FORMOLO. «ORA PENSO AL GIRO»

PROFESSIONISTI | 23/10/2016 | 07:33
Al termine della stagione, Da­vide Formolo divide il suo 2016 in due. La prima parte incentrata sul Giro d’Italia non è andata come sperava, la seconda è culminata nel riscatto alla Vuelta a España. Con la certezze che, anche quando le cose non vanno come do­vrebbero, il ventitreeeenne veneto tiene duro e non molla: non a caso è soprannominato “Roccia”.

«Mi chiamano così da quando avevo 5 anni e andavo in campeggio con la parrocchia sullo Stelvio. Volevo vincere sempre, non importava a quale gioco stessimo giocando, piuttosto che perdere sarei morto. Che si trattasse dei 100 metri di corsa o di una partita a palla prigioniera, piuttosto partecipavo a dieci gare consecutive pur di non perdere. Sono fatto così, da sempre. Cerco di essere il migliore, non so se sia un pregio o un difetto, e sono fermamente convinto che il risultato mi­gliore è quello che deve ancora arrivare» racconta sorridente il giovane scalatore della Cannondale Dra­pac, che pochi giorni fa ha sposato la sua Mir­na. Anche questo importante passo dimostra che For­molino è uno che non vuole perdere tempo e ha ben chiaro quello che vuole dalla vita.

Ci hai pensato bene?
«Sì, qualcuno mi dà del matto perchè siamo giovani ma io sono convinto che convolare a nozze sia la scelta giusta. Ormai con Mirna stiamo assieme da quattro anni, da quasi due conviviamo, anche se per la chiesa non va bene (sorride, ndr). Insieme ci divertiamo molto, stiamo bene, ci amiamo. Già dopo un anno che vivevamo sotto lo stesso tetto a San Rocco di Marano di Valpolicella sentivo il bisogno di fare un passo in più. Ci ho messo qualche mese a trovare il coraggio di prenderle l’anello e quando le ho fatto la proposta è stato bellissimo. Il grande giorno è arrivato sabato 8 ottobre, ci siamo sposati al Santuario Ma­donna di Lourdes di Verona, con tanti parenti e amici a far festa con noi».

I tuoi genitori sono felici?
«Certo. Erano emozionati, forse anche di più di quando ho mosso le mie pri­me pedalate. Papà mi ha messo in bici a 7 anni. Fin da piccolo amo stare a contatto con la natura, mi piaceva aiutare il nonno nei campi, la bici per me ha rappresentato prima un gioco poi un mezzo per andare in giro, divertirmi e sfogare il mio agonismo. Ogni domenica papà usciva a divertirsi con gli ami­ci, alla mattina in bici e al pomeriggio sul windsurf sul Lago di Garda. Ricordo benissimo la mia prima bici, sarà durata una settimana (ride, ndr). Era di acciaio, viola, di ottava mano, vecchia e tutta arrugginita, però bellissima. La prima gara a Vigasio di Ve­ro­na, ero agitatissimo perché finalmente facevo sul serio, dopo aver passato an­ni ad assistere alle corse di mio fratello maggiore Jonathan che al pomeriggio riproponevo nella strada sotto casa con la fantasia, non avendo ancora l’età per gareggiare. Quel giorno ho attaccato il numero e mi sono detto “ora davvero sono uno del gruppo”».

Come andò?
«Ero G2 e dovevo affrontare un circuito di un chilometro da ripetere fino allo sfinimento, tutta la gara con la co­rona piccola davanti perché non sapevo che ce n’era anche una più grande. La prima vittoria a 11 anni a Cadidavid, una frazione di Verona: l’arrivo tira un po’ in su, rimango da solo, dopo tanti piazzamenti mi sembra impossibile, alzo le mani al cielo. Magari, penso, non mi succederà più. Succede, ma ra­ramente. Da allievo due volte. I primi allenamenti intorno al salumificio Pa­voncelli, dove i giovanissimi pedalavano su un circuito di un chilometro scarso libero dalle auto non appena la fabbrica chiudeva. Gli allenamenti all’epoca erano scuse per andare a rubare le pesche nei campi dei contadini, da ju­nior si inizia a fare più sul serio. Meno pesche e più chilometri. Incominciano ad arrivare maggiori risultati finché da Under 23 mamma Marina e papà Livio mi concedono due anni per capire se potrò diventare un corridore o meno: se vai, vai. E se non vai, vai a lavorare (in tasca intanto si era messo il diploma di perito meccanico ottenuto con il massimo dei voti, ndr). Venne quindi il trasferimento in To­­scana e l’ingaggio alla Petroli Fi­renze, gli insegnamenti di Daniele Tor­toli e del presidente Gio­van­ni Pelatti (ogni anno li ricorda con una messa che precede il pranzo del suo fans club, ndr) e i primi risultati importanti fino all’ingaggio della Can­nondale nel 2014».

Torniamo al presente. Il Giro di quest’anno non è andato come speravi.
«Avevo impostato tutta la prima parte della stagione sulla corsa rosa ma la caduta al Giro di Romandia ha mandato all’aria tutti i miei piani. Andavo forte, avevo fatto tutto come pianificato, ero stato in altura sul Teide, ma a pochi giorni dal via del Giro ho picchiato il fianco destro violentemente. Al momento non ci ho dato troppo pe­so, ma a posteriori quel capitombolo è stato fatale. Nelle tre settimane di gara ho stretto i denti, ma vi giuro che facevo fatica a camminare dalla camera dell’albergo al pullman per andare alla partenza. Il corpo umano è una macchina fenomenale e in bici riuscivo ad andare, ma le botte hanno compromesso tanto il mio rendimento. In salita non riuscivo ad essere competitivo con i migliori. Quando rischi il tutto per tutto per un appuntamento specifico basta un imprevisto per compromettere tutto. Concluso il Giro con il morale sotto le scarpe, ho chiesto alla squadra di schierarmi alla Vuelta: volevo riscattarmi dopo una corsa a tappe disputata al di sotto delle aspettative, dimostrare (anche a me stesso) che le conseguenze della caduta al Romandia non erano una scusa, che senza quell’intoppo avrei potuto dire la mia. Così ho lavorato tanto, alternando il lavoro in altura sullo Stelvio alle gare».

