MEDICINA. Roberto Corsetti e le visite di idoneità

| 24/08/2011 | 09:22
Il dottor Roberto Corsetti è specialista in Cardiologia e in Medicina dello Sport, dirige il Centro Medico B&B di Imola, è il medico responsabile della Liquigas-Cannondale, la squadra di Basso e Nibali (lo è stato della Fassa Bortolo di Ferretti) ed è il presidente della Associazione Italiana Medici del Ciclismo (A.i.Me.C.).
Solitamente parla chiaro e affronta la sua professione, in tutti gli ambiti, con grande passione e dedizione.
Ci siamo rivolti a lui per cercare di capire qualcosa di più dell’intricato sistema delle visite di idoneità allo sport agonistico e non in Italia.

Cosa pensa delle recenti morti di Pietro Ferrero e Andrea Pinarello?
«Provo un grande dolore. Parliamo di due appassionati del ciclismo e della bicicletta, due rappresentanti eccelsi dell’Italia nel mondo; perdite, quindi, insostituibili. Non posso che essere vicino ai familiari».

E dal punto di vista medico più stretto queste due morti improvvise non le fanno pensare nulla?
«In effetti nulla di particolare. Ritengo che due persone di tale livello avessero sicuramente affrontato e superato tutti i controlli necessari, anche i più accurati. Mi viene da pensare, pertanto, che sia nell’uno che nell’altro caso si possa essere trattato di morti che non potevano essere previste».

Un fenomeno tanto drammatico, cioè la morte improvvisa di una persona che pratica sport, ci deve far riflettere?
«Certamente si. La morte cardiopatica improvvisa nei giovani, apparentemente sani, è un fenomeno che colpisce ogni anno più di mille giovani di età inferiore ai 40 anni e 8 donne su 100 mila tra i 30 e i 45 anni. Quindi si tratta di un fenomeno importante anche perché drammatico.
Il vero antidoto di un evento tanto importante e drammatico. Va precisato, innnzitutto, che per fortuna parliamo di un fenomeno raro. L’antidoto vero e unico è la prevenzione».

In tal senso in Italia cosa si fa?
«L’Italia è uno dei pochi paesi europei che si è data una precisa normativa a riguardo e, pertanto, secondo quanto dettato da una normativa di legge dal 1982, tutti gli individui che praticano attività sportiva a livello agonistico e anche a livello non agonistico la prevenzione devono farla obbligatoriamente attraverso quella che noi tutti conosciamo come la visita di idoneità allo sport agonistico e/o non agonistico. Al contrario in altri paesi tale obbligatorietà e quindi tale strumento preventivo è assente (Inghilterra, Olanda, Spagna, Stati Uniti, ndr)».

Quello della pratica delle attività sportive a livello non agonistico è un fenomeno numericamente importante. Incide molto in questa tematica?
«Sicuramente si. Forse riveste il peso maggiore perché in Italia sono numerosissimi gli sportivi della domenica che praticano attività senza fini agonistici a livello ludico e ricreativo. Probabilmente a tale numeroso bacino di utenti vanno indirizzate le attenzioni maggiori dal punto di vista dell’informazione. Dobbiamo inviare messaggi chiari che valorizzino la necessità di visite preventive perché è probabilmente tra questi sportivi che si annidano i casi più frequenti di persone che non effettuano la visita o che non la effettuano nella maniera corretta. I maggiori sforzi devono essere diretti nella direzione di quanti pratichino attività sportive a livello ludico-ricreativo e/o entry level, attività per le quali, spesso, non viene richiesta nessuna certificazione ma che ugualmente sono ad alto rischio, specie se trattasi di discipline sportive ad elevato impegno cardiovascolare».

Un esempio?
«Un professionista di 45 anni che ha una vita molto stressante perché svolge un’attività lavorativa molto piena e stressante, che ha una famiglia, dei figli, che ha degli obblighi e delle responsabilità, decide di incominciare a praticare il ciclismo. Il ciclismo non è certo lo sport più semplice. Probabilmente per noi che lo amiamo è il più bello; sicuramente fa molto bene ma non a tutti in maniera indiscriminata. Noi, però, sappiamo anche che è tra i più impegnativi a livello cardiovascolare. Non è corretto affermare che la pratica non agonistica del ciclismo sia di gran lunga meno impegnativa per il cuore rispetto all’agonismo. Se un individuo non allenato, non sottoposto a nessun controllo medico preventivo, specie se in età adulta, matura e/o avanzata e soggetto a stress per le responsabilità professionali e familiari, decide di andare a scalare una qualsiasi salita impegnativa anche a ritmo lento, il suo cuore viene sempre e comunque sottoposto ad uno sforzo importante. Se l’organo non è in salute l’individuo, è cosa certa, corre un potenziale rischio».

