FORMOLINO VUOL DIVENTARE GRANDE

PROFESSIONISTI | 25/11/2015 | 07:54
In abito scuro quasi non lo riconosci, poi lo vedi sorridere con gli occhi che si illuminano a sentir parlare di bici e rispondere con il suo forte accento veneto e capisci che è proprio lui. Davide Formolo si è vestito a festa per il ritrovo annuale dei suoi fans a San Rocco di Marano di Valpolicella, tra amarone e giochi, e ci ha invitato a trascorrere una piacevole giornata in sua compagnia per conoscere il suo mondo.
Il mese scorso il giovane talento della Cannondale Garmin ha celebrato in casa la fine della stagione 2015, che gli ha regalato il primo successo nella massima categoria niente meno che al Giro d’Italia (don Andrea ha ricordato quan­to a lungo hanno suonato le campane della chiesa di San Rocco) e visto tanti nuovi amici tesserarsi al suo fans club per seguirlo ancora più da vicino l’anno prossimo.

Mamma Marina a prendere le ordinazioni, il fratello maggiore Jonathan a servire i piatti, papà Livio a portare i caffè. A supervisionare il tutto c’era la fidanzata Mirna, presidentessa del Fans Club Davide Formolo e organizzatrice della MagnaFormolo, una festa orgogliosamente familiare e di paese perché, come ci ricorda un tifoso storico, «Davide ora gira il mondo, corre per una squadra americana e parla inglese ma non dimentica mai da dov’è partito».

Ci tieni molto al legame coi tuoi supporter...  
«Sì, più che tifosi sono amici, la maggior parte sono persone della zona che mi hanno visto crescere e ora che sto ini­ziando a raggiungere traguardi im­portanti sono entusiasti più di me. Non finirò mai di ringraziarli per il loro supporto. Quest’anno non sono stato mol­to fortunato, ma nel complesso è andata abbastanza bene. Ho fatto un po’ di errori che non ricommetterò e mi sono ammalato in un periodo sbagliato, cosa che mi ha costretto a ripianificare tutta la stagione da un giorno all’altro e a questi livelli significa inseguire, il che non è mai bello».

Chi devi ringraziare per questa festa?
«In primis la mia fidanzata Mirna che si dà sempre un gran da fare, sua sorella Licia e il moroso Nicola che sono il cuore del mio fans club. Un grazie va al Comitato Sagra di Marano che si è occupato del cibo e a tutti coloro che hanno risposto presente. Il ricavato di questa giornata è stato donato all’asilo di Marano, una piccola scuola in un piccolo paese che, come tutte, ha bisogno di una mano, visto che ci sono sempre tante spese da affrontare. I bimbi ci hanno fatto avere dei bei disegni per ringraziarci, dal canto nostro siamo fieri di poter fare del bene, è bello far festa ma ha ancora più senso quando c’è uno scopo benefico da raggiungere».

Hai tanti piccoli fans.
«Mi piace stare a contatto con i bam­bini, spero di trasmettere loro almeno un po’ della mia passione per il ciclismo. Il mio sogno sarebbe ritrovarmi qualcuno di loro in squadra tra qualche anno. È bello spingerli verso il ciclismo perché permette di fare esperienze uniche. Pensare di creare una scuola di ciclismo, come hanno già fatto alcuni colleghi più affermati, è difficile perché c’è bisogno di una struttura ben organizzata e di tanto tempo, sarebbe senz’al­tro una bella iniziativa ma parecchio impegnativa. Nel mio piccolo, ap­pena posso vado a far visita alle squadre della zona per portare la mia esperienza. Sono giovane, ma vorrei essere un buon modello per i più piccoli: il ciclismo è un gioco stupendo. Io a pe­dalare mi diverto an­cora tanto».

