GIRO D'ITALIA | 25/05/2018 | 07:11
«Oggi avrò perso dieci anni di vita».
Era il 2005 e il Giro d’Italia, partito tre settimane prima da Reggio Calabria, non era mai salito fin lassù, su quello sterrato che conduceva ai 2.176 metri del Colle delle Finestre. Quel giorno, il 28 maggio, si andava da Savigliano al Sestriere, passando per la leggenda.
Paolo Savoldelli aveva la maglia rosa, ma fu costretto a inseguire. La corsa l’accese Ivan Basso, poi però fu lui a spegnersi alla svelta. Davanti c’era Gibo Simoni, che voleva vincere il Giro. E con lui Josè Rujano e Danilo Di Luca, che inseguivano invece un posto sul podio. Il «Falco» neanche ci provò ad andare dietro al loro attacco, praticamente subito capì che non era cosa, e intelligentemente decise di salire al suo ritmo, senza tirarsi il collo. In quella tappa ci fu abbastanza di tutto: polvere, pietre, dolore. Fame, paesaggi mozzafiato, crampi. Fatica, panorami da perderci la testa, tattiche. Bestemmie, accuse. L’epica, la leggenda, il ciclismo d’altri tempi, in questi casi si dice così.
Savoldelli la maglia rosa l’aveva già persa, proprio lì, sullo sterrato delle Finestre. Scollinò due minuti e venti secondi dopo i tre incursori. Mantenne calma e sangue freddo, però. E in discesa disegnò la strada che lo avrebbe portato in salvo. Da solo recuperò mezzo minuto, e planando alla sua maniera avrebbe potuto guadagnare altro tempo, ma a metà discesa raggiunse Hontchar e intravide un’alleanza. Davanti, Di Luca bisticciava con i suoi muscoli e con i crampi, Simoni e Rujano invece si misero a bisticciare fra di loro prima che il piccolo venezuelano - una delle tante scoperte di Gianni Savio, l’ultima è un certo Egon Bernal - entrasse in crisi di fame, ma neanche quella lo vinse.
Il Giro si decise sull’ultima salita. Savoldelli aveva cercato alleati e aveva trovato degli amici: sul secondo Sestriere lo aiutarono Ardila e Van Huffel, Garate e Honchar, e Valjavec. Alla fine salvò la maglia per ventotto secondi, gli stessi che oggi Simon Yates ha su Tom Dumoulin, con la differenza che loro il Colle delle Finestre lo devono ancora scalare. Davanti, Rujano portò un ultimo attacco a cinque chilometri dalla vetta: Simoni fu così secondo nella tappa e secondo al Giro.
«Il mio segreto è stato quello di voler vincere il Giro sapendo sempre di poterlo perdere», ammise Savoldelli dopo l'arrivo, negando di aver fatto un’impresa. «Le grandi imprese le fanno i campioni. Io sono uno che ragiona e che conosce i suoi limiti».
Doveva essere il Giro di Ivan Basso, ma un’intossicazione alimentare lo aveva messo fuori gioco. Doveva essere il Giro di Gilberto Simoni, ma in quell’ultima tappa da leggenda aveva lasciato le sue ultime possibilità di gloria. Poteva essere il Giro di Damiano Cunego, ancora, ma sulla prima salita vera il vincitore dell’anno prima si era smarrito, e soltanto più tardi si scoprì che aveva la mononucleosi. Fu il Giro del Colle delle Finestre, che da quel momento entrò direttamente nel mito. Diventò il Giro di Savoldelli, che capì di non poter vincere e si accontentò di non perdere. A parte quei dieci anni di vita, si capisce.
Alessandra Giardini
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