DA TUTTOBICI. UOTTS AMERIGA

| 26/11/2011 | 09:17
Sono preoccupato per il Giro. Lo dico con sommo dispiacere, perché è di gran lunga l’occasione che più amo nel ciclismo. Ma forse è proprio per questo che mi scattano i pensieri. Par­lan­done da vivo, ho la netta sensazione che si sia buscato un brutto accidente.

Già se n’era discusso nei me­si scorsi: tutta una gran festa per la decapitazione, finalmente, di Angelo Zomegnan, brutto, sporco e cattivo, colpevole e responsabile di tutti i mali. Poi il periodo delle incertezze, delle voci e delle dicerie, tocca a questo e tocca a quello, di sicuro Bergonzi, però in concorso con Bulbarelli e Beppe Con­ti, magari con una zampa a livello tecnico di Martinello. Ne ho sentite e ne ho lette di ogni, fino alla decisione finale: cambia poco, è il corpaccione di prima senza la testa. Resta la squadra: più coinvolto Michele Acquarone, il manager, più responsabilità alla coppia Vegni-Allocchio, gli specialisti. E via che si riparte.

Lo confesso: sono andato alla presentazione, nonostante già tutto si sapesse in largo anticipo, con molta ansia e con una certa curiosità. Sono persino riuscito a digerire la prolissa cerimonia, dove si è puntato quasi tutto sulla commemorazione dei morti, salvo il deprecabile incidente di dimenticarne uno molto caro e molto importante, Ferrero Junior, che bene o ma­le di questa corsa resterà per sempre un papà nobile. Ma pazienza, sono sviste in buona fede. Più che altro, l’anno prossimo vediamo di spostare il vernissage in una data più consona: certamente il 2 no­vem­bre lo è.
Purtroppo, camera ardente a parte, è il resto che angoscia. Sin dal primo momento il Giro 2012 ha giocato a carte scoperte. Non ha fatto nulla per na­scondere i suoi punti critici e le sue debolezze. Niente: con raro senso di masochismo, con alto sprezzo del ridicolo, il Giro ha convocato una sfilza di campioni per sentire dalla loro viva voce che se ne guarderanno bene dal correrlo. Contador, Ni­bali, Hushovd: tutti dimissionari prima ancora di cominciare. So­prav­vivono, di quella ecatombe, i soli Basso e Scarponi. Persino Cobo, che nessuno sa chi è, ma che comunque è pur sempre il vincitore dell’ultima Vuelta, girerà alla larga. Prati­ca­men­te, affrontiamo l’inverno pregando tutti i santi che venga almeno uno Schleck, nel segreto timore che alla fine verrà quello scarso.

Quanto al percorso, non ne parliamo. La nuova gestione esibisce con orgoglio la sua scelta, contro le sadiche megalomanie della carogna Zomegnan: guardate che sciccheria, due settimane senza sforzi, persino senza ignobili trasferimenti, e alla fine tre arrivi in salita veri, con il solo tappone di Mortirolo (taroccato) e Stel­vio a mettere davvero paura. Evvi­va, come siamo umani, abbiamo inventato il Giro light, meno duro e meno crudele, alla portata di tutti, in questo senso autenticamente e sportivamente democratico.

Bello, se piace a loro. Pec­ca­to che un Giro così esista già da sempre e si chiami Tour. Due settimane noiose come le tasse, due o tre tappe di montagna neanche tanto feroci, quindi tutti a Parigi per festeggiare la grandeur sui Campi Elisi. E noi, che ultimamente eravamo riusciti a scrollarci di dosso la nomea di imitatori, di cinesi del ciclismo, di patetici replicanti, di nuovo pronti a confezionare un anonimo simil-Tour. E non mi vengano a dire che Cervinia è un salitone: lo conosco, sarebbe perfetto per il Tour. Piuttosto questa era, lo dico con orgoglio e con rimpianto, “la corsa più bella del mon­do nel Paese più bello del mondo”. Un marchio di qualità, un prodotto tipico. O ricordo forse male?

Sì, lo dico ad alta voce: temo fortemente che il dopo-Zo­megnan parta malissimo. L’attuale gestione - di squadra - fa della dimensione internazionale il suo obiettivo primario, meglio detto target. Ho qui sulla scrivania i de­pliant della nuova edizione: tutto è scritto in inglese, l’italiano è in ca­ratteri piccolissimi e ben nascosti. Mi vengono in mente i libroni del Tour: col cavolo che privilegiano l’inglese. Eppure non mi risulta che il Tour soffra di provincialismo, che in giro per il mondo nessuno lo conosca. Noi però abbiamo nel Dna questo complesso di inferiorità, sin dai tempi di Alberto Sordi e del suo memorabile “uotts-ameriga”. Ma va bene, facciamo quelli che sanno le lingue e che si aprono al mondo: globalizziamoci. Però, amici cari, concedetemi solo un ultimo però.

