MOSER. «Riparto da me»

PROFESSIONISTI | 29/01/2014 | 08:55
Il suo inverno è incominciato in estate, mentre la sua primavera è iniziata in pieno inverno. Mo­reno Moser è stato costretto ad interrompere la sua stagione in pie­no agosto, ma si è rimesso al lavoro ben presto, con la consapevolezza di chi sa che non sarà facile recuperare il ter­reno perso, ma che per uno come lui non è nemmeno impossibile.
Moreno ha solo 23 anni ed è alla sua ter­za stagione da professionista. La pri­ma è stata una delizia, la seconda, quella appena trascorsa, amara come la ci­cuta.
«Ci avevo davvero fatto la bocca e mi ero anche convinto che essere professionista non era poi così male - ci racconta poco prima di Natale nel buen retiro di Riotorto -. Poi, lo scorso anno, dopo un buon avvio culminato con la vittoria alle Strade Bianche, qualcosa si è rotto. Non so la ragione di questa “debacle”, forse è un’insieme di fattori e cose, ma fatto sta che non sono stato più quello di due anni fa».
Apparentemente Moreno è sempre lo stesso. Un po’ stralunato, diciamo pure genialoide. Vaga nei suoi pensieri e poi torna da noi con riflessioni mai banali e spesso pungenti. Non è tipo che si na­sconde, ama sempre giocare a carte scoperte e se c’è da dire una cosa la dice.
«Cosa mi ha dato più fastidio? Le esagerazioni. Al primo anno ero il nuovo fenomeno del ciclismo italiano, poi tutto d’un colpo sono diventato un brocco nazionale, un lazzarone, uno che non sa fare la vita del corridore. Prima, ciclisticamente parlando ero un vero Mo­ser, il vero erede di mio zio Francesco, poi sono diventato più scarso di papà Diego. La verità è che al primo anno niente mi aspettavo e tutto mi è arrivato con naturalezza, senza nemmeno fare tanti sacrifici. L’anno scorso, invece, mi sono anche preparato molto di più e bene, ho fatto tutto per spiccare il definitivo volo e invece non mi sono nemmeno alzato da terra».
Hai scoperto il perché?
«No. So solo che il sistema immunitario ad un certo punto è andato in tilt e alla fine di agosto, dopo Amburgo, mi sono dovuto fermare. Lo scorso anno è  stato tutto un continuare a ricorrere una condizione che tardava ad arrivare: non era mai quella che volevo. Sono an­dato benino solo nella tappa del Tour all’Alpe d’Huez, dove ho fatto terzo, ma bene bene non mi sono mai sen­tito. Le ragioni possono essere tan­te, e probabilmente sono tantissime, non ultima anche quella di aver fatto troppa altura».
Solo all’apparenza sembri non prendertela mai, ma poi nella sostanza sei uno che si logora parecchio…
«Sono molto orgoglioso e, soprattutto, molto competitivo. Io da sempre pratico solo quegli sport dove posso giocarmela, perché non amo fare brutte figure. Io competo anche quando mi diletto con la mia GTA (Grand Theft Auto, una delle serie di videogiochi più vendute al mondo). Amo la playstation, ci gioco spesso, ma devo sempre emergere. Sono fatto così. Quindi quando per­do, solo apparentemente sembro di­staccato ma dentro di me monta la rabbia. Soprattutto quando non riesco a capire le ragioni di una mia deblacle».
Uno dei momenti più difficili della scorsa stagione?
«Sicuramente al campionato italiano, sulle strade di casa, in Trentino. Ci te­nevo tantissimo a fare bene, e invece mi sono ammalato. Anche lì non ero come avrei voluto essere. Brutta situazione».
Quale è il tuo rapporto con la bicicletta?
«Buono. Mi piace tenerla in ordine ma non sono un maniaco del mezzo meccanico, un “precisetti” per intenderci. Mi fido tantissimo dei miei meccanici. E poi la Cannondale di problemi non te ne da mai».
