IL PRIMO GIORNO DI PRIMAVERA

STORIA | 25/06/2017 | 07:55
E ora come la mettiamo noi, ora che l’Ame­ri­ca è svelata, ora che la ter­ra promessa, idealmente, l’abbiamo alfine raggiunta?

Sì, d’accordo, forse l’incipit è un po’ forte, sembra che scriva un giornalista tifoso sfegatato di calcio allo scudetto primo della squadra del­la propria città, e non uno scrittore medio appassionato di ciclismo... Ma in fondo il dubbio tale è, senza sussiego e senza molto girarci intorno, per noi cronici amanti del ciclismo olandese, dopo la vittoria straordinaria di Tom Dumoulin al Giro d’I­talia...

Al numero 100, prima secolare, prima edizione in tripla cifra, per dirla con il gergo della classifica dei cannonieri, un olandese alfine. Un ba­tavo, si diceva un tempo co­sì, dai Paesi Bassi alle guglie delle Dolomiti e di Piazza Duo­mo. Scoperta Atlantide, conquistato l’Eldorado.

E ora come la mettiamo noi, ora che ai de­cantati Raas e Kar­stens, Kuiper e Knetemann, si è ag­giunto e ha preso la testa un leader che è vincitore non solo di un giorno classico, da di un Giro intero?

Forse in qualche posto l’abbia­mo scritto, e di certo intimamente pensato, che per noi la vittoria di un olandese al Giro sarebbe stato un traguardo di gara senza altra frazione da correre, la clausola di un amore non più so­lo platonico, un cerchio che magicamente si chiudeva... E semmai diventava un pallone ultimo da lanciare non in cur­va, ma al cielo azzurro. (Esistono, a proposito, tulipani azzurri?).

Nel 2017, ci verrebbe da an­ticipare l’annualità forte di una data, in stile the end o futuro postumo, che ci ha sempre molto colpito. Par­liamo del 2023, il titolo di una canzone dei Dik Dik, il complesso di Senza luce e Vendo casa, che al 2023 attribuivano - quando la scrissero, anni ’70 - un termine esoterico, o il sigillo di un full stop.

Oltre il Giro vinto da un olandese, cosa al­tro potremmo avere, di caro al cuore, vogliamo dire, noi che non abbiamo mai scambiato, for­se anche perché francamente nessuno ce le hai mai chieste, le figurine di Nolten e Voorting, di Van Est, quale?, Piet o Wim?, di Wagtmans, quale?, Wout o Rini, di Van Katwjik, quale, Jan, Piet o Frans, di Den Hartog e Den Hertog?

E già, potremmo davvero spegnere il motore e tirare il freno a mano, ora che Tom Dumoulin, quest’olandese che da grande voleva fare il medico, è riuscito nell’impresa che aveva solo sfiorato Eric Breukink - lo stesso garbo, lo stesso profilo di Beautiful, anzi di bravo ragazzo -, secondo nel Giro 1988.

Cos’altro di più solare, senza tramonto, nella passione di una vita, ciclisticamente intesa? Ci ritiriamo, qui? Per giunta, non ci crederete, nella stessa ultima domenica di maggio in cui mia figlia Benedetta mi portava in dono, al ritorno da un weekend ad Am­sterdam, un braccialetto orange 'I am/sterdam'... Quanti simboli forti, in una vittoria altrui, e nel gesto di una figlia.

Già, ma proprio Du­mou­lin non ci ha insegnato in fondo, giù dallo Stelvio, che il ciclismo è la forza di andare avanti, che la retropedalata è abolita, che non si demorde dopo la più improvvida delle traversie?

Via da questo secolo di Giro, allora, ma via solo per il pros­simo. Al posto di Gan­na, è in fuga Dumoulin. Il ricordo è sempre un ritorno.

E allora, tranquilli o pa­zienti, amici. Il 2017 non sarà per noi il 2023 dei Dik Dik, non sarà il tempo risolto del commiato. Niente affatto. Anzi, senza cambiare la band, ne cambiamo solo la canzone.
Il 28 maggio, la domenica di Milano in cui Dumoulin è di­ventato il Ra(a)s del Giro 2017, è stato soltanto, con un incolpevole ritardo, Il primo giorno di primavera.

Gian Paolo Porreca, da tuttoBICI di giugno
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