Lavoro che ha pagato.
«Esatto. Già al Giro di Polonia riuscivo a stare davanti facilmente, ok che era in contemporanea al Tour de Fran­ce, ma si trattava comunque di una corsa Worldtour con un livello molto alto. Nella tappa più dura, ho chiuso secondo dietro a Wellens che era stato in fuga tutto il giorno, e la frazione seguente è stata annullata a causa del maltempo. Nella crono, il mio punto debole, ho perso il podio, ma sono co­munque tornato a casa con la consapevolezza di essere sulla strada giusta. Mi sono rinchiuso in me stesso e ho continuano a lavorare sodo, alla Vuelta mi sono sorpreso da solo. Nono­stan­te il lavoro svolto per Talansky sono riuscito a fare una buona classifica. Dopo aver disputato tre grandi giri (nel 2015 al Giro d’Italia vinse la tappa con arrivo a La Spezia, ndr) ho capito che per fare classifica bisogna avere le palle quadrate, non ci si può permettere di commettere un solo errore o di rifiatare un attimo, per lottare per le primissime posizioni bisogna essere davanti, comunque vada, tutti i giorni. È difficile, ma alla Vuelta di quest’anno giorno dopo giorno vedevo che il mio corpo rispondeva bene, recuperavo al meglio e svolgendo il lavoro assegnatomi per il capitano riuscivo comunque a perdere poco dai migliori. Il percorso si è rivelato molto duro, chiudere nella top ten (nono a 13’17” da Quintana) mi ha risollevato il morale. Anno dopo anno sto maturando, ma posso ancora migliorare».

Tipo nelle cronometro?
«Sì, sono il mio tallone d’Achille. Non sto trascurando il problema, sono consapevole che devo migliorare sul passo. Mi sto allenando parecchio con la bici da crono, ma cambiando posizione in sella perdo tanta potenza. Per trovare il giusto assetto servono tempo e pazienza, ogni volta che modifichi qualcosina occorrono mesi di adattamento per ca­pire se va bene e ritrovare il giusto col­po di pedale. Continuerò a sbatterci la testa finché il muro non andrà giù, devo lavorare ancora molto per potermi giocare un grande giro. L’anno scorso mi ha impressionato Hesjedal, è stato sempre tranquillo fino a Milano, dando il massimo. Nonostante qualche giornata storta, è riuscito a tener duro e a recuperare tanto in classfica, da lui ho imparato a gestire i momenti di difficoltà con sangue freddo, senza farmi logorare dallo stress. Ho finito la Vuel­ta stanco perciò mi sono riposato qualche giorno per poi cercare di arrivare “giusto” al Giro dell’Emilia, alla Mi­lano-Torino e a Il Lombardia. Il segreto, dopo tre settimane a tutta, è trovare il miglior bilanciamento tra recupero e allenamento».

Sei giovane, ma in sella da una vita. Cosa ti ha dato il ciclismo?
«La voglia di vivere e godermi ogni mo­mento, sfruttando ogni giorno al massimo. Mi ha insegnato che il lavoro, prima o dopo, paga. Dal canto mio mi piacerebbe fare appassionare la gen­te al ciclismo, far avvicinare alla bici soprattutto i ragazzi, per offrire un ri­cambio generazionale alla nostra disciplina e renderla ancora più popolare in Italia. Seguo volentieri tutti gli sport di endurance, dal triathlon allo sci di fon­do, dopo l’allenamento mi piace guardare le gare in tv, ma il ciclismo è speciale. Ormai, da tre anni a questa parte, la bicicletta rappresenta il mio lavoro a tutti gli effetti. D’ora in poi l’importante è non sbagliare l’approccio ai grandi giri che avrò in programma. La mia missione è andare forte ed essere co­stante. Non so ancora quali saranno i piani del team per il 2017, di certo da italiano sarebbe bello partecipare ed essere protagonista al Giro d’Italia del centenario. Ma già se non volassi a terra la settimana della corsa rosa pri­ma sarei felice... Battute a parte, sono fiducioso di poter fare ancora me­glio di quanto dimostrato finora. In più avere la fede al dito, magari, mi farà andare più forte».

Giulia De Maio, da tuttoBICI di ottobre
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COMMENTI
Garanzia di qualità
24 ottobre 2016 11:39 piuomeno
Bravo Davide, sei la concreta dimostrazione che qualità e serietà pagano, con risultati e prestazioni maiuscole. Contrariamente a quanti sono approdati al professionismo con palmares da "fenomeni" per poi sparire nel più sospetto anonimato. Ti seguirò con ammirazione, in bocca al lupo.
Maurizio

24 ottobre 2016 12:14 lele
Ho la fortuna di conoscerlo e di averlo visto allenare più volte.
Alla sua età non è da tutti saper far "clausura" per così tanto tempo al Passo dello Stelvio.
Finire ogni allenamento dovendo scalare il "Re" è da persone veramente serie.
Mi auguro che il tappone del Giro che arriverà a Bormio scalando due volte lo Stelvio ti veda protagonista!
Buona vita Picen!

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