Da quest’anno c’è un nuovo preparatore, il tedesco Sebastian Weber, coadiuvato da Mattia Michelusi e Samuele Marangoni, fratello di Alan: come ti trovi?
«Molto bene. Sebastian è molto preparato e ha portato delle innovazioni nel­la preparazione di quest’anno. In­tanto abbiamo fatto molta attività in palestra. Abbiamo lavorato tantissimo per il core training, per far lavorare la parte centrale della nostra macchina (schiena e addominali). A novembre e dicembre ho fatto anche tre/quattro ore di palestra al mattino (a digiuno) e poi altrettante in bicicletta. Questo tipo di lavoro dovrebbe consentirci, e penso proprio che ci consentirà, di ottenere dei grandi picchi di forma nei momenti cruciali della nostra stagione».
Scusami per la brutalità della domanda, ma lo scorso anno non hai mai pensato nemmeno per un momento di abbandonare il ciclismo?
«Mi fai questa domanda perché da di­lettante presi un anno sabbatico dopo un po’ di amarezze?...».
Anche.
«Guarda, non ci ho mai pensato. Mi gi­ravano gli zebedei come a pochi altri ma ho sempre pensato che alla fine avrei risalito la china. Sono certo che  sarò io ad avere la meglio e a far vedere a tutti di che pasta sono fatto».
Dove sarà il tuo esordio?
«Al Tour San Luis in Argentina. Mi piacerebbe partire subito bene, ma non vorrei però esagerare, perché i miei obiettivi quest’anno sono ben altri…».
Appunto, quali sono?...
«Intanto dopo il San Luis penso di fare Dubai, Oman, Camaiore, Strade Bian­che, Tirreno e poi Sanremo. Il vero Mo­reno dovreste vederlo al Nord: Am­stel, Freccia e Liegi sono il mio terreno di conquista. Poi faremo tutti assieme il punto, perché io sogno di poter correre il Giro d’Italia. Io questa corsa la amo troppo».
Ma tu ti senti un corridore per Grandi Giri?
«Io devo ancora capire se sono un corridore di un certo tipo e in attesa di scoprire che tipo di corridore sono o sarò, io continuo a pensare che un giorno io il Giro lo vinco. Ti pia­ce co­me ri­sposta?».
Molto. Ma prima del Giro bisogna vincere qualcosa…
«Non me lo dire… se fosse per me prenderei tutto. In ogni caso, qualche bandierina mi piacerebbe piazzarla».
Il primo contatto con la stagione 2014 a Moena, poi il ritiro prima di Natale a Rio­torto: che impressione ti ha fatto la nuova Cannondale?
«Buonissima. Siamo un gran bel gruppo, forte e affiatato. Ormai questa è davvero una famiglia, arricchita da nuo­vi arrivati di assoluto livello, come Oscar Gatto, Marco Mar­ca­to e George Ben­nett: sono una garanzia. Poi ci so­no i giovani Villella, For­molo e Bettiol: tutti molto interessanti».
Ti sei dimenticato del pupo Matej Mohoric…
«Lui è di un altro pianeta. Cre­detemi, un ragazzo di soli 19 anni così forte e motivato non l’avevo mai visto e incontrato. Fa davvero impressione. Di questo ragazzo ne sentirete parlare molto presto. Siamo sui livelli di Peter Sagan, solo che Ma­tej lascerà il segno nei Grandi Giri. Que­sto è un talento purissimo. Sembra un piccolo Ivan Basso, solo che Matej (che i compagni chiamano Nina, ndr) è molto più inquadrato. In ritiro era in camera proprio con Ivan, che è per noi è da sempre un vero asceta, un maniaco del lavoro. Bene, Matej è riuscito a scioccare anche Ivan. Sveglia alle 5.45, e a nanna alle 20.30. Un pazzo furioso. Questo ha talento da vendere…».
Anche tu non sei niente male…
«Penso di avere ancora ampissimi margini di miglioramento. Devo in pratica ancora far vedere tutto. Sento di poterlo fare. Per questo ho cominciato la preparazione molto prima  rispetto agli anni scorsi».
