QUEL TRICOLORE A COMPIANO. E MOSER RISPONDE CHE...

STORIA | 29/06/2019 | 07:44
di Pier Augusto Stagi

Si ritroveranno domani, anche loro, a trentotto anni da quella famosa sfida tricolore. Beppe Saronni ammette d’aver sbagliato, Francesco se la ride compiaciuto. «Beh, è andata davvero così. Mi rispose talmente male che a me girarono letteralmente gli zebedei, e io gliela giurai. Beppe era un bel tipino: diceva le cose in un modo talmente sgradevole che mi mandava in bestia. Non l’ho mai sopportato. Sono contento che oggi ammetta di avere esagerato, e non è stato solo in quella circostanza».


La rivalità prende corpo e forma al Giro ’79. Quello rivelatore per Beppe Saronni, che strappa a sorpresa la maglia rosa a Francesco Moser nella cronoscalata di San Marino (8° tappa, ndr). «Lui andava molto forte, e per me fu davvero un brutto colpo – ricorda il campione trentino -. Aveva appena 21 anni ma si comportava già come un veterano, con quel suo modo saccente di parlare, da primo della classe. Si lamentava perché io e la mia squadra non tiravamo. Ma se la maglia rosa era sulle sue spalle, la responsabilità della corsa era sua e della sua squadra».


Francesco parla con passione, e mentre ricorda s’infervora come se tornasse a quei giorni, carichi di passione e antagonismo. Gli chiediamo di quella resa al Giro dell’83, poco prima di cominciare a scalare i colli di San Fermo. Francesco, in questo caso, fatica a ricordare… «È vero che lo affiancai per dirgli che mi ritiravo, perché non avevo una condizione accettabile, ma non ricordo assolutamente di aver detto che i Grandi Giri non erano fatti per me. Gli ho fatto i complimenti? Mah, forse. È probabile, anche se io non ricordo, ma se lo dice lui…».

Si ricorda però molto bene le loro sfide, che per anni sono state il sale del ciclismo degli Anni Settanta/Ottanta. «La nostra è stata davvero una rivalità molto sentita: vera e autentica, non costruita. Certo, da un punto di vista mediatico ci ha fatto del bene, e gli sportivi credo che si siano divertiti parecchio. Meno utile per noi da punto di vista delle vittorie. Eravamo chiaramente i più forti e se solo ci fossimo messi d’accordo, avremmo vinto due volte di più di quello che abbiamo vinto. Invece, ci facevamo i dispetti. Piuttosto di far vincere lui, io facevo in modo che vincesse qualcun altro. Come al tricolore dell’85, sulle strade del Veneto, un percorso adattissimo a Beppe; io mandai all’attacco Claudio Corti, mio compagno di squadra, che poi conquistò la maglia tricolore».

Oggi però si frequentano, e i loro ricordi sono spettacolo puro: un susseguirsi di aneddoti e frecciate, senza esclusioni di colpi, tra due vecchi e acerrimi rivali, che oggi possono essere considerati amici. «Ogni tanto ci s’incontra, e Beppe di tanto in tanto viene anche a casa mia. La mia più grande soddisfazione? Da qualche anno beve i miei vini. Pensi, glieli faccio anche pagare». E non finisce qui…

 

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