Cosa si può fare?
«Innanzitutto ci dobbiamo tutti rimboccare le maniche. Cominciamo a considerare che in Italia, se è vero che esiste una normativa che tutela le attività sportive e la salute degli sportivi agonisti e non, è altrettanto vero che tale normativa è stata emanata nel 1982 e non è mai stata cambiata nemmeno di una virgola. Dal 1982 ad oggi sono passati 30 anni e la scienza ha fatto passi da gigante. Le acquisizioni in ambito medico sportivo sono cambiate e migliorate in maniera evidente e sensibile. Probabilmente è arrivato il momento di rivedere quella normativa e di rivederla in maniera profonda. O no? E ancora. Le visite di idoneità sono obbligatorie. Ma vengono realmente effettuate da tutti coloro che hanno l’obbligo di effettuarle? Siamo certi che questo accade?».

Perché questo dubbio?
«Perché l’attuale normativa lascia la responsabilità dell’effettuazione della visita al presidente della società dell’atleta o al presidente del circolo sportivo o della palestra nella quale l’individuo pratica l’attività. Ciò cosa vuol dire? Che, ad esempio, il presidente di una società cicloturistica e/o cicloamatoriale, all’inizio dell’anno prima di richiedere il tesserino per i suoi atleti alla FCI o all’ente della consulta di riferimento (l’Udace, l’Uisp, etc.), è tenuto ad essere in possesso dei certificati di idoneità di tutti gli atleti. Il decreto recita infatti che il Presidente può fare richiesta di tesseramento solo per gli atleti per i quali sia in possesso di un regolare e valido certificato di idoneità. Così per tutte le discipline e attività sportive a qualsiasi livello esse vengano praticate. In realtà, sembra, ci siano molti presidenti, soprattutto nel centro-sud, che tale norma o non la conoscono oppure, pur conoscendola, la sottovalutano non rendondosi conto dell’enorme responsabilità civile e penale che si assumono. E’ verosimile poter ritenere, se ne è quasi certi, che in Italia non vengano effettuate tutte le obbligatorie visite di idoneità allo sport».

Sembra anche ci siano certezze in tal senso?
«Guardi, non molto tempo fa, sul settimanale Panorama è uscito un articolo del giornalista Marco Bonarrigo che, a mio avviso, un pochino avrebbe dovuto far riflettere. Bonarrigo ha di fatto scoperchiato la pentola. Non tocca certo a noi, ed in particolare a me, verificare la veridicità di alcuni passi di quell’articolo. Ritengo, tuttavia, che debba essere rivisitato al più presto tutto il sistema normativo della tutela della salute delle attività sportive in Italia».

Ci potrebbero essere altre irregolarità?
«Si dice che molto spesso, pare più nel centro-sud, le visite vengano effettuate in luoghi non regolamentari, non riconosciuti dalla legge, non idonei e in assenza degli strumenti necessari. Sono voci che girano nell’ambiente medico sportivo. Una verifica potrebbe essere opportuna o forse necessaria».

Ci sono altri aspetti negativi?
«Un altro aspetto grossolanamente negativo è la corsa al ribasso dei prezzi dei costi di tali visite nell’ottica di fenomeni di concorrenza sleale. Ciò avviene più in alcune regioni che in altre. Una corsa, comunque, folle e pericolosa perché probabilmente chi abbassa i prezzi delle visite poi punta a raggiungere lo stesso guadagno quotidiano effettuando un maggior numero di visite. Più visite equivale a minor tempo e minori attenzioni per ciascuna visiata».

Come si può contrastare la diffusione di tali fenomeni?
«Ci auguriamo che siano fenomeni circoscritti e che non siano frequenti. E’ chiaro però che, visto che si parla di tutela della salute e della vita degli individui, se tali fenomeni veramente esistono è necessario che siano severamente contrastati dagli enti e dalle autorità di controllo, dalla magistratura ordinaria e, perché no, anche dai Nas».