Cosa ti hanno insegnato le sconfitte?
«Che non bisogna dare nulla per scontato. Non bisogna mai sentirsi arrivati. Ma è necessario anche imparare ad es­sere più egoisti: si fa parte di una squadra, è vero, ma in certi casi lo spazio devi prendertelo».
Cosa pensi dei tifosi che prima ti acclamavano e poi ti hanno girato le spalle?
«Quelli non sono veri tifosi, sono persone frustate che scaricano le loro sconfitte sugli altri. I veri tifosi ti incitano quando le cose non vanno bene: è lì che serve l’incoraggiamento».
Cosa non sop­porti?
«Le offese personali. Capisco che, in un momento così delicato e difficile per tutti, molti cerchino nei nostri risultati un momento di conforto. Un sogno. Una speranza. Ma devono capire che noi per primi vorremmo vincere sempre. E purtroppo ci accade troppo po­co».
Quanto ti ha dato fastidio non essere della partita al Mondiale di Firenze?
«Molto poco. Non ero competitivo. Quindi, è stato meglio starsene a casa. Ci sono molti colleghi che per una ma­glia azzurra correrebbero anche con la febbre, io lo farei solo se sentissi dentro di me la concreta possibilità di po­ter essere competitivo: vincente».
Cosa pensi di Rui Costa?
«È stato grande. Ha colto l’attimo. È stato davvero bravissimo».
E di Rodriguez…
«È stato solo sfortunato».
E di Valverde?…
«Non ne aveva più. Per me non ha bluffato».
Cosa pensi di Nibali?
«Ormai lui ha la statura del grandissimo corridore. Deve andare al Tour per cercare di vincerlo. Ha tutto per potercela fare. Pochi sono forti come lui».
Froome, però, sembra un tantino più for­te, soprattutto a cronometro…
«Non tutte le stagioni sono uguali: guar­date me. E poi Vincenzo ha una testa che pochi corridori hanno».
Contador tornerà quello di prima?
«Non so cosa gli sia accaduto, ma lui è un grande e i grandi tornano sempre».
Anche Gilbert?...
«Secondo me lui non è mai andato via».
Il corridore che più ti ha impressionato nella stagione scorsa…
«Peter Sagan. È davvero un grandis­si­mo corridore. For­se in Italia non lo si celebra più di tanto perché è slovacco, ma questo è davvero un prodigio della na­tura e poi sa guidare la bicicletta come po­chi altri corridori al mondo. Io gli ho visto fare cose che hanno dell’incredibile. Ti ricordi quando le nostre mamme ci mettevano spalle alla strada sul manubrio delle loro biciclette e ci portavano in gi­ro?... Be­ne, lui va giù con il sedere sul manubrio, le spalle rivolte alla strada, lanciato in discesa. Ra­gaz­zi, questo è un fe­nomeno».
Gli manca però una grande classica…
«È giovanissimo, e vincerà tutto e an­che più di una volta. Ve­drete che questo ra­gazzo cambierà an­che il modo di vedere e intendere il ci­clismo. Sarà Sagan il corridore del nuo­vo Mil­lennio».
In cosa è cambiato Mo­reno Moser?
«Non ho mai amato il vino, forse perché papà Diego mi portava nei campi anche quando io non volevo. Avevo una sorta di blocco psicologico, un ve­ro e proprio rifiuto. Ero uno dei pochi Moser a non bere. Quest’anno ho superato questo blocco. Il mio preferito? Il Traminer».
Insomma, hai imparato a bere per dimenticare…
«Anche…».
Sei sempre single?
«Single convinto. Ci tengo molto alla mia solitudine».
Ma non ti vedi sposato con dei figli?
«Certo, un giorno accadrà anche questo, ma bisogna trovare la persona giusta».
Che tipo di donna ti piace?