È questo: il Giro dell’internazionalizzazione (porco de­mo­nio, che parola) ha certo bisogno della lingua inglese, ma prima di tutto, per farsi gradire e amare all’estero, avrebbe bisogno di appeal. Do you know appeal? Ma sì, avrebbe prima di tutto bisogno di avere un grande percorso all’italiana, cattivo il giusto, cioè un percorso di Mortiroli e Zoncolan, di Plan de Corones e Strade bianche, un prodotto cioè veramente nostro, inimitabile, con dentro salite che ab­biamo soltanto noi, sterrati che abbiamo soltanto noi, paesaggi che abbiamo soltanto noi, persino vulcani che abbiamo soltanto noi. Que­sto come punto di partenza. Ma poi, per catturare davvero le attenzioni di tante nazioni, bisognerebbe avere campioni di tante nazioni. E noi? Noi andiamo incontro a questi mercati con una volgare imitazione del Tour e con un duello Basso-Scarponi. Sai che libidine, sai che botte davanti al video, dall’America alla Cina, per una cosa del genere. Aggiungo: proprio il percorso light, disegnato per non spaventare e anzi attirare campioni stranieri, sarà il più povero di iscrizioni straniere. Questo per chiarire una volta per tutte che non è la durezza a metterli in fuga. Forse è il contrario.

Lo so, forse sono troppo ap­prensivo. Ma non riesco a non essere preoccupato. Già mi viene il mal di testa alla sola idea di presentare questa cosa ai ver­tici del mio giornale. Immagino gli imbarazzi e le difficoltà di tutti i miei colleghi. Ma immagino anche la risposta dei nuovi organizzatori: e chissenefrega se gli italiani non ne parlano. Noi guardiamo al mondo. Giusto. Faccio solo presente che an­diamo ad aprire la bancarella sul mercato internazionale con il Giro più casereccio e provinciale degli ul­timi anni. Proprio stavolta. Al mo­mento, ha tutta l’aria del campionato italiano a tappe. Che idea: e chiamarlo così?

Cristiano Gatti
da tuttoBICI di novembre

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COMMENTI
Gatti schietto e sincero "come pochi"
26 novembre 2011 09:31 magico47
Chissà perchè l'essere umano non dice quasi mai quello che pensa?

Chissà perchè si applaude un personaggio o un evento non meritevole perchè tutti in quel momento lo fanno?

Sono daccordo che il 2 novembre sia la giornata giusta per promuovere certe presentazioni come l'ultimo Giro D'Italia.

Gatti 10 +
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Loriano Gragnoli DCI


Pienamente d'accordo
26 novembre 2011 11:00 neve
Bè deduzioni chiare limpide, sembra facile trovarsi in quei ruoli, purtroppo in Italia si usa sempre il solito sistema, si mette gente così solo perchè sono lì, mentre servirebbe gente preparata, con carisma, gente professionale.
Si il Giro è una macchina che va da sè, poi la gente si entusiasma ugualmente anche solo con Italiani, ma però che siano italiani....no squadre di stranieri sconosciuti di terza categoria, gente che viene per allenarsi e farsi esperienza, allora se patriotico è che lo sia totalmente, facciamo correre i nostri giovani, facciamogli fare a loro esperienza.
Poi per favore RCS organizzazione, mettete gente professionale, capace, carismatica in quei ruoli, quelli di ora brava gente , ottimi collaboratori di contorno senza discussione, ma ognuno il suo ruolo, si nasce dirigenti.

26 novembre 2011 12:00 valentissimo
Ma i giri vinti da Saronni e Moser, li avete mai visti???? io credo che come primo anno si possa accettare questo Giro senz'altro migliorabile ma, sicuramente più in linea con un ciclismo che si vuole senza doping.
Non credo che il Giro massacrante dello scorso anno, riesca a tenere il doping lontano da questo sport e neanche che possa avvicinare grandi campioni stranieri; Contador ci è venuto solo perchè temeva di non poter correre il Tour (come sarebbe stato logico) e senza quel problema, non lo avrebbe mai corso!
Perdoniamo una gestione che di certo non ha avuto anni per affinare la conoscenza di questa organizzazione e di cosa dare al settore ed al suo pubblico e sono certo che, con un paio di tappe più dure si possa arrivare ad un Giro bellissimo!

26 novembre 2011 14:05 pickett
I principali problemi del Giro,che tengono lontani i campioni stranieri,sono 2:pessime riprese televisive e pessima collocazione nel calendario.Quando l'UCI rivoluzionò il calendario,a metà anni 90,la RCS commise l'imperdonabile errore di non accettare la proposta di spostare il Giro a settembre.E ancora sta pagando questo errore.

mah
26 novembre 2011 14:20 shamal
Sig.Gatti credo che la corsa non dipenda soltanto dalla planimetria/altimetria della tappa ma da come la interpretano i corridori, sono loro che la fanno più o meno dura.
La tristezza del girò potrà venire più che altro dai pochi pretendenti al titolo e all'assenza di personaggi di un certo livello.

26 novembre 2011 15:33 foxmulder
L'articolo è indubbiamente interessante e come al solito molto ben scritto, ma il mio modestissimo parere è che le defezioni del 2012 siano dovute all'eccessiva durezza del Giro 2012 che ha praticamente tarpato ogni ulteriore ambizione di chi vi aveva partecipato. Se perfino Contador ne è uscito "spompato" temo che la scarsa affluenza futura sia una sorta di "punizione" del movimento all'"inumanità" sia a livello di percorsi che di trasferimenti nel 2011. Ovviamente il parere è modesto e potrei sbagliarmi, ma non credo personalmente di essere distante...

Errata corrige
26 novembre 2011 19:56 foxmulder
Naturalmente intendevo: "eccessiva durezza del Giro 2011"

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