Com’è il bilancio del tuo 2015?
«Come dicevo, ho vissuto sia alti che bassi. Il ricordo più emozionante risale al 12 maggio, la vittoria della quarta tappa del Giro d’Italia con arrivo a La Spezia. Sono stato convocato all’ultimo dalla squadra, non ero pronto né fisicamente né mentalmente per reggere tre settimane ad alto livello, nonostante ciò credo sia stata un’esperienza molto positiva per me. Ho capito com’è un grande giro, ho fatto tanta fatica, am­mirato un pubblico pazzesco e imparato tanto. Nella tappa di Campitello Matese ho segnato il mio personale record di watt (il ds Charly Wegelius ha raccontato di come saltasse di gioia in pullman annunciando la lieta novella, ndr) e dal primo all’ultimo giorno ho fatto parecchi “fuorigiri” che mi torneranno utili in futuro. Tornando alla “mia” tappa, negli ultimi 300 metri avevo i brividi. Mi giravo e non vedevo nessuno, se non una moto. Non mi sembrava vero di aver fatto il vuoto ri­spetto ai miei compagni di fuga, avevo paura qualcuno mi saltasse. Finora il giorno più bello della mia vita. Le occasioni vanno colte al volo, non vanno sprecate».

Cosa hai imparato?
«Ho capito come reagisce il mio fisico alle tre settimane, i miei limiti e i miei punti di forza. Da under pesavo meno di 60 kg, troppo poco per un pro. Così leggero in pianura ti staccano. Ora so­no sui 64-65 kg per 1.81 di altezza. Tecnicamente vado abbastanza bene in salita, ma non ho cambio di ritmo. Devo migliorare in questo senso e sul passo. La cronometro di Valdobbia­dene è stata una bella musata. Una cro­no così lunga richiede tanto allenamento e una posizione impeccabile, stando così racchiuso si usa molto di più del solito la muscolatura del gluteo e la parte posteriore della coscia, se avessi usato di più la bici da cronometro avrei sentito la differenza, devo la­vorarci maggiormente».

Come prosegue l’avventura americana?
«Alla Cannondale Garmin all’inizio mi sentivo un po’ spaesato, in difficoltà con la lingua, poi ho pensato che anche in America le bici hanno due ruote e due pedali. Si tratta pur sempre di pe­dalare. Da allora è migliorata la mia conoscenza dell’inglese, non sono an­cora bravissimo ma miglioro giorno do­po giorno. Sono sempre in giro per il mondo, ma non dimentico le mie origini e appena posso trascorro del tempo con i miei cari».

Torniamo agli inizi: papà ti ha messo in bici a 7 anni.
«Esatto. Fin da piccolo amo stare a con­tatto con la natura, mi piaceva aiutare il nonno nei campi, la bici ha rappresentato prima un gioco poi un mez­zo per andare in giro, divertirmi e sfogare il mio agonismo. Ogni domenica papà usciva a divertirsi con gli amici, alla mattina in bici e al pomeriggio con il windsurf sul Lago di Garda. Ricordo benissimo la mia prima bici, sarà durata una settimana (ride, ndr). Era di ac­ciaio, viola, di ottava mano, vecchia e tutta arrugginita però bellissima. La pri­ma gara a Vigasio di Verona, ero agitatissimo perché finalmente facevo sul serio, dopo aver passato anni ad assistere alle corse di mio fratello che al pomeriggio riproponevo nella strada sotto casa con la fantasia, non avendo ancora l’età per gareggiare. Quel giorno ho attaccato il numero e mi sono detto “ora davvero sono uno del gruppo”. Una bella emozione».