«Del cinema mi piace molto Natalie Portman. Ad ogni modo quando una donna ti piace ti piace, ma deve piacerti per davvero. Non voglio precludermi nessun tipo di donna: alta, bassa, bionda castana o rossa, occhi azzurri o scu­ri, con seno grande o piccolo… Mi piacciono le donne intelligenti, simpatiche e probabilmente quella che mi le­gherà sarà una donna con grande temperamento, capace di sciogliere un tipo glaciale come il sottoscritto. Poi, quando l’avrò trovata, torneremo a leggere questo articolo e ci faremo assieme una grassa risata».
Playstatiom, vino e con la musica come sei messo? Mi dicono che canti benissimo e sei in pratica il regista della squadra…
«A livello di musica ultimamente ascolto tanto rap. Ho un’esigenza di parole. Mi piace capire bene i testi. Ascolto ragazzi come Fedez (Federico Leo­nardo, ndr), Marracash (Fa­bio Bartolo Rizzo, ndr) e Gué Pequeno (Cosimo Fini, ndr): i loro testi mi piacciono un casino. Tante parole in rima e poca poesia, ma molti concetti. Molti pensieri. Adesso è così. E quan­do io mi innamoro di qualcosa, lo esploro fino all’ossesso. Voglio sentire tutto, voglio conoscere ogni cosa. Poi tra un po’ cambierò, an­che se artisti come Li­gabue o Vasco sono sempre nel mio cuore…Io adoro tutta la musica. Ascolto davvero tante cose e cerco di conoscerne il più possibile».
Però non mi hai risposto: canti bene e sei anche un grande regista…
«Canto da tempo. Ave­vo un gruppo che non aveva nemmeno un nome: il mas­simo degli sfigati. Siamo in pratica morti sul na­scere. Per regista ti ri­ferisci forse al fatto che ultimamente mi dedico con Daniele Ratto a girare dei me­morabili video clip?».
Certo che sì…
«È un’altra delle mie passioni. Creo piccoli corti, che con ogni probabilità - come il mio gruppo musicale - non la­sceranno se­gno non solo nella storia della cinematografia ma nemmeno in quella dell’umanità».
Libri?
«Sto leggendo La rabbia e l’orgoglio di Oriana Fallaci: è in­credibile per quan­to scriva bene. E poi mi piace il suo modo di pensare. Mi piace la passione che trasmette».
Un lavoro che ti affascina?...
«Il fotografo. È un lavoro creativo. Mi piace».
Piace anche a Nibali.
«Vedi che è un grande».
Torniamo per un attimo al ciclismo: sull’Alpe d’Huez, non hai mai pensato di poter vincere?
«Assolutamente no. Anzi, ero convinto che ci avrebbero ripreso, per questo mi sono voluto togliere la soddisfazione di passare per primo sull’Alpe al primo passaggio. Lo ripeto, quel giorno andavo bene, ho fatto 300 watt medi per cinque ore di corsa. Non male».
Ai primi di dicembre sei andato anche a Montichiari per dei test in chiave cronometro…
«Ci stiamo lavorando molto. Ho fatto otto-nove test per verificare la migliore posizione. Ho lavorato molto in particolare sulla po­sizione del manubrio, anche se alla fine ho cambiato davvero poco. Gli appoggi sono rimasti nella stessa posizione, solo un po’ più stretti i gomiti e più alta la posizione delle mani sulle protesi per consentire una migliore aerodinamicità. Collo più in­cassato tra le scapole e via a tutta. Con questa leggera modifica, guadagno 15 watt: il problema è stare in quella posizione per un’ora. Per questo dovrò ap­plicarmi, e non poco, con la bici da crono».
Torniamo al privato: vivi sempre con i tuoi?
«Sì. Papà, mamma e mia sorella Chiara di 19 anni. È una tosta, spero che entri a lavorare nel mondo della moda. È la sua passione. È molto determinata e sono sicuro che ce la farà».
Come suo fratello Mo­reno?
«Esattamente come lui…».

di Pier Augusto Stagi, da tuttoBICI di gennaio
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COMMENTI
Grande Moreno
29 gennaio 2014 13:23 ciano90
La testa c'è, speriamo che alla lunga escano anche le doti fisiche!

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