importante un 3, 5 o 10% per la sua carriera. È stato con me da juniores, all’epoca faceva la spola tra Polonia e Toscana per prendere par­te alle corse più importanti del no­stro calendario, e poi stabilmente nel 2009 quando è passato Under 23 con la MGKVis Norda Whistle. Se ho un me­rito è quello di aver smussato il cli­ma duro della squadra polacca per cui militava, la TKK Pacific di Torun con cui collaboravo dal 2000 portando in Italia i migliori talenti allievi e junior per far fare loro esperienza qui da noi. La scuola dell’Est è molto rigida, o reg­gi o molli, ecco forse sono stato decisivo per non fargli abbandonare la bici a 18 anni quando, dopo aver conquistato tra il 2007 e 2008 successi importanti (titolo di campione del mondo a cronometro junior, di campione europeo su strada e della cronometro) si stava ri­lassando troppo. Ricordo come fosse ieri il giorno in cui lo rispedii a casa in pullman, 27 ore di viaggio, perché era ingrassato 4 chili. Al momento si arrabbiò, ma al suo ritorno per prima cosa mi abbracciò. L’ho rimesso in riga, ma il merito per quanto sta raccogliendo è tutto suo. Ha un grande talento, da sempre».

Che tipo è?

«Come tutti i ragazzi dell’Est all’inizio sembra un po’ brusco e burbero, ma ne­gli anni ha affinato oltre alle doti ci­clistiche anche il carattere. È molto dolce e ci si ragiona volentieri. Una for­za della natura, ma allo stesso tempo un ragazzo umile e alla mano. Quando è arrivato da noi, ha subito portato tantissimi risultati alla squadra ma come tutti gli altri ragazzi cucinava e lavava i piatti nell’agriturismo in cui alloggiavano. Con noi ha imparato la vita di gruppo. Se Szyskowsky Leszek, il suo tecnico polacco, era il classico tenente di fer­ro. io ero più morbido, tra la carota e il bastone io preferivo la carota. Pos­siamo dire che è un buono, un ragazzo di cuore, basti pensare che nonostante sia giovanissimo ha già aperto una scuola di ciclismo nel suo paese per promuovere l’attività giovanile ed essere d’esempio ai suoi giovanissimi connazionali».

Ricordi la prima volta che l’hai incontrato?
«Benissimo. Eravamo a Biella a una gar­a di juniores. Il mio primo pensiero? “Ma dai, come fa ad andar forte que­sto qui?”. Mi è subito parso simpatico da morire, anche perché aveva le orecchie a sventola come me. Seguivo più lui, che era uno junior, che l’intera squadra Under 23, mi aveva folgorato».

Quindi non avresti mai detto che un giorno sarebbe diventato campione del mondo?
«Quando l’ho conosciuto con quel faccino lì no, ma appena l’ho visto in bici sì. Ho capito subito che era un fuoriclasse. Ricordo la sua forza e la sua sfrontatezza al GP Liberazione di Mas­sa, una corsa importante per la categoria juniores. Agli ultimi 30 km era ri­masto in testa con Sbaragli (attuale pro nella MTN Qhubeka, ndr) in maglia di campione toscano. Al passaggio dal ri­fornimento guarda me e l’altro tecnico borbottandoci qualcosa in polacco. Chie­do subito a Leszek di tradurmi co­sa ha detto e mi risponde “Dice che lo stacca dopo, c’è ancora tempo”. Al traguardo è arrivato da solo con due minuti di vantaggio. Un fenomeno».

Cosa hai provato a vederlo trionfare a Ponferrada?
«Una bella emozione. Ho seguito la cor­sa in tv, per 5 ore, dal divano e quando i nostri commentatori non capivano perché tirasse la Polonia mi è venuto da ridere, per non dire altro. Io non sono uno che scommette, ma i bookmakers è difficile che sbaglino. Gli inglesi davano Michal favorito su tutti. Quest’anno ha vinto 13 corse tra cui le Strade Bianche, è finito sul podio di Liegi e Fiandre, è un corridore di fondo nato per le corse di un giorno, ma la Polonia tirava per Sagan o Boo­nen (ride, ndr). Ma fatemi il piacere... Quando ha preso 5 metri ho detto a mio figlio: “non lo prendono più”. A Ponferrada, quando l’ho visto il giorno della cronometro a squadre ho provato la stessa emozione di quando lo vidi la prima volta, quasi quasi non lo riconoscevo per quanto è diventato magro, ma il suo faccino era sempre quello lì».