Come andò?
«Ero G2 e dovevo affrontare un circuito di un chilometro da ripetere fino allo sfinimento, tutta la gara con la co­rona piccola davanti perché non sapevo che ce n’era anche una più grande. La prima vittoria a 11 anni a Cadidavid, una frazione di Verona: l’arrivo tira un po’ in su, rimango da solo, dopo tanti piazzamenti mi sembra impossibile, alzo le mani al cielo. Magari, penso, non mi succederà più. Succede, ma raramente. Da allievo due volte. I primi allenamenti intorno al salumificio Pa­voncelli, dove i giovanissimi pedalavano su un circuito di un chilometro scarso, libero dalle auto non appena la fabbrica chiudeva. Gli allenamenti all’epoca erano scuse per andare a rubare le pesche nei campi dei contadini, da ju­nior si inizia a fare più sul serio. Meno pesche e più chilometri. Inco­min­cia­no ad arrivare maggiori risultati finché da Under 23 mamma e papà mi concedono due anni per capire se po­trò diventare un corridore o me­no: se vai, vai. E se non vai, vai a lavorare (in tasca intanto si era messo il diploma di perito meccanico ottenuto con il massimo dei voti, ndr). Venne quindi il trasferimento in Toscana e l’ingaggio alla Petroli Firenze, gli insegnamenti di Da­niele Tortoli e del presidente Giovanni Pelatti (ogni anno li ricorda con una messa che precede il pranzo del fans club, ndr) e i primi ri­sultati importanti fino all’ingaggio della Cannondale».

Nel tempo libero?
«Seguo volentieri tutti gli sport di en­durance, dal triathlon allo sci di fondo, dopo l’allenamento mi piace guardare le gare in tv. D’inverno purtroppo non riesco a dilettarmi con gli sci perché ci si allena sempre più presto con la bici. Ho molti modelli nel mondo dello sport, il mio idolo indiscusso è sempre stato Michael Schumacher. Da bambino mi alzavo alle 5 del mattino con pa­pà per vedere le sue gare, mi dispiace davvero per quanto gli è accaduto, per me resta un fenomeno».

Quando è nato il soprannome Roccia?
«Mi chiamano così da quando avevo 5 anni e andavo in campeggio con la parrocchia sullo Stelvio. Volevo vincere sem­pre, non importava a quale gioco stessimo giocando, piuttosto che perdere sarei morto. Che si trattasse dei 100 metri di corsa o di una partita a palla prigioniera, piuttosto partecipavo a dieci gare consecutive pur di non perdere. Sono fatto così, da sempre. Cerco sempre di essere il migliore, non so se sia un pregio o un difetto, e sono fermamente convinto che il risultato mi­gliore è quello che deve ancora arrivare».

Piatto preferito?
«Pizza».

Vacanza ideale?
«In Alaska, perché deve essere un po­sto figo in cui non c’è nulla. Pensa che pace...».

Una cosa che non sopporti?
«Il lavello pieno di piatti sporchi. Fi­nito di mangiare vanno puliti subito».

Programma tv preferito?
«I Simpson».

Se non avessi fatto il ciclista cosa saresti diventato?
«Dove abito c’è un forte richiamo ver­so l’agricoltura, come si dice braccia (o gambe, nel mio caso) rubate... Oppure, visto che ho studiato meccanica, magari avrei potuto lavorare in un’officina. A scuola mi sono divertito e mi sono appassionato a questo settore. Fino a qualche anno fa ero attentissimo alla mia bici, ora ho smesso di stressare i meccanici perché abbiamo a disposizione il top del materiale e uno staff veramente qualificato».

Come trascorrerai l’inverno?
«Dopo il ritiro con la squadra ad Aspen sono andato in vacanza 10 giorni con Maranga. Tor­nati a casa ho ripreso gli allenamenti ma non ho ancora un programma, devo parlarne con i tecnici, di certo mi piacerebbe molto correre il Giro d’Italia».

Cosa prometti ai tuoi tifosi per il 2016?
«Di dare il massimo, unica ricetta per arrivare in alto, e raccogliere il più possibile. Il mio focus è migliorare a cronometro, disciplina fondamentale per poter ambire alle corse a tappe. Se ci riuscirò, vedremo dove potrò arrivare».

Giulia De Maio, da tuttoBICI di novembre
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