Addentriamoci un pò di più nel problema specifico della tutela della salute degli sportivi.
«Dimentichiamo spesso e troppo facilmente che in Italia la causa più frequente di morte nei soggetti che hanno superato i 35 anni di età, in tutti i soggetti sportivi e non, è la patologia cardiovascolare; non le neoplasie (tumori) e tantomeno l’aids. I mass media, negli ultimi decenni, stanno trasmettendo un messaggio che può essere fuorviante, cioè che le maggiori attenzioni in ambito di controlli preventivi debbano essere rivolte all’abbattimento del rischio di potersi ammalare di tumore o di aids. Non è così. La causa più frequente di malattia e di morte è rappresentata di gran lunga dalle patologie cardiovascolari. Ciò deve essere fatto passare per via mediatica in maniera insistente, diretta e più convincente. Incredibilmente, poi, sulle malattie cardiovascolari, sull’ infarto, sulla morte improvvisa aritmica, i controlli preventivi possono garantire un grande successo, molto più grande di quanto può fare la prevenzione in ambito di tumori o altro. Si pensi che basterebbe effettuare un test da sforzo massimale al cicloergometro a tutti i soggetti di sesso maschile che hanno superato i 40 anni e a tutti i soggetti di sesso femminile che hanno superato i 47-48 anni per ridurre prepotentemente e in maniera significativa l’insorgenza dell’infarto miocardico e della morte improvvisa aritmica».

Perché questo messaggio non passa?
«Non vorrei che il motivo possa essere quello che tutti si affretterebbero a prenotare un test da sforzo e che, inevitabilmente, prenotazioni di massa potrebbero far scoprire che le capacità di soddisfare tali prenotazioni nell’ambito del servizio sanitario pubblico non esistono e non esisteranno, considerata la crisi, nel futuro prossimo. Tutto ciò riveste poca importanza se l’obiettivo è quello di tutelare la salute degli individui e degli sportivi. Dobbiamo tracciare una via nuova e quella via la dobbiamo percorrere fiduciosi soprattutto perché in Italia esiste una normativa che rende obbligatorio effettuare una visita e alcuni esami strumentali specifici contemplati in quella visita».

E nei paesi che invece quella obbligatorietà non la prevedono i ricercatori cosa dicono?
«I medici ricercatori nei paesi europei ed extraeuropei che non prevedono l’obbligo della visita di idoneità ci criticano. Lo fanno da anni, dicendo che non vale la pena effettuare più di un milione di visite di idoneità, con costi quindi molto importanti, per salvare la vita di pochissime persone. Siamo criticati perché, a loro avviso, il nostro sistema di prevenzione è inefficace per quanto riguarda il rapporto costi-benefici».

Lei a proposito cosa pensa?
«Io vengo da una famiglia cattolica, ho conseguito la laurea e le specializzazioni in Cardiologia e in Medicina dello Sport presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. E’ chiaro quindi che, a mio parere, bisogna fare tutto quanto è umanamente possibile per salvare anche solo una vita umana e pertanto sono assolutamente favorevole all’esistenza di una normativa che preveda l’obbligatorietà delle visite di idoneità».

E’ favorevole in modo incondizionato?
«Assolutamente no. Bisogna rivedere in tempi rapidi ed in maniera profonda tutto l’impianto normativo della tutela della salute degli sportivi in Italia. Una normativa nuova, applicata in modo preciso e circostanziato su tutto il territorio nazionale, è la vera necessità del momento».

Quante visite di idoneità agonistiche si effettuano in Italia?
«Non si sa con precisione».

Orientativamente quante visite di idoneità non agonistiche si effettuano in Italia?
«Ancor di più non se ne può conoscere il numero».

Ma perché ciò?
«E’ il primo grande problema. Con la nostra normativa, vecchia di 30 anni, ci proponevamo l’obiettivo di evitare eventi drammatici e impedire che potessero praticare attività sportiva soggetti che, per la presenza di specifiche patologie, non erano in condizioni di poterlo fare senza correre rischi più o meno importanti. Se davvero si vogliono raggiungere tali obiettivi, il segreto sta nel conoscere perfettamente il nemico che vogliamo sconfiggere. Se vogliamo decapitare la morte improvvisa da sport, dobbiamo sapere quali sono le patologie che innescano quell’evento drammatico, come si presentano, che segni e sintomi danno, come si possono prevenire nell’ambito delle visite di idoneità. Dobbiamo conoscere quali segni clinici devono rivestire più valore rispetto ad altri e a quali sintomi è necessario dare la giusta importanza. Dobbiamo studiare il fenomeno e conoscerlo meglio. Attualmente stiamo facendo molto poco in tal senso. In Italia non abbiamo un osservatorio statistico ed epidemiologico della tutela della salute delle attività sportive, perché non sappiamo quante visite realmente vengono effettuate, quante persone vengono considerate inidonee, per quali patologie risultano inidonee, in quali regioni piuttosto che in altre, in quale categoria di sportivi (età, sesso, livello di pratica, fattori di rischio etc.)».

E’ grave. Come si può risolvere una simile problema?
«E’ necessario utilizzare l’informatica. Oggi le più grandi società, le aziende, e tutta la tecnologia si sono legate prepotentemente all’informatica e alle indagini statistiche. Continuare a fare visite in piccoli paesini, in piccoli studi medici, utilizzando la penna e la carta può essere un errore fatale. Non vuole essere recepita la necessità di creare un osservatorio epidemiologico e statistico centralizzato. Da anni, credo almeno 5, propongo l’adozione di un software unico che venga utilizzato da tutti i Medici dello Sport che in Italia rilasciano certificati di idoneità, sia in ambito pubblico che in quello privato. Un unico software utilizzato in tutti i comuni, le provincie e le regioni e, pertanto, in tutti gli studi e gli ambulatori accreditati ad effettuare visite di idoneità».
 
Quali sarebbero i vantaggi utilizzando uno strumento informatico di questo tipo?
«Utlizzando un’ottima base informatica, quindi in grado di fare statistica, finalmente potremmo conoscere il fenomeno e avere anche più possibilità di controllare il sistema ed evitare quanto prima avevamo descritto non essere del tutto regolamentare. Sarebbe fantastico poter studiare, dal punto di vista statistico ed epidemiologico, tutte quelle patologie che possono, con la pratica delle attività sportive, portare ad eventi drammatici o comunque al peggioramento dello stato di salute dell’ individuo».

Un obiettivo del genere è costoso?
«Assolutamente no. Pensi che, dal 2004, utilizzo un software preparato con la collaborazione di due miei amici programmatori ed analisti. Tale software, attualmente, è in grado di soddisfare tutte le piccole, e mi consenta spesso davvero inutili, differenze normative previste nel Lazio, piuttosto che in Toscana, e, ancora, in Emilia Romagna. Quello del software centralizzato è’ un passo importante perché tutti i Medici dello Sport finalmente contribuiranno a creare un archivio centrale di dati che ci consentiranno di aumentare le conoscenze e le “capacità preventive” di ciascun operatore periferico».

Cosa fare ancora?
«Ritengo sia arrivato il momento di rivedere la normativa del 1982. Trent’anni sono tanti, per la scienza medica un tempo infinito. Se ricordo cosa era la medicina trent’anni fa e cosa è oggi mi vengono i brividi nel pensare che stiamo ancora attuando un decreto legge del 1982. Va rivisto. E, gioco forza, va data una importanza preponderante nell’ambito della visita all’aspetto cardiologico. Anche se attualmente non disponiamo di dati su scala nazionale, la quasi totalità delle motivazioni di inidoneità assoluta e/o temporanea all’attività sportiva in Italia è rappresentata da una patologia cardiovascolare. Quindi il cuore deve diventare l’obiettivo primo delle nostre indagini. La normativa va riconsiderata proprio alla luce di tale dato di fatto».
 
Rivedere la normativa, dunque, come primo passo. Qualche esempio?
«Allo stato attuale, in Italia, è possibile che un’atleta ciclista agonista di categoria juniores internazionale (17-18 anni) possa avere il tesserino come ciclista agonista, fare oltre 60 gare all’anno e tutti gli allenamenti necessari, avendo eseguito la visita di idoneità semplicemente con un elettrocardiogramma a riposo ed un altro effettuato dopo che per tre minuti l’atleta è salito e sceso da un gradino di 40 cm. Dal momento in cui l’atleta termina l’esercizio, prima che possa essere effettuato il secondo ecg, passa sempre tutto il tempo necessario perchè egli si riposizioni sul lettino e il tempo che occorre al medico per riposizionare sul torace e sugli arti tutti gli elettrodi. In pratica quel soggetto potrà essere riconosciuto idoneo avendo fatto due elettrocardiogrammi. Il primo assolutamente a riposo, il secondo quasi a riposo perché è intuitivo che un atleta di quel livello, trascorso più di un minuto dalla fine dello sforzo, ha perfettamente recuperato e quindi è nuovamente tornato in condizioni quasi sovrapponibili al riposo iniziale. Troppo poco impegnativo il test e troppo il tempo dalla fine del test all’esecuzione del secondo ecg, quello dopo sforzo. L’attuale normativa consente di fatto che un atleta agonista di categoria elevata possa affrontare uno sport ad elevato impegno cardiovascolare facendo due elettrocardiogrammi in condizioni di riposo o quasi. Rinunciamo a vedere e valutare, con questo sistema di cose, tutto quello che accade durante lo sforzo, il momento più delicato e nel quale più spesso si slatentizanno segni elettrocardiografici importanti. Lo sforzo imposto dalla normativa attuale, lo step test che prevede di salire e scendere da un gradino per tre minuti, per tantissimi atleti, quasi tutti direi, è insufficiente. Si tratta di una scelta normativa molto discutibile sotto il profilo scientifico e delle attuali conoscenze di prevenzione delle patologie cardiovascolari».
 
E quindi c’è veramente tanto da fare?
«Si c’è tanto da fare. Ma anche vero che sarebbe opportuno che si interessino del futuro in ambito normativo solo i tecnici veri, ossia quei professionisti che conoscono profondamente e molto da vicino il problema».
 
Lei in particolare cosa propone?
«Propongo innanzitutto, insieme ad altre cose che non è il caso di approfondire per ovvie questioni di spazio, che sia al più presto reso obbligatorio l’effettuazione di una visita preventiva che comprenda una prova sotto sforzo, nella quale pertanto venga esaminato durante e non solo alla fine dello sforzo, sia l’andamento dell’elettrocardiogramma che quello della pressione arteriosa. Una visita comprendente una vera prova da sforzo dovrà essere effettuata da tutti i praticanti, sia a livello agonistico che non agonistico, qualsiasi tipologia di disciplina sportiva».

A questo punto il medico che effettua una visita del genere deve avere grosse competenze cardiologiche?
«E’ essenziale. Ritengo, pur riconoscendo che forse questa frase può far male a qualcuno, che in Italia non possano rilasciare certificati di idoneità colleghi che non abbiano conoscenze valide e profonde di cardiologia e di cardiologia dello sport in particolare. Le scuole di specializzazione dovrebbero pertanto adeguarsi a tale specifica esigenza. Attualmente non per tutte è così».

E per il futuro lei a cosa pensa?
«Ritengo che sia opportuno inserire il sistema che io definisco della “split decision”. Un sistema che deve diventare opertivo in tutti i casi dubbi, anche solo minimamente dubbi. Intendo riferirmi a tutte quegli sportivi che presentino piccoli segni o sintomi di possibile cardiopatia, che abbiano subito qualsiasi tipo di intervento cardiaco o che mostrino dubbi diagnostici di tipo cardiovascolare. Per tutti costoro dovrebbe essere stabilito che la rituale visita di idoneità possa essere effettuata  in futuro solo ed esclusivamente in centri medico sportivi di secondo livello, centri diretti, quindi, da un cardiologo con competenze elettive di cardiologia dello sport».

Che cosa intende per secondo livello?
«Le visite di idoneità allo sport agonistico e non in Italia possono, e dovrebbero anche in futuro, essere effettuate sia nel pubblico che nel privato, sempre in presenza di uno specialista in medicina dello sport e all’interno di uno studio e/o di un ambulatorio accreditato. Tali caratteristiche sono richieste e dovranno essere richieste anche in futuro alle visite di primo livello. Lo studio e/o l’ambulatorio in cui si svolge la visita dovrà essere in possesso della dotazione strumentale che è necessaria a rispettare la normativa vigente. Quando ci si trovi di fronte ad un soggetto che presenta dubbi diagnostici, tale visita di idoneità non la potrà e non la dovrà effettuare il Medico dello Sport che lavora in un centro di primo livello, ma essa dovrà essere rimandata all’analisi critica di un centro di secondo livello, nella quale cioè sia possibile effettuare un ecocardiogramma color doppler, un Holter ecg delle 24 ore, un Holter pressorio e, in genere, esami cardiologici strumentali approfonditi. Chiaramente sarà necessario che il centro di secondo livello debba essere necessariamente diretto da un Medico dello Sport con una Specializzazione aggiuntiva in Cardiologia o viceversa».
 
E il terzo livello?
«Costituirà l’apice della piramide e rappresentato da quelle strutture pubbliche o private che siano in grado di  effettuare esami invasivi come ad esempio un esame coronarografico, un cateterismo, uno studio endocavitario, quindi esami cardiodiagnostici invasivi».
 
Quanti centri di secondo livello dovrebbero esserci?
«Ritengo che il numero debba essere stabilito in funzione della popolazione degli sportivi. Se penso ad una regione come quella nella quale io lavoro, cioè l’Emilia Romagna, ritengo che un paio di centri di secondo livello possano essere sufficienti. Insieme ad uno o due di terzo livello per il Nord, altrettanti per il Centro come pure per il Sud. Certo mi piace sottolineare che tali centri, e cioè quelli di secondo e terzo livello, dovrebbero essere equamente ripartiti tra pubblico e privato, quindi se un centro è pubblico l’altro deve essere privato».

Perché?
«Perché mi piace far notare che attualmente in Italia la maggioranza delle visite di idoneità allo sport viene effettuata presso studi o ambulatori privati e non in ambito pubblico come si potrebbe immaginare. Pertanto ritengo sia importante che le esperienze, significativamente numerose, derivanti dal mondo privato siano prese in considerazione e che, quindi, anche nelle commissioni del ministero della salute che studiano la tutela della salute delle attività sportive siano presenti responsabili di centri privati. Sinora non è mai stato così».

Tutto ciò comporterebbe un aumento dei costi?
«No. Lo strumento informatico in grado di raccogliere dati in tutta Italia, in grado di far lavorare tutti i medici sportivi italiani con lo stesso linguaggio, in grado di diventare il più grande archivio di dati medico sportivi, è un qualcosa che, come detto personalmente già utilizzo, non richiede particolari costi. Basterebbe mettere in rete il mio software (si chiama Cyclomed, ndr). Anche il sistema organizzativo a piramide che ho appena esposto, cioè un sistema ben confezionato e studiato costituito da studi ed ambulatori medici di primo livello, da centri di secondo livello e di terzo livello è facilmente attuabile. Basta identificare i centri e ratificarli. Costi aggiuntivi non ne vedo anche perché non possiamo dimenticare che stiamo attraversando un periodo di crisi e che quindi non risulta possibile fare castelli in aria».

Ma per quanto riguarda i costi delle visite di idoneità lei che pensiero ha?
«La ringrazio per la domanda. Tocca un tema che non può non essere oggetto di critiche. Forse è questo il punto debole di tutta la catena. I costi per una visita di idoneità agonistica in Italia variano tra i 30-35 e i 70 euro orientativamente. A regioni come la Toscana e la Lombardia, dove appunto vengono praticate tariffe di 70 euro, che ritengo sostanzialmente al passo con i tempi, si contrappongono regioni, come il Lazio e l’Emilia Romagna, dove i prezzi scendono a 35-40 Euro. Stiamo parlando di una visita specialistica eseguita da un medico che necessariamente deve essere uno specialista. Stiamo parlando di una visita che contempla la valutazione di molti organi ed apparati, che prevede necessariamente l’effettuazione di un elettrocardiogramma a riposo e dopo sforzo, di un esame spirometrico, della valutazione dell’esame delle urine. Una visita molto complessa che, se fatta bene, non può durare meno di 35-40 minuti. Le Responsabilità civili e penali del medico che la effettua non sono da sottovalutare. Il costo di 70 euro ritengo sia congruo. Nel Lazio e nelll’ Emilia Romagna ed in altre regioni, dove invece i costi scendono a 35-40 euro, qualcosa non va. Mi domando se ciò sia ragionevole o se non sia la premessa del fallimento. Perché, tanto per fare un esempio, il veterinario, per una visita al mio pastore tedesco, mi chiede 65 euro. Il mio cane non risponde a nessuna domanda del veterinario, non dice di che cosa sono morti i suoi genitori, che sintomi e che fastidi ha. E la visita dura 5-10 minuti. Dobbiamo prepotentemente riflettere perché la corsa al ribasso dei costi e soprattutto la mancanza di un controllo dei costi delle visite di idoneità può generare una scarsa qualità delle stesse».
 
Ma chi può contribuire a risolvere questo problema?
«Le famiglie ed anche i soggetti stessi che effettuano le visite».
 
Perché?
«Se un nostro figlio dovesse effettuare un intervento di ernia inguinale o di tonsillectomia e ci venisse chiesto, “scusi come si chiama il medico che effettua l’intervento?”, sono convinto che noi sapremmo dire nome e caratteristiche di quel dottore. Ciò per dire che sicuramente abbiamo cercato di scegliere un centro o un professionista validi. Se invece accade che nostro figlio dovesse effettuare una visita di idoneità, spesso accade che non conosciamo il nome del centro dove la visita sarà effettuata e quello del medico che la effettua. La ritengo una negatività del sistema visite di idoneità. Le visite di medicina dello sport devono essere visite qualificate, effettuate da professionisti estremamente competenti e qualificati, che, quindi necessariamente – come in tutti gli altri ambiti della medicina - devono poter essere puntualmente individuati e valorizzati per la loro competenza. Se mio figlio dovesse effettuare una visita di idoneità, le garantisco che farei di tutto per sapere chi la effettua, che caratteristiche ha quel medico e dove e come la effettuerà. Farei, in definitiva, di tutto per scegliere un bravo professionista».

In tal senso però bisogna sensibilizzare l’opinione pubblica.
«Certo che si. Non nascondo che sono diversi, soprattutto i ciclisti, che semplicemente per il fatto che pedalano ritengono di stare bene e di non aver bisogno di nulla ed in particolare di nessun controllo. Capita spesso di incontrate ciclisti, anche in età adulta, matura ed avanzata, che riferiscono una equazione terribilmente pericolosa. Quella di dire pedalo, pratico ciclismo, quindi sicuramente sto bene. La mia equazione è invece opposta. Suona così. Ho deciso di pedalare, di praticare il ciclismo, è uno sport molto impegnativo, voglio vedere molto bene se corro qualche rischio a praticarlo, come praticarlo meglio e con i maggiori benifici per la mia salute. Chiaro?».

In generale, lei cosa sogna per risolvere e/o poter affrontare con la chiarezza, la semplicità ma anche la durezza che ci ha espresso, questo problema?
«Probabilmente, viste le ristrettezze economiche del periodo che stiamo attraversando in Italia, sogno una fondazione. Una fondazione nella quale il bilancio sia controllato in maniera ferrea e severa e che si ponga come obiettivo vero, reale, quello di sensibilizzare l’opinione pubblica su tutto quanto è stato esposto. Una fondazione di con un indirizzo chiaro, ossia quello di diffondere e far prevalere l’importanza della prevenzione; ma anche una fondazione di peso mediatico per poter entrare di diritto nelle stanze dove si affrontano i problemi e vengono prese le decisioni. Un organo indipendente che sia in grado di poter contribuire a ritoccare alcuni punti normativi e di far convergere le opinioni perchè possano essere prese le decisioni più giuste».

Intervista di Massimo Bolognini

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COMMENTI
Al Senatore Michelino Davico
24 agosto 2011 12:32 radiocorsa
La ASD Monviso – Venezia, come molte altre società ciclistiche, ha a cuore la pratica del ciclismo a livello amatoriale, penso che un articolo come questo faccia riflettere, caro Senatore Michelino Davico, spero ne tragga opportuna riflessione sulle parole del Dott. Roberto Corsetti, lo contatti e metta mano alla revisione della normativa di legge del 1982, “tutti gli individui che praticano attività sportiva a livello agonistico e anche a livello non agonistico la prevenzione devono farla obbligatoriamente attraverso quella che noi tutti conosciamo come la visita di idoneità allo sport agonistico e/o non agonistico”, faccia sì che le parole del Dott. Corsetti non restino isolate. Tutto il mondo degli sportivi di ogni genere comprenderanno che la loro salute è in buone mani. Nelle sue!

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