L’hai sentito?
«Il giorno dopo la vittoria, il giorno stesso non ho voluto disturbarlo perché sarà stato impegnato in grandi fe­steggiamenti. Cosa gli ho detto? Di portarmi una maglia autografata così ci faccio un bel quadretto. Dopo la corsa c’è stata una girandola di almeno 50 telefonate tra Polonia e Italia, è stata proprio una bella soddisfazione. Però ad essere sincero, posso dirvi una co­sa?».

Prego.
«Sono felicissimo per Michal e orgoglioso, anche se ribadisco è solo merito suo se è arrivato così in alto, ma da uomo di azienda sarei stato più felice se avesse vinto Nibali. Per il movimento vedere Vincenzo in maglia iridata do­po che ha trionfato al Tour de Fran­ce sarebbe stato un volano senza eguali, a livello mediatico e di sponsorizzazioni sarebbe stato il top».

Quali corse potrà ancora conquistare Kwiatkowski?
«Io lo chiamo Kwiato, credo lo chiamino ancora così. Le corse di un giorno secondo me sono tutte alla sua portata, compreso il Lombardia. La Liegi-Ba­stogne-Liegi è proprio disegnata a sua misura, il Fiandre anche, le corse in Belgio a cui punta fortemente sono perfette per lui. A mio avviso è in gra­do di vincere ogni corsa in linea che esista. Nelle corse a tappe va forte, se sei un brocco non arrivi nella top ten al Tour de France, ma Michal è un fenomeno da classiche e deve concentrarsi su quelle».

Tra le tue fila oggi hai un futuro Kwiato, magari italiano?
«Al suo livello no, ma ho molti atleti promettenti. Se devo scegliere un nome dico Lorenzo Rota di Bergamo. È for­te, l’anno scorso al mondiale juniores è arrivato 5°, ed è sfacciato. Non ha ti­mori reverenziali, mi ha impressionato alla Coppa Agostoni quando dopo 190 km è scattato in faccia a grandi corridori, non è andato lontano ma questo vi fa capire che carattere ha questo ragazzo. Non teme nessuno e sono convinto ne sentiremo parlare ancora».

Soddisfatto del vostro mondiale?
«Il più grande risultato che poteva ot­tenere un team di giovani come il no­stro era partecipare al campionato del mondo della cronosquadre. Lo abbiamo voluto con tutte le nostre forze. I ragazzi hanno svolto un lavoro incredibile settimana dopo settimana, corsa dopo corsa, raggiungendo l’obiettivo di classificarci tra i primi venti team e qualificarci per la rassegna iridata. Il risultato è stato discreto (25° posto, ndr), ma essere stati a Ponferrada con­ta più di qualche vittoria. Siamo stati sotto i riflettori di un evento sportivo e mediatico di altissimo livello con la no­stra maglia di club. Sono molto contento per l’esperienza che hanno potuto accumulare i nostri ragazzi e per la visibilità mediatica che abbiamo potuto of­frire agli sponsor che ci sostengono».

Cosa auguri al nuovo campione del mon­do e cosa auguri alla tua squadra?
«Spero che Kwiato vinca poco così c’è più spazio per noi italiani (sorride, ndr). A parte gli scherzi, spero che centri tutti gli obiettivi che si è prefissato, a partire dalla classiche in Belgio a cui tiene molto. C’è poco da aggiungere, è forte e può fare quello che vuole. Per quanto mi riguarda, ho 54 anni e ancora tanta voglia di crescre. Ho cominciato questo lavoro a 18 anni e non ho più smesso: se prima era un passatempo, dal ’97 è un lavoro a tempo pieno che comporta un grande impegno ma mi regala tante soddisfazioni. Vi rivelo un sogno: vorrei mettere in piedi una bella Professional e poter disputare il Giro d’Italia. Mai dire mai, ogni tanto i so­gni si avverano. E il successo mondiale di Kwiato ne è la prova».

di Giulia De Maio, da tuttoBICI di